Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6249 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6249 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 15451-2019 R.G., proposto da:
REITANO NOME COGNOME c.f. CODICE_FISCALE elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE p.i. P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e dife sa dall’avv. NOME COGNOME
RAGIONE_SOCIALE, c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis –
Controricorrenti
Cartelle di pagamento -Notifiche -Giudicato -Estratti di ruolo
Avverso la sentenza n. 4804/13/2018 pronunciata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, depositata il 5 novembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 20 novembre 2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
A Reitano NOME fu notificata l’ intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA relativa alla cartella n. 29320010072933412; secondo quanto illustra la ricorrente, presso lo sportello dell’ agente della riscossione apprese dell’iscrizione a ruolo, a suo carico, delle ulteriori cartelle di pagamento nn. NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA.
La contribuente, contestando l’avvenuta notificazione di tutte le cartelle, propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catania, che con sentenza n. 796/08/2012 accolse le ragioni e annullò tutte le cartelle.
Per quanto qui di interesse, RAGIONE_SOCIALE appellò la pronuncia dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, che con sentenza n. 4804/13/2018, riformando le statuizioni di primo grado, accolse l’impugnazione . Il giudice regionale, dopo aver riportato le rispettive difese, e tra esse la circostanza che la contribuente aveva allegato la sentenza n. 3375/2017, emessa da altra sezione della medesima Commissione, pronunciatasi su identica questione «attinente, per ò, all’imposta di re gistro», con cui l’appello dell’Ufficio (Agenzia delle entrate) era stato rigettato, ha esaminato la documentazione prodotta in giudizio, ha evidenziato che tutte le cartelle di pagamento risultavano regolarmente notificate, ha rilevato che a fronte della ritualità delle notifiche la loro impugnazione era molto tardiva, ha in conclusione accolto l’appello.
Avverso la sentenza la contribuente ha proposto ricorso per la sua cassazione, affidandosi a cinque motivi, ulteriormente illustrati con memoria. La Riscossione Sicilia e l’Agenzia delle entrate hanno resistito , ciascuna con controricorso.
Nell’ adunanza camerale del 20 novembre 2024 la causa è stata trattata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
RGN 15451/2019 Consigliere rel. NOME COGNOME Esaminando le questioni preliminari o pregiudiziali, deve innanzitutto rigettarsi l’eccepita inammissibilità del ricorso, sollevata da RAGIONE_SOCIALE
Sicilia, per l’irrituale notificazione del ricorso proposto nei riguardi dell’Agenzia delle entrate all’indirizzo dell’avvocatura distrettuale della Stato di Catania, e non all’Avvocatura Generale della Stato in Roma.
La rituale costituzione di quest’ultima per l’Agenzia delle entrate supera infatti ogni vizio, atteso che, qualora il ricorso per cassazione sia notificato all’Avvocatura distrettuale dello Stato anziché all’Avvocatura Generale dello Stato, il vizio della notifica è sanato, con efficacia “ex tunc”, dalla costituzione in giudizio del destinatario del ricorso, da cui si può desumere che l’atto abbia raggiunto il suo scopo , con l’unica specificazione che, poiché la sanatoria è contestuale alla costituzione del resistente, deve ritenersi tempestiva la notifica del controricorso, ancorché intervenuta oltre il termine di cui all’art. 370 c. p. c., non avendo tale termine iniziato il suo decorso in ragione dell’inefficacia della notifica dell’atto introduttivo (Cass., 24 giugno 2020, n. 12410; 28 maggio 2024, n. 14914).
Da disattendere sono le ulteriori eccezioni preliminari proposte da RAGIONE_SOCIALE in ordine al mancato rispetto delle prescrizioni dettate dall’art. 366 cod. proc. civ. per il confezionamento del ricorso, considerata la sua completezza quanto ai requisiti di forma-contenuto.
Altrettanto inconferente è l’eccepit a decadenza della controricorrente RAGIONE_SOCIALE dalle proprie domande, deduzioni ed eccezioni, formulata dalla ricorrente, sull’assunto che non risulta costituita l’Agenzia delle Entrate -Riscossione, soggetto subentrante nelle attività di riscossione dei tributi e nella posizione processuale alla disciolta RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE ex art.76 D.L. n.73/2021 convertito in L. n.106/2021.
