Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26162 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26162 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24947/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
REGIONE LAZIO
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.LAZIO n. 4493/2022 depositata il 14/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME si opponeva a ruoli esattoriali ed alle relative cartelle di pagamento da esse recate per un importo complessivo di € 2.498,37 dovuto per crediti di natura tributaria di cui, affermava, era venuto a conoscenza a seguito di un accesso presso gli Uffici del Concessionario in data 17.12.2019.
In particolare, parte ricorrente eccepiva l’estinzione della pretesa tributaria, in quanto era decorso ampiamente il termine prescrizionale tra l’anno di imposta riportato nei ruoli esattoriali impugnati e la data di notifica delle cartelle esattoriali e, comunque, tra la data di asserita notifica di ciascuna cartella di pagamento e la data di estrazione del ruolo esattoriale (17.12.2019); nel merito eccepiva l’omessa notifica delle cartelle di pagamento.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 6784/2021, depositata in data 8.6.2021, accoglieva il ricorso e in considerazione del tempo trascorso in assenza di iniziative da parte dell’ente impositore, compensava le spese di giudizio.
Avverso tale decisione, il contribuente proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio censurandola nella parte in cui la Commissione capitolina aveva illegittimamente disposto la compensazione delle spese di lite in assenza dell’esplicitazione di gravi ed eccezionali ragioni che ne giustificassero la relativa statuizione e chiedeva, pertanto, che, in riforma parziale della sentenza di primo grado, la Commissione Tributaria Regionale di Roma (oggi CGT) condannasse la Regione Lazio al pagamento delle spese del primo grado di giudizio, con il favore delle spese del gravame.
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, con sentenza n. 4493/2022 del 28.9.2022, depositata in data 14.10.2022, accoglieva l’appello sul presupposto che .
Il Contribuente propone ricorso affidato a due motivi per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe.
La Regione Lazio è rimasta intimata.
MOTIVI DI DIRITTO
Il primo motivo, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., denuncia ; per essersi il decidente discostato, nella liquidazione delle spese di lite, dai valori medi delle tariffe, ancorché il legale avesse depositato nota spese. A conforto della propria tesi, il ricorrente rammenta che ; pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi (tra le tante: Cass., Sez. 6″- 3, 15 dicembre 2017, n. 30286; Cass., Sez. 6^-2, 1 giugno 2020, n. 10343). Si osserva che l’esigenza di fornire un’adeguata motivazione a sostegno della determinazione degli importi riconosciuti alla parte vittoriosa sorge soltanto a fronte del deposito, ad opera di quest’ultima, di una nota specifica recante l’indicazione delle attività svolte e delle somme richieste, dovendo il giudice spiegare le ragioni dell’eliminazione o della riduzione di alcune di esse, al fine di rendere possibile la verifica della conformità della liquidazione alle risultanze degli atti ed ai parametri ministeriali (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 5 aprile 2017, n. 8824; Cass., Sez. 5^, 31 ottobre 2018, n. 27815; Cass., Sez. 6^-1, 5 marzo 2020, n. 6345; Cass., Sez. 1^, 21 gennaio 2021, n. 1076). Si deduce che la nota spese, ex art.75 disp. att. c.p.c., funge anche da limite al potere del giudice di liquidazione dei compensi alla parte vittoriosa, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, secondo il quale, quando la parte presenta detta nota, secondo quanto è previsto dall’art. 75 disp. att. c.p.c., specificando la somma domandata, il giudice non può attribuire alla parte, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore (Cass., Sez. 6^-3, 14 maggio 2013, n. 11522; Cass., Sez. 6″- 1, 5 marzo 2020, n. 6345), in quanto « pure in mancanza di una espressa istanza in tal senso, il giudice ha il potere di riconoscere alla parte vittoriosa il diritto ad essere rimborsata delle spese sostenute nel processo ed attraverso la nota delle spese, la parte fissa l’oggetto della condanna chiesta al giudice, sì che, tutte le volte che il giudice liquidi spese, diritti di procuratore ed onorari di avvocato in misura inferiore a quella richiesta, la pronuncia deve essere sorretta dalla spiegazione delle ragioni per cui il rimborso è considerato non dovuto o dovuto in
misura inferiore rispetto a quello richiesto in corrispondenza delle singole voci della nota».
