Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15905 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15905 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22979/2023 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA RAGIONE_SOCIALE II GRADO EMILIA ROMAGNA n. 476/2023 depositata il 07/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nei confronti di COGNOME quale socio solidalmente responsabile dei debiti della società RAGIONE_SOCIALE veniva emessa la cartella di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO con cui l’Ufficio chiedeva l’importo di € 16.447,91 recuperando a tassazione IVA relativa all’anno 1995, oltre interessi pari ad € 18.813,52 dovuti dalla società cancellatasi dal registro delle imprese in data 21 febbraio 2001.
Il contribuente impugnava l’estratto di ruolo dinanzi alla CTP di Rimini, evidenziando l’omessa notifica della cartella, eccependo la prescrizione della pretesa, nonché l’errata formazione del ruolo in assenza di un valido titolo esecutivo.
La CTP di Rimini, con sentenza n. 236/2019 respingeva il ricorso. Avverso tale pronuncia, il contribuente proponeva appello dinanzi alla CTR dell’Emilia -Romagna che, con sentenza n. 476/23 del 4/04/23 non notificata, respingeva l’appello e confermava la sentenza impugnata.
Il contribuente propone ora ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste l’Agenzia con controricorso.
Il contribuente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 24 Cost., legge n. 212/2000, art. 2945 cod. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 cod. proc. civ., per aver la CTR ritenuto corretto l’operato dell’Agenzia delle Entrate in ordine all’omessa notifica nei confronti dell’ex socio COGNOME NOME
della cartella di pagamento emessa nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 D.lgs 546/1992 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c., per aver la CTR erroneamente ritenuto inammissibile, per tardività, il ricorso introduttivo di primo grado sostenendo che la cartella di pagamento avrebbe dovuto essere impugnata unitamente alle due intimazioni di pagamento. Secondo la prospettazione del ricorrente, tale affermazione sarebbe erronea in quanto l’intimazione di pagamento non è un atto autonomamente impugnabile e l’art. 19 comma 4 Dlgs 546/1992 prevede in tal senso una mera facoltà e non un obbligo a cui consegue la decadenza del diritto.
Con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2934, 2935, 2943, 2946, 2948, 2953 cod. civ., in relazione all’art. 360 comma 2 n. 3 cod. proc. civ., per aver la CTR rigettato l’eccezione di prescrizione del credito e non applicato il termine di prescrizione quinquennale.
In premessa merita rilevare l’intempestività del seguente profilo evidenziato in memoria illustrativa testualmente come segue: ‘ Sempre PRELIMINARMENTE si chiede la cessazione della materia del contendere per il maturarsi del cd ‘silenzio -accoglimento’ ex L. n.228/2012. Infatti il ricorrente allega prova del fatto che nelle more, con raccomandata a/r del 12.6.2018, ricevuta il 15.6.2018, il sig. COGNOME inoltrava all’ADER l’istanza prevista ai sensi e per gli effetti dell’Art. 1 comma 537 e seguenti della L. 228/2012, circa la pretesa tributaria gravante sullo stesso (All. n.1), senza ricevere riscontro all’istanza da parte dell’Ente Impositore, unico legittimato, nel termine perentorio di 220 gg. In seguito a ciò, la pretesa sullo stesso gravante deve considerarsi cancellata ex lege per il maturarsi del cd ‘silenzio -accoglimento’ e cessata la materia del contendere con condanna alla soccombenza virtuale dell’ADER ‘. Si
tratta di un profilo che, riguardando fatti antecedenti alla pronuncia di secondo grado, avrebbe dovuto indefettibilmente essere veicolato in quella sede; la questione rimane in ogni caso assorbita nella declaratoria di inammissibilità per carenza di interesse dell’originario ricorso di seguito argomentata.
Viene in apice, infatti, il complesso dei principi affermati da questa Corte con riferimento all’impugnazione dell’estratto di ruolo e della cartella di pagamento asseritamente non notificata.
Come noto, questa Corte, con sentenza delle Sezioni unite del 2 ottobre 2015, n. 19704, ha chiaramente osservato che « il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale a causa dell’invalidità della relativa notifica -sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non osta l’ultima parte del comma 3 dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato – impugnabilità prevista da tale norma – non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l’invalidità stessa anche prima, giacché l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione ».
Ciò posto, nelle more del giudizio è intervenuto il D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, conv. dalla L. 17 dicembre 2021, n. 215, che, all’art. 3bis, ha modificato l’art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, mediante l’aggiunta, a tale norma, del comma 4 -bis, che testualmente dispone: « L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il
ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione ».