Poiché il ricorso è stato introdotto nel 2019 dalla contribuente nei confronti dell’agente riscossore della Sicilia, all’epoca Riscossione Sicilia, soccorre il principio, già enunciato da questa Corte in riferimento all’analoga fattispecie dello scioglimento ex lege di Equitalia, secondo cui per effetto della cosiddetta perpetuatio dell’ufficio di difensore (di cui è espressione l’art. 85 c.p.c.), l’estinzione dell’agente della riscossione Equitalia e l’automatico subentro del successore Agenzia delle Entrate- Riscossione, disposti dall’art. 1 del d.l. n. 193 del 2016, conv. con modif. dalla legge n. 225 del 2016, non privano il procuratore della società estinta, che sia già ritualmente costituito nel processo anteriormente alla data della predetta successione, dello ius postulandi e, quindi, della capacità di svolgere attività difensiva nel medesimo
grado di giudizio sino alla sua sostituzione (Cass., 3 febbraio 2022, n. 3312). D’altronde, sempre p er effetto del principio della cd. perpetuatio dell’ufficio di difensore, nessuna efficacia può dispiegare, nell’ambito del giudizio di cassazione, caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio, la sopravvenuta rinuncia che il difensore del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell’udienza di discussione già fissata (Cass., 29 settembre 2022, n. 28365). Infine, se dovesse ritenersi obbligatoria la costituzione del successore universale, qual è ex lege l’Agenzia delle entrate -Riscossione rispetto ai precedenti Agenti della riscossione come Equitalia o Riscossione Sicilia, facendone altrimenti discendere la decadenza automatica dell’ente precedentemente costituito, dovrebbe conseguentemente reputarsi app licabile l’istituto della interruzione del processo anche nel giudizio di cassazione, che invece, proprio per l’impulso d’ufficio che accompagna la struttura del processo in sede di legittimità, ne è del tutto estranea ( ex multis , cfr. Cass., 4 aprile 2024, n. 9024; 8 giugno 2021, n. 15928).
Più in generale, secondo condivisibile orientamento elaborato in riferimento ad Equitalia, ma sovrapponibile alle ipotesi in cui si tratta di Riscossione Sicilia, l’estinzione ope legis delle società del c.d. “gruppo Equitalia” ai sensi dell’art. 1 del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2016, n. 225, non determina l’interruzione dei processi pendenti, né la necessità di costituzione in giudizio del nuovo ente Agenzia delle Entrate-Riscossione, non costituendo successione nel processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c., bensì successione nei rapporti giuridici controversi ex art. 111 c.p.c., e ciò ancorché vi sia stata la previsione legislativa del subentro del nuovo ente «a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali» del soggetto estinto (Cass. 15/06/2018, n. 15869; vedi anche, a proposito del subentro di Equitalia s.p.a. nelle funzioni di riscossione svolte dai concessionari privati, Cass. 28/03/2014, n. 7318). Nel caso che ci occupa l’Agenzia delle entrateRiscossione non ha inteso costituirsi e il processo continua pertanto esclusivamente tra le parti originarie (cfr. Cass., n. 33639 del 2018; n. 2721 del 2024).
Venendo al merito, ma prima di esaminare i singoli motivi, è incontestato che delle cinque cartelle oggetto di controversia, solo l’ultima è risultata impugnata a seguito di notifica di intimazione di pagamento, mentre, per
quanto dichiarato dalla stessa contribuente, le quattro precedenti sono state impugnate solo dopo aver appreso della loro esistenza a mezzo dell’estratto di ruolo (NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA).
Ebbene, per esse occorre valutare se sussista una carenza di interesse ad una tutela immediata, atteso che il ricorso si rivolge comunque immediatamente all’estratto di ruolo e le cartelle risultano impugnate solo mediatamente.
L’esame preliminare si impone alla luce del principio di diritto, dispensato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui « In tema di riscossione a mezzo ruolo, l’art. 3-bis del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, inserito in sede di conversione dalla l. 17 dicembre 2021, n. 215, col quale, novellando l’art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è stato inserito il comma 4-bis, si applica ai processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata » (Cass., Sez. U, 6 settembre 2022, n. 26283).