In altri termini, si osserva che nel grado di appello la parte poi risultata vittoriosa ha depositato una nota spese e che la liquidazione poi effettuata dal Giudice del gravame si è tradotta in uno scostamento, pari a circa la metà, apprezzabile dei parametri medi (che dovrebbero rappresentare dei criteri standard), il che ha generato la violazione della normativa rubricata.
2.La seconda censura, proposta ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., lamenta la . Si obietta che la decisione del giudice d’appello nella parte in cui nel condannare la parte soccombente al pagamento delle spese di lite nella misura di € 2.000 per il doppio grado di giudizio, ha violato, sotto un duplice profilo, l’art. 4 del d.m. n. 55/14 come aggiornato dal d.m.37/2018 nella parte in cui ha operato una liquidazione delle spese legali omnicomprensiva dei compensi del singolo grado di giudizio, e non già distinta per fasi; 2) nella parte in cui ha operato, comunque, una liquidazione, nel suo importo complessivo, in misura evidentemente inferiore ai parametri medi, ed anche minimi, come si vedrà, previsti nella tabella 1-2 allegata al d.m. n. 55/2014 senza motivare in alcun modo le ragioni di tale riduzione.
La presente controversia trae origine dall’impugnazione di un estratto di ruolo.
3.1. Deve rilevarsi che sulla questione dell’interesse a ricorrere avverso l’estratto di ruolo, il legislatore, nel regolare specifici casi di azione “diretta”, ha introdotto, con l’art. 3 -bis d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, nell’alveo normativo dell’art.12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, il comma 4 -bis, prevedendo le fattispecie in cui l’invalida notificazione della cartella ingenera di per sé
bisogno immediata di tutela giurisdizionale; successivamente, l’art. 12 del d.lgs. n. 110/2024 ha proceduto alla riscrittura delle situazioni che legittimano alla impugnazione dell’estratto di ruolo, inserendo, nel comma 4bis dell’art. 12 cit., nuove condizioni legittimanti l’impugnazione immediata dell’estratto di ruolo, lasciando inalterate la ratio dell’istituto e le restanti ipotesi già tipizzate dal legislatore nel 2021. La modifica apportata al comma 4bis cit. dall’art. 12 del d.lgs. 110 del 2024 si limita, pertanto, all’ampliamento dei casi particolari per le quali il legislatore riconosce l’accesso alla tutela giurisdizionale anche nei confronti dell’estratto di ruolo, e ciò quale eccezione rispetto al principio generale della preclusione della tutela anticipata, così come affermata dalla menzionata norma e come interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte n. 26283 del 2022.
3.2.In assenza di impugnazione in merito alla questione pregiudiziale relativa alla legittimazione ad impugnare l’estratto di ruolo ed in mancanza di decisione esplicita del giudice di merito sulla ammissibilità della contestazione di detto atto, occorre esaminare due aspetti controversi, di cui il primo, relativo alla sussistenza di un giudicato interno implicito in merito alla summenzionata questione ed alla eventuale preclusione alla sua rilevabilità di ufficio in questa sede; il secondo, concernente l’ammissibilità della rilevabilità di ufficio del difetto di legittimazione ad impugnare l’estratto di ruolo laddove la controversia sia proseguita soltanto ai fini della determinazione delle spese di lite.