La norma in questione, dunque, ha limitato l’accesso alla tutela immediata avverso il ruolo e la cartella di pagamento non notificata, configurata dalle Sezioni Unite di questa Corte come alternativa, e rimessa alla facoltà della parte, rispetto alla tutela differita prevista dall’art. 19, comma 3, ultima parte, del D.Lgs. n. 546 del 1992.
La nuova norma si applica anche ai giudizi pendenti, qual è il presente. Sul punto, sono intervenute nuovamente, di recente, le Sezioni Unite di questa Corte, le quali, con sentenza n. 26283 del 6 settembre 2022, hanno affermato il seguente principio di diritto: « In tema di riscossione a mezzo ruolo, il d.l. n. 146 del 21 ottobre 2021, art. 3-bis, inserito in sede di conversione dalla l. 17 dicembre 2021, n. 215, col quale, novellando il d.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, è stato inserito il comma 4- bis, si applica ai processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cost., quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e
all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione ». La disciplina in questione – specificano le SS.UU. – non è difatti irragionevole, né arbitraria. Essa asseconda non soltanto l’esigenza di contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dall’emissione delle cartelle, e al cospetto dell’inattività dell’agente per la riscossione, ma anche quella di pervenire a una riduzione del contenzioso. In particolare, le finalità deflattive rispondono alla consapevolezza, già sottolineata dalla Corte costituzionale (in particolare con la sentenza 19 aprile 2018, n. 77), che, « a fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in ragione del riconoscimento di nuovi diritti, la giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in opera ». Ciò, del resto, è coerente con la natura di atto meramente interno dell’estratto di ruolo, per la cui impugnazione il contribuente non ha uno specifico interesse, trattandosi di atto di per sé non ‘lesivo’, nel mentre, con riferimento alle cartelle di pagamento non notificate o invalidamente notificate, l’interesse sussiste unicamente allorquando tale situazione determina un concreto pregiudizio economico, come specificato dalla stessa norma.
La norma in questione, nel regolamentare le ipotesi di azione diretta (così come la definisce la stessa Corte), stabilisce quando l’invalidità della notificazione della cartella esattoriale provochi di per sé il bisogno di tutela giurisdizionale, dimostrato dalla presenza dell’interesse ad agire che, quale condizione dell’azione, assume diverse configurazioni. Ne deriva che di questo interesse ad agire -che conforma il bisogno di tutela giurisdizionale -è necessario fornire una dimostrazione, che si può dare anche nel corso dei giudizi pendenti e che può essere allegato anche nel giudizio di legittimità. Né, secondo la Corte, possono ritenersi fondati i dubbi di legittimità costituzionale della norma, in relazione agli artt. 3,
24, 113 e 117 Cost., né la prospettata intrinseca irrazionalità della norma stessa. Tali dubbi devono essere superati considerando l’ampia discrezionalità di cui il legislatore gode nell’ambito della disciplina del processo, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà.
I casi previsti dalla nuova disciplina, peraltro, sono ‘tassativi’ e ‘non esemplificativi’ e, pertanto, insuscettibili di interpretazione e applicazione analogica o anche semplicemente estensiva. Con la conseguenza che la norma in esame non comporta alcuna compressione della effettività della tutela giurisdizionale dato che, almeno rispetto al giudizio tributario, essa ne provoca un ampliamento; in secondo luogo perché il potere cautelare di cui è fornito il giudice tributario e quello ordinario, anche dell’esecuzione, evita il rischio che si creino zone non coperte dalla tutela giurisdizionale stessa. Infatti, anche laddove la notificazione della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento sia stata omessa o sia invalida, vi è sempre un giudice che può pronunciarsi sulle doglianze avanzate dal contribuente che impugni l’atto successivo, pur se esecutivo, o alternativo all’esecuzione.
Ne consegue che, nel caso di specie, la sentenza d’appello va cassata e il ricorso proposto in primo grado dal contribuente deve essere dichiarato inammissibile, non essendo stato precisato dal contribuente lo specifico interesse all’impugnazione, con riferimento alle ipotesi del sopravvenuto art. 12, comma 4-bis, d.P.R. n. 602/1973. Le spese vanno compensate in ragione dell’epilogo della controversia.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara inammissibile per difetto d’interesse l’originario ricorso della parte contribuente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26/03/2025.