In tema, infatti, la Corte ha ritenuto che, pur dovendosi escludere che l’art. 3 -bis cit. abbia natura di norma di interpretazione autentica, né potendo ad essa attribuirsi efficacia retroattiva, «il legislatore, nel regolare specifici casi di azione “diretta”, stabilisce quando l’invalida notificazione della cartella ingeneri di per sé bisogno di tutela giurisdizionale e, quindi, tenendo conto dell’incisivo rafforzamento del sistema di garanzie, di cui si è detto, plasma l’interesse ad agire», interesse che va dunque dimostrato.
Questo collegio condivide il principio sancito dalle sezioni unite in punto di perimetrazione dell’interesse del contribuente ad agire nelle ipotesi di ricorso avverso l’estratto di ruolo e la cartella di pagamento, di cui pur il medesimo debitore denuncia mediatamente l’omessa o invalida notificazione, non emergendo nel caso di specie alcuna delle ipotesi per le quali la novella del 2021 riconosce ancora il diritto del contribuente di impugnare il suddetto estratto con la finalità di impugnare la cartella (secondo quanto previsto dall’art. 12, comma 4 -bis, del d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dall’art. 3 -bis del d.l. 146 del 2021, inserito in sede di conversione dalla l. n. 215 del 2021).
D’altronde le ragioni per le quali il precedente orientamento giurisprudenziale aveva riconosciuto l’impugnabilità dell’estratto di ruolo,
quand’anche non espressamente compreso tra gli atti elencati nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, erano finalizzate ad assicurare la possibilità di far valere l’invalidità stessa di un atto fiscale, non notificato, anche prima di quanto previsto dall’a rt. 19, comma 3, ultima parte, del d.lgs. n. 546 del 1992. Si assumeva infatti che l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso (Sez. U, 2 ottobre 2015, n. 19704).
Ma rispetto al tessuto normativo all’epoca vigente, quelle limitazioni avvertite alla tutela giurisdizionale, foriere del pericolo che la risposta della giustizia potesse giungere in ritardo e solo in termini meramente risarcitori, sono venute meno grazie al riconoscimento di una più ampia tutela del contribuente anche nella fase esecutiva.
I principi trovano conferma, così chiarendosi, allo stato, i limiti di impugnabilità degli estratti di ruolo, nel recente intervento della Corte Costituzionale, che, nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in tema, con sentenza n. 190 del 17 ottobre 2023, ha significativamente evidenziato come il rimedio al vulnus riscontrato richiede un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore, così che «le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Napoli in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., dell’art. 12, comma 4 – bis , del d.P.R. n. 602 del 1973, così come modificato dall’art. 3- bis del d.l. n. 146 del 2021, come convertito, il quale -disponendo che il ruolo e la cartella che si assume invalidamene notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’is crizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto -, innalza la soglia del bisogno di tutela giurisdizionale dei contribuenti ai fini della impugnazione ‘diretta’ del ruolo e della cartella. La disposizione censurata restringe la possibilità di impugnare la cartella di pagamento che si ritenga invalidamente notificata e di cui il contribuente sia venuto a conoscenza dall’estratto di ruolo (che ne afferma la valida notifica), a causa delle gravi inefficienze del sistema italiano della riscossione, che ha condotto all’enorme proliferazione di controversie strumentali di impugnazione degli estratti di ruolo radicate dai debitori iscritti a ruolo, con un aumento esponenziale delle cause per far valere, spesso
pretestuosamente, ogni sorta d’eccezione avverso cartelle notificate anche molti anni prima. L’abuso di quanti approfittano della vulnerabilità del sistema e così generano un preoccupante contenzioso seriale non può tuttavia comprimere in via sistematica i l bisogno di tutela ‘anticipata’ dei soggetti (fossero anche pochi) che legittimamente lo invocano. Tuttavia, il rimedio alla situazione che si è prodotta coinvolge profili rimessi alla discrezionalità del legislatore; tale risultato può, infatti, essere ottenuto intervenendo in più direzioni, peraltro non alternative. Con riferimento a questa indefettibile esigenza di superare, in definitiva, la grave vulnerabilità ed inefficienza, anche con riferimento al sistema delle notifiche, che ancora affligge il sistema italiano della riscossione, va formulato il pressante auspicio che il Governo dia efficace attuazione ai princìpi e criteri direttivi per la revisione del sistema nazionale della riscossione contenuti nella delega conferitagli dall’art. 18 della legge n. 111 del 2023» (così nel principio massimato).