4. Secondo il principio posto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass.18 dicembre 2024, n. 33103; Cass. 14-2-2023 n. 4448; Cass. n. 33384/2022; Cass. n. 7941/2020; Cass. 2020, n. 4689; v. S.U. 4828/2016) l’applicabilità, anche nei giudizi pendenti, dell’art. 12, comma 4-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 (introdotto con l’art. 3bis del d.l. n. 146 del 2021, convertito con l. n. 215 del 2021) e della relativa configurazione assunta dall’interesse ad agire in virtù
della norma sopravvenuta, rilevante, secondo una concezione dinamica, fino al momento della decisione, trova il suo limite nell’espresso giudicato interno sulla sussistenza dell’interesse. Con riferimento alla formazione del giudicato interno, si è affermato che sulla questione della legittimazione ad agire, il giudicato deve essere espresso, non essendo sufficiente a impedire la rilevabilità d’ufficio della carenza della legittimazione ad agire il giudicato implicito, che, in ordine alla questione pregiudiziale, non può formarsi qualora la questione non sia stata sollevata dalle parti e il giudice, con implicita statuizione positiva sulla stessa, si sia limitato a decidere nel merito, restando in tal caso la formazione del giudicato sulla pregiudiziale impedita dall’impugnativa del capo della sentenza relativamente al merito (Cass. Sez. U 20-3-2019 n. 7925 Rv. 653277-01, Cass. 31 ottobre 2017 n. 25906 Rv. 64616001).
4.1.Lo stesso principio è stato esteso all’interesse ad agire richiesto dall’art. 100 c.p.c.: la carenza di interesse ad agire è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche in mancanza di contrasto tra le parti sul punto, poiché costituisce requisito per la trattazione nel merito della domanda (cfr. Cass. Sez. 3 29-9-2016 n. 19268 Rv. 64211301, per tutte), per cui l’impugnazione sulle questioni decise esplicitamente preclude la formazione del giudicato implicito sulla questione non esaminata relativa all’esistenza del requisito per l’esame nel merito della domanda.
4.2. Questo indirizzo interpretativo è stato oggetto di adesione da parte di Cass., S.U., n. 7925/2019, che, in continuità con Cass. n. 25906/2017, ha affermato che «(i)l giudicato interno, tuttavia, preclude la rilevabilità d’ufficio delle relative questioni solo se espresso, cioè formatosi su rapporti tra ‘questioni di merito’ dedotte in giudizio e, dunque, tra le plurime domande od eccezioni di merito, e non quando implicito, cioè formatosi sui rapporti tra ‘questioni di merito’ e ‘questioni pregiudiziali’ o ‘preliminari di rito
o merito’, sulle quali il giudice non abbia pronunziato esplicitamente, sussistendo tra esse una mera presupposizione logico giuridica» (in senso conforme: Cass. n. 25906/2017; Cass. n. 12936/2024), concludendo nel senso che la decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale “quaestio iuris”, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti né esaminata dal giudice.
4.3.Nel solco dell’orientamento incline a ravvisare il giudicato implicito su questioni processuali ove intervenga la decisione nel merito si collocano, invece, le Sezioni Unite di questa Corte n. 11799/2017, le quali, inoltre, ascrivono alla parte vittoriosa nel merito, ma soccombente in senso virtuale rispetto alla domanda di rito non esplicitamente decisa, l’onere di aggredire la sentenza attraverso l’impugnazione incidentale. Una tale conclusione trae linfa dalla considerazione che la decisione implicita sia viziata per error in procedendo e ciò sul presupposto della cogenza della norma su cui l’ordine logico violato si fonda, ragione per la quale è necessario investire il capo della sentenza che ne sia attinto, sebbene implicito, facendo ricorso ad uno strumento tecnico di critica della sentenza.
4.4. Su detta questione, in particolare, si registra un orientamento di segno contrario, che dà risalto alla circostanza per cui, nell’ipotesi in cui la parte soccombente nel merito interponga gravame, sarebbe eccessivamente gravoso onerare la parte, che invece sia risultata vittoriosa, dell’impugnazione incidentale, non potendosi in tal caso individuare un apprezzabile interesse ad impugnare una decisione favorevole.
4.5. Per un secondo orientamento, invece, la rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado di una questione processuale, della quale sia mancata la considerazione nel grado precedente, rimarrebbe impregiudicata anche nelle ipotesi in cui la parte interessata non
abbia speso un apposito motivo di gravame nel grado successivo, né, in quella sede, abbia riproposto tale questione.
5.Sulla formazione del giudicato implicito su questioni pregiudiziali di rito sono intervenute di recente le S.U. di questa Corte con sentenza 28 agosto 2025, n. 24172 secondo le quali la rilevabilità d’ufficio del vizio processuale, che trascende il grado del giudizio in cui esso si sia manifestato, è strettamente correlata in linea di principio, prima ancora che ad un’espressa previsione normativa, alla circostanza che il vizio discenda da una violazione che determini un vulnus rispetto ad interessi super-individuali, che concorrono a definire la nozione di ordine pubblico processuale, idonea a dar luogo ad una nullità assoluta; tale estensione è possibile solo ove il vizio non sia rimesso dalla norma ‘in via esclusiva’ alla sola iniziativa della parte.
5.1. Pertanto, il vizio scaturente dalla violazione di regole processuali può condurre a consentire la rilevabilità ultra-grado pur quando essa non sia espressamente contemplata, sempre che si tratti di vizi qualificati, poiché riguardano presupposti ‘fondanti’ la struttura e il funzionamento del processo. Essi possono derivare dalla violazione di norme processuali preposte alla tutela del diritto al contraddittorio (elemento costitutivo e indefettibile del processo, che trova presidio negli artt. 24, secondo comma, e 111 Cost. e, in una prospettiva di tutela multilivello, nelle norme sovranazionali di cui agli artt. 6 CEDU e 47 CDFUE), ovvero dal difetto di potestas iudicandi in capo al giudice davanti al quale si sia incardinato il rapporto processuale (Cass., S.U., n. 26019/2008); la prima categoria di violazioni si traduce in una definitiva menomazione del contraddittorio, che produce un pregiudizio in re ipsa nei confronti della parte che le subisca. La seconda categoria di vizi inficia i requisiti fondanti il processo – violazioni che ridondano nel difetto di potestas iudicandi – minando in radice la validità del rapporto giuridico-processuale, che quindi, non costituendosi regolarmente,
non può concludersi con una valida sentenza. Ove la mancata osservanza del prescritto requisito processuale non sia rilevata, né sanata, ove si tratti di vizi per i quali il legislatore ha predisposto meccanismi a ciò volti (si pensi ai vizi di cui agli artt. 164 o 182 c.p.c.; in termini, sull’art. 182 c.p.c., Cass., S.U., n. 4248/2016) e il giudice decida il merito, l’omissione si risolve in una sentenza inutiliter data (Cass., S.U., n. 21260/2016).
5.2. Le violazioni che, secondo la summenzionata decisione delle Sezioni Unite, evocano una patologia di questo tipo riguardano: a) il difetto di legitimatio ad causam (Cass. n. 23568/2011; Cass. 24483/2013; Cass. n. 25906/2017; Cass., S.U., n. 7925/2019); b) il difetto di interesse ad agire (Cass. n. 3330 del 2002; Cass. n. 19268/2016); c) il difetto delle condizioni di proponibilità dell’azione (Cass. n. 2678/1999; Cass. 4553/1999; Cass. n. 9297/2007); d) il difetto di rappresentanza processuale (Cass., S.U., n. 4248/2016); e) le decadenze verificatesi per effetto dello spirare di termini perentori per la proposizione dell’azione (Cass. n. 20978/2013; Cass. n. 32637/2019; Cass., S.U., n. 8501/2021); f) il ne bis in idem : l’esistenza di un giudicato interno o esterno, ove risultante dagli atti del processo (Cass., S.U., n. 226/2001; Cass., S.U., n. 10977/2001), la litispendenza (art. 39, comma primo, c.p.c.; Cass., S.U., n. 9409/1994; Cass. n. 7478/2011; Cass. n. 26862/2016); g) l’inesistenza della sentenza (paradigmaticamente l’art. 161, comma secondo, c.p.c., che prevede la nullità della sentenza per difetto di sottoscrizione).