All’accorata sollecitazione di un intervento, maggiormente garantista del contribuente, quando effettivamente prospettabile un suo danno irreversibile, cagionato dalla preclusione di una tutela giurisdizionale della propria posizione giuridica soggettiva nei confronti dell’erario, qualora impedito un ricorso indirizzato immediatamente nei confronti dell’estratto di ruolo, ha provveduto il Legislatore con il d.lgs. 29 luglio 2024, n. 110, il cui art. 12, modificando il comma 4 bis dell’art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ha ampliato le ipotesi di diretta impugnazione del ruolo. Si tratta di ipotesi per le quali il legislatore ha inteso riconoscere il potenziale pregiudizio che il debitore può subire dalla limitazione alla impugnazione di una posizione fiscale debitoria iscritta a ruolo.
La modifica apportata al comma 4 bis dell’art. 12 del d.P.R. 602 del 1972 dall’art. 12 del d.lgs. 110 del 2024 si limita tuttavia all’ampliamento delle ipotesi per le quali il legislatore riconosce l’accesso alla tutela giurisdizionale anche nei confronti dell’estratto di ruolo, e ciò quale eccezione rispetto al principio generale della preclusione della tutela anticipata, così come affermata dalla norma ed interpretata dalla Corte di legittimità nei precedenti richiamati.
Nel caso di specie non appare in alcun modo evidenziata una sola delle ragioni proposta dal contribuente a fondamento di un interesse ad una tutela anticipata. Deve dunque dichiararsi il difetto di interesse della Reitano
RGN 15451/2019
all’impugnazione dell’estratto di ruolo e delle surrichiamate cartelle di pagamento.
La sentenza, dunque, quanto alle suddette cartelle, va cassata e, poiché la controversia può essere decisa anche nel merito, per le esposte ragioni va dichiarata l’inammissibilità del ricorso introduttivo della ricorrente .
Esaminando allora i motivi di ricorso, ma con riguardo alla sola cartella n. NUMERO_CARTA con il primo la contribuente sostiene la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., degli artt. 324 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. La sentenza sarebbe viziata perché il giudice regionale non avrebbe tenuto conto della sentenza n. 3375/05/2017, depositata il 18 settembre 2017, con la quale la medesima Commissione tributaria regionale si pronunciò nel giudizio d’appello avverso la stessa sentenza 796/08/2012, appellata in via autonoma nei confronti della Agenzia delle entrate, rigettando le domande formulate dall’Ente impositore . La decisione passò poi in giudicato. In quel giudizio l’Agente della riscossione non si costituì rimanendo dunque contumace.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza . Per l’invocazione del giudicato è necessario, infatti richiamarne innanzitutto la portata, e a tal fine questa Corte ha già chiarito che il deducente l’esistenza d i un giudicato esterno , a pena d’inammissibilità deve riprodurre in giudizio il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, mancando di sufficienza il richiamo a stralci della motivazione (Cass., 23 giugno 2017, n. 15737). In particolare, si è affermata la necessità del richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo (Cass., 8 marzo 2018, n. 5508). L ‘ interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, ma nei limiti in cui il giudicato sia stato riprodotto nel ricorso per cassazione e rispetti il principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione (Cass., 27 febbraio 2024, n. 5126). Peraltro, a tale adempimento occorre aggiungere che la parte provveda ad indicare il momento e le circostanze processuali in cui i predetti atti siano stati prodotti (Cass., Sez. U., 27 gennaio 2004, n. 1416). Ciò perché l’ eccezione di giudicato esterno non può essere dedotta per la prima volta in cassazione se il giudicato si è formato nel corso del giudizio di merito, attesa la non deducibilità, in tale sede, di questioni nuove. Solo quando il giudicato esterno si è formato dopo la conclusione del giudizio di
merito (e, cioè, dopo il termine ultimo per ogni allegazione difensiva in grado di appello), la relativa eccezione è opponibile nel giudizio di legittimità (Cass., 29 febbraio 2024, n. 5370).