5.3. L’importanza che rivestono tali questioni processuali rispetto a valori cardine dell’ordinamento costituzionale che attiene al diritto di difesa e al giusto processo impone, quindi, la loro rilevabilità d’ufficio nei gradi successivi a quello in cui esse si sono concretamente manifestate; tali questioni sono dunque estromesse dall’area di copertura del giudicato implicito, poiché riguardano violazioni che danno luogo a vizi insanabili, nonché inemendabili,
salvo l’effetto preclusivo derivante dalla esistenza di una specifica statuizione del giudice di merito e dalla mancata impugnazione al riguardo (tra le altre: Cass., S.U., n. 26019/2008; Cass. n. 23568/2011; Cass., S.U., n. 11799/2017).
5.4. La soluzione che eccettua dall’area del giudicato implicito le questioni processuali ‘fondanti’ si prospetta come necessaria implicazione di una comparazione tra ragionevole durata del processo e le altre garanzie costituzionali sottese alle norme processuali che recepiscono i valori strutturali del processo, all’esito della quale quest’ultime devono essere ritenute prioritarie (Corte cost., sentenze n. 111 del 2022 e n. 317 del 2009; Cass., S.U., n. 9611/2024; Cass., S.U., n. 36596/2021).
5.5. Il rilievo officioso del vizio nei gradi successivi, in definitiva, non può essere neutralizzato per effetto della mancata proposizione dell’impugnazione, né dell’omessa riproposizione ai sensi dell’art. 346 c.p.c..
5.6.La pregnanza assiologica delle norme processuali violate capaci di incidere sulla validità stessa del procedimento impone il poteredovere del giudice di rilevare d’ufficio il vizio processuale insanabile che trascende il grado del giudizio in cui esso si sia manifestato (tra le altre: sezioni unite n. 26019 del 30/10/2008; Cass., S.U., n. 4248/2016; Cass. n. 21863/2019; Cass. n. 6762/2021; Cass. n. 4235/2023).
5.7. E’ dunque prioritario vagliare, anche d’ufficio, se il ricorso introduttivo, con cui è stato impugnato l’estratto di ruolo e, a mezzo di esso, le cartelle di pagamento in esso riportate, sia ammissibile o meno, per carenza di interesse ad una tutela immediata a fronte di un estratto di ruolo, che costituisce l’atto avverso il quale il ricorso medesimo è rivolto, laddove le cartelle costituiscono gli atti impugnati mediatamente, e che il contribuente medesimo assume invalidamente o per nulla notificati. 5.8.Sull’ammissibilità di una siffatta iniziativa processuale avverso
il ruolo e la cartella di pagamento non notificati (o non validamente notificati) è intervenuto, come già anticipato, l’art. 3 -bis del d.l. 21/10/2021 n. 146 che ha inserito il comma 4bis nell’art. 12 del d.P.R. 29/09/1973, n. 602. La corretta interpretazione della citata disposizione -anche in ordine alla sua applicabilità nei giudizi pendenti e alle entrate extratributarie -è stata data da Cass., Sez. U, Sentenza n. 26283 del 6/09/2022, che ha individuato nell’art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. n. 602 del 1973 la selezione, da parte del legislatore, di alcuni specifici interessi idonei a giustificare la tutela immediata rispetto al ruolo e alla cartella non notificata o invalidamente notificata; la carenza dello specifico interesse indicato dalla norma determina l’inammissibilità dell’impugnazione ‘diretta’ o ‘anticipata’, senza con ciò comprimere o impedire la tutela ‘successiva’, che può esplicarsi (anche) nelle forme delle opposizioni esecutive (necessariamente, dopo che un’esecuzione forzata sia stata quantomeno minacciata).
5.9.In tema, infatti, secondo le citate Sezioni Unite di questa Corte, la disposizione, selezionando specifici casi in cui l’invalida notificazione della cartella ingenera di per sé il bisogno di tutela giurisdizionale, ha plasmato l’interesse ad agire, condizione dell’azione avente natura ‘dinamica’ che, come tale, può assumere una diversa configurazione, anche per norma sopravvenuta, fino al momento della decisione; la citata disposizione, dunque, incide sulla pronuncia della sentenza e si applica anche nei processi pendenti, nei quali lo specifico interesse ad agire deve essere dimostrato, nelle fasi di merito attraverso il tempestivo ricorso alla rimessione nei termini (istituto applicabile anche al processo tributario), nel grado di legittimità mediante deposito di documentazione ex art. 372 c.p.c. o fino all’udienza di discussione (prima dell’inizio della relazione) o fino all’adunanza camerale oppure, qualora occorrano accertamenti di fatto, nel giudizio di rinvio (Cass. sez. un. n. 26283 del 2022).
5.10. La novella è già stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale che ha ritenuto inammissibili le questioni proposte (v. Corte cost. n. 190/2023).
5.11.Questo collegio condivide il principio sancito dalle sezioni unite in punto di perimetrazione dell’interesse del contribuente ad agire nelle ipotesi di ricorso avverso l’estratto di ruolo e la cartella di pagamento, di cui pur il medesimo debitore denuncia l’omessa o invalida notificazione, non emergendo nel caso di specie alcuna delle ipotesi per le quali la citata novella del 2021 e quella successiva del 2024 riconosce il diritto del contribuente di impugnare il suddetto estratto di ruolo con la cartella di pagamento secondo quanto previsto dall’art. 12, comma 4 -bis, del d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato -, non emergendo dalle allegazioni della parte ricorrente alcun bisogno di tutela giurisdizionale ai fini della impugnazione ‘diretta’ del ruolo e della cartella (Cass. n. 32081/2024).
A quanto precede, con specifico riferimento al caso di specie, in cui, nel silenzio della sentenza impugnata, non risulta che la questione della diretta impugnabilità dell’estratto di ruolo sia stata agitata dinanzi al giudice di primo e di secondo grado e da questi risolta con statuizione espressa suscettiva di evolvere in giudicato siccome non impugnata, è da aggiungersi che l’unico ‘thema’ ancora controverso concerne la liquidazione delle spese di lite, il che impone di affrontare la questione dibattuta nella giurisprudenza di legittimità concernente la possibilità o meno, in dette ipotesi, di rilevare di ufficio la carenza di interesse ad agire del ricorrente e, dunque, il difetto di legittimazione ad impugnare l’estratto di ruolo.
6.1. Secondo Cass. n. 3812/2023, l’impugnazione della sola decisione sulle spese scinde il legame di accessorietà della relativa statuizione con l’opposizione esperita avverso il contenuto dell’estratto di ruolo e la formazione di res iudicata su quest’ultima impedisce il sindacato sull’interesse alla proposizione dell’azione,
precisando che il riconoscimento dell’autonomia della statuizione sulle spese in caso di sua autonoma impugnazione trova autorevole conferma nella sentenza n. 77 del 19/04/2018 della Corte Costituzionale, secondo cui, «se il giudice decide totalmente il merito della causa, accogliendo o rigettando tutte le domande, emette una sentenza definitiva, alla quale si accompagna la pronuncia sulle spese di lite, che -come già rilevato da questa Corte (nell’ordinanza n. 314 del 2008) -ha «natura accessoria» rispetto alla decisione sul merito. Non di meno, si afferma che la decisione sulle spese di lite ha una sua distinta autonomia nella misura in cui è possibile l’impugnativa di questo solo capo della sentenza definitiva sicché, in tale evenienza, il giudizio di impugnazione è destinato ad avere ad oggetto la sola regolamentazione delle spese di lite» (v. anche Cass., 25/09/2024, n. 25639). La menzionata decisione si pone sulla scia di S.U. n. 16415 del 2018, secondo le quali la natura accessoria della statuizione relativa alle spese di lite è estranea al merito del giudizio se non per il rilievo della soccombenza.