Nel caso di specie manca la allegazione della sentenza, alla quale peraltro la stessa pronuncia qui impugnata fa richiamo, escludendone gli effetti di giudicato per aver trattato di altra imposta, così che i principi qui enunciati, e in particolare la necessità di sua allegazione assumeva importanza più che mai assorbente.
Con il secondo motivo ci si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 58, d.lgs. n. 546 del 1992. Il giudice regionale avrebbe errato per aver ammesso e vagliato nuove prove, allegate dal Concessionario della riscossione. Si sostiene che non si tratterebbe di documentazione afferente a prove già allegate nel giudizio, ma a nuove questioni che la controricorrente avrebbe introdotto in sede d’appello.
Il motivo è privo di pregio . Nella vigenza dell’art. 58 del d.lgs. 546 del 1992 (ora sostituito dall’art. 112 del d.lgs. 14 novembre 2024, n. 175), applicabile al presente giudizio, nel processo tributario la produzione di nuovi documenti in appello è generalmente ammessa ai sensi dell’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, salvo che i medesimi siano funzionali a sollevare eccezioni in senso stretto o nuove domande o prove del tutto estranee all’impianto difensivo della controparte e pertanto comunque riconducibili a nuove domande (cfr. Cass., 4 aprile 2018, n. 8313; 16 novembre 2018, n. 29568). Ai sensi dell’art. 58 cit. l a parte può produrre in appello prove documentali, anche preesistenti al giudizio di primo grado, ancorché rimasta contumace in quest’ultimo giudizio (Cass., 23 giugno 2021, n. 17921; 7 marzo 2023, n. 6772). In ogni caso non vi è mai preclusione di allegazione rispetto a quella documentazione riconducibile alla mera difesa, il che, per l’ente impositore o per quello della riscossione, attiene ad esempio anche alla produzione della notifica dell’atto impugnato, quando non già allegato in primo grado (Cass., n. 8313 del 2018, cit.; 27774 del 2017).
Nel caso di specie, al di là delle affermazioni di principio e del l’invocazione di una diversa interpretazione della norma, rispetto a quella elaborata dalla giurisprudenza di legittimità -che implicitamente mostra di ben conoscere-, il motivo non è neppure sufficientemente specifico, perché manca di concreti richiami alla documentazione di cui se ne lamenta l ‘ allegazione in sede di
appello, né di come questa documentazione potesse porsi rispetto alle preclusioni processuali riferibili alle sole nuove eccezioni in senso stretto o a domande nuove.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 140 c.p.c. e 48 disp. att. c.p.c. La pronuncia avrebbe erroneamente riconosciuto la corretta notificazione delle cartelle di pagamento impugnate.
Il motivo è inammissibile, sia perché pretende un accertamento in fatto inesigibile in sede di legittimità, sia perché le cartelle indicate nel ricorso sono quelle richiamate nell’estratto di ruolo, per le quali si è già rilevata l’inammissibilità del ricorso introduttivo.
Con il quarto motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 5 bis, lett. c) del d.l. 17 giugno 2005, n. 106, conv. in l. 31 luglio 2005, n. 156 e 2953 cod. civ. Il giudice regionale non avrebbe tenuto conto della intervenuta prescrizione dei crediti erariali.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
È inammissibile perché non riferisce se la prescrizione fosse stata eccepita tempestivamente nei gradi di merito, ed è comunque infondata, attesa la prescrizione decennale applicata ai crediti erariali a titolo di IVA o di Irpef.
Con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 96 del cod. proc. civ. La sentenza impugnata sarebbe errata anche in punto di liquidazione delle spese processuali, riconosciute al Concessionario della riscossione nonostante questo solo in sede d’appello avesse prodotto la documentazione relativa alla notificazione delle cartelle. Il motivo è infondato perché la sentenza ha liquidato le spese in applicazione del principio della soccombenza.
In definitiva il ricorso, per quanto concerne la sola cartella oggetto d’esame nel giudizio, va rigettato. All’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente, nelle spese processuali, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, con riferimento alle cartelle di pagamento nn. NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA, cassa la sentenza e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della ricorrente; con riferimento all’ intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA relativa alla cartella n. NUMERO_CARTA, rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione
di € 2.400 ,00 in favore d ell’Agenzia delle Entrate, oltre al pagamento delle spese prenotate a debito e di € 2.400,00 in favore di Riscossione Sicilia, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2024