6.2. La decisione in esame conclude affermando che, comunque, lo ius superveniens costituisce valida ragione per sterilizzare la pretesa di spese avanzata per l’impugnazione ‘diretta’ di un estratto di ruolo ( rectius, del suo contenuto), che -in virtù dell’art. 12, comma 4 bis, del d.P.R. n. 602 del 1973 -sarebbe stata dichiarata inammissibile (statuizione preclusa dal giudicato formatosi sul merito dell’azione).
6.3. Cass. n. 4873/2024 che ha esaminato la questione della rilevabilità di ufficio, in sede di legittimità, della inammissibilità del ricorso originato dall’impugnazione dell’estratto di ruolo, allorquando sia impugnato il solo capo relativo alle spese di lite, l’ha esclusa in quanto ha ritenuto che fosse intervenuto un giudicato implicito sulla questione pregiudiziale di rito (legittimazione all’impugnazione dell’estratto di ruolo) sollevata
dalla parte e non esaminata dal giudice, pur affermando la natura accessoria del capo concernente le spese di lite rispetto alla decisione di merito.
6.4. Si è anche affermato – (Cass. 03/12/2024, n. 30952; Cass. Cass. n. 26633/24) che l’impugnazione della sola decisione sulle spese non scinde il legame di accessorietà della relativa statuizione con l’opposizione esperita avverso il contenuto dell’estratto di ruolo; siccome regolato dal criterio della soccombenza ex art. 91, comma 1, cod. proc. civ., è ‘ex se’ condizionato dall’idoneità della domanda di giustizia rassegnata nel ricorso introduttivo a fondare, superando la verifica d’ammissibilità, il dovere decisorio del giudice sul merito della pretesa: talché, vertendosi di spese di lite, in difetto di positivo incontrovertibile accertamento riguardo l’ammissibilità della domanda sotto il profilo, che ne occupa, dell’interesse ad agire, la sussistenza o meno di questo costituisce ancora ‘res controversa’, che fonda non solo il ‘potere’, ma anzi il ‘dovere’, di verifica in capo al giudice, anche in sede di legittimità. 6.5.In particolare, la Corte ha più volte ribadito la natura accessoria della condanna alle spese (ad esempio al fine di affermarne la marginalità rispetto al principio del contraddittorio), in quanto statuizione non scindibile dalla decisione di merito e necessaria anche in mancanza di domanda (per la regolazione d’ufficio delle spese, salvo esplicita rinuncia, v. Cass., S.U., 10.10.1997, n. 9859), tanto che «il sistema processuale non ammette la proposizione di una domanda per conseguire il rimborso delle spese processuali, che sia formulata autonomamente e fuori della sede nella quale quelle spese furono prodotte, poiché il danno che una parte abbia subito per far valere in giudizio un diritto o per resistere a una pretesa di altri, non può essere oggetto di autonomo processo e deve essere invocato all’interno del processo in cui si discuta del merito» (C. Cost., 29.7.2008, n. 314).
6.6. Questo Collegio, ponendosi sulla scia di dette ultime decisioni, osserva che la pronuncia accessoria sulle spese, in quanto tale, è dipendente dall’esito della pronuncia sulla domanda principale configurandosi, in altri termini, come una conseguenza della domanda medesima, giacché l’accessorietà si configura tecnicamente come correlazione logica prima ancora che giuridica alla vicenda processuale principale: è possibile, pertanto, decidere autonomamente solo sul capo relativo alle spese di lite, purché il ricorso originario sia stato instaurato validamente per poter essere, quel capo, ammesso all’esame, dal momento che la natura accessoria della pronuncia sulle spese, proprio in ragione della sua sussidiarietà, non è scindibile dalla decisione sul merito né ad essa estranea (Corte Cost. n. 314/2008).
6.7 . In realtà, non appare decisivo valutare se, nell’ipotesi di impugnazione limitata alla statuizione relativa alle spese di lite, questa si ponga all’esterno o meno della res iudicata , atteso che alla luce dei principi affermati dalla pronuncia delle recenti S.U. n. 24172/2025, la determinante rilevanza assiologica degli interessi fondamentali sottesi alle norme processuali violate impone il poteredovere del giudice di rilevare d’ufficio un vizio processuale di gravità tale da condizionare la validità stessa del procedimento, indipendentemente da una statuizione implicita su di esso, poichè anche il capo della decisione sulle spese di lite presuppone la formulazione di una valida domanda nel ricorso introduttivo; l ‘omessa rilevazione del difetto del prescritto requisito processuale, allorquando il giudice decida il merito della controversia -in quanto vizio per il quale il legislatore ha predisposto meccanismi a ciò volti (Cass., S.U., n. 4248/2016) – si risolve in una sentenza inutiliter data (Cass., S.U., n. 21260/2016).
6.8. Segue che l’inammissibilità del ricorso impedisce l’analisi del merito ed anche della questione secondaria, come quella relativa
alla regolamentazione delle spese processuali (cfr. anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12649 del 25/06/2020).
6.9. Sotto altro profilo, si tratta, nella specie, di vizio – difetto di legittimazione ad impugnare l’estratto di ruolo, in assenza di uno degli interessi legittimanti la tutela anticipata -che inficia i requisiti fondanti il processo, compromettendo in radice la validità del rapporto giuridico-processuale, il quale, quindi, non costituendosi regolarmente, non può concludersi con una valida sentenza.
7.Tornando alla lite, in assenza di iniziative dell’Ufficio tendenti alla riscossione delle cartelle di pagamento oggetto dell’iscrizione a ruolo e in difetto di specifiche deduzioni da parte del contribuente sulla ricorrenza di un interesse ad agire, deve dichiararsi, ai sensi dell’art. 382, comma 3, secondo periodo, c.p.c., l’inammissibilità del ricorso iniziale perché l’azione non poteva essere iniziata (Cass. n. 11473 del 2024; Cass.12 marzo 2025, n. 6588).
Non si è formato, inoltre, alcun giudicato in ordine all’interesse in capo al ricorrente, trattandosi di questione a rilievo officioso (Cass. n. 32637 del 2019; Cass. n. 9688/2025, cit.), non avendo il giudice di merito espressamente accertato l’interesse ad agire in capo al contribuente, il quale nemmeno si è premurato di allegarlo.
9.Deve dunque dichiararsi il difetto di interesse del ricorrente all’impugnazione dell’estratto di ruolo e delle cartelle di pagamento, di cui nega una rituale notifica.
Conclusivamente, deve cassarsi la sentenza impugnata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, comma 3, secondo periodo, c.p.c. dichiarando l’inammissibilità, ai sensi del citato art. 12, comma 4 -bis, del d.P.R. n. 602 del 1973, dell’azione di impugnazione esperita con il ricorso introduttivo del giudizio, perché la causa non poteva essere proposta, restando così assorbiti i motivi di ricorso principale ed incidentale.
Non deve provvedersi sulle spese non avendo la Regione svolto attività difensiva.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315, infine, si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
-Pronunciando su ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata perché la causa non poteva essere proposta e dichiara inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio, assorbiti i motivi di ricorso principale e incidentale;
v.to l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della Corte di cassazione 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME