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Impugnazione estratto di ruolo: i limiti d’azione

Una società ha impugnato un estratto di ruolo sostenendo la mancata notifica degli atti presupposti. La Corte di Cassazione, applicando una recente normativa (art. 12, comma 4-bis, d.P.R. 602/1973), ha dichiarato il ricorso originario inammissibile. La Corte ha stabilito che l’impugnazione dell’estratto di ruolo è consentita solo se il contribuente dimostra di subire un pregiudizio specifico e concreto, prova che nel caso di specie non è stata fornita. Di conseguenza, la sentenza di merito è stata cassata senza rinvio.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Impugnazione Estratto di Ruolo: Quando è Ammessa? La Cassazione Definisce i Limiti

L’impugnazione estratto di ruolo rappresenta da tempo un tema dibattuto nel contenzioso tributario. Per anni i contribuenti hanno utilizzato questo strumento per difendersi da pretese fiscali ritenute illegittime, soprattutto quando gli atti presupposti, come le cartelle di pagamento, non erano stati regolarmente notificati. Tuttavia, un recente intervento legislativo e una fondamentale ordinanza della Corte di Cassazione hanno ridisegnato i confini di questa azione, introducendo requisiti più stringenti. Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte ribadisce che non basta la mera assenza di notifica per poter agire in giudizio: è necessario dimostrare un pregiudizio concreto.

I Fatti del Caso

Una società contribuente si rivolgeva alla Commissione Tributaria Provinciale per contestare un’iscrizione a ruolo e tre cartelle di pagamento relative a IRES, IVA e IRAP per diverse annualità. La società lamentava l’omessa o irrituale notifica delle cartelle prodromiche, sostenendo di conseguenza l’autonoma impugnabilità dell’estratto di ruolo. L’agente della riscossione e l’Agenzia delle Entrate si costituivano in giudizio, eccependo l’inammissibilità del ricorso per la definitività degli atti, a loro dire regolarmente notificati.

La Commissione Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso, annullando una delle tre cartelle. La decisione veniva impugnata sia dalla società, che chiedeva l’annullamento delle restanti cartelle, sia dall’agente della riscossione. La Commissione Tributaria Regionale, tuttavia, respingeva entrambi gli appelli. La vicenda giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione, su ricorso delle agenzie fiscali e controricorso della società.

La Questione Giuridica e i Limiti all’Impugnazione Estratto di Ruolo

Il cuore della controversia verte sulla nuova disciplina relativa all’impugnazione estratto di ruolo, introdotta dall’art. 3-bis del D.L. n. 146/2021, che ha modificato l’art. 12 del d.P.R. n. 602/1973. Questa norma ha stabilito che l’estratto di ruolo non è di per sé un atto impugnabile. Ha però previsto che il ruolo e la cartella di pagamento, che si assumono invalidamente notificati, possano essere oggetto di impugnazione diretta solo in casi specifici.

Il contribuente deve dimostrare che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio concreto e attuale, quale:

a) L’impossibilità di partecipare a gare d’appalto;
b) difficoltà nella riscossione di crediti verso la pubblica amministrazione;
c) la perdita di un beneficio nei rapporti con un ente pubblico;
d) problematiche nell’ambito di procedure concorsuali;
e) ostacoli in operazioni di finanziamento o cessione d’azienda.

La questione fondamentale sottoposta alla Corte era se questa nuova e più restrittiva disciplina si applicasse anche ai giudizi già in corso al momento della sua entrata in vigore.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, richiamando un suo precedente e autorevole intervento a Sezioni Unite (sentenza n. 26283/2022), ha fornito una risposta affermativa. I giudici hanno chiarito che la nuova normativa si applica ai processi pendenti perché incide sull’interesse ad agire, una condizione dell’azione che deve sussistere fino al momento della decisione.

L’interesse ad agire, secondo la Corte, ha una natura ‘dinamica’. L’intervento del legislatore ha ‘plasmato’ questo interesse, specificando i casi in cui la mancata notifica della cartella genera di per sé un bisogno di tutela immediata. Al di fuori di queste ipotesi, il contribuente non ha un interesse giuridicamente rilevante a far dichiarare l’invalidità dell’atto, dovendo attendere la notifica di un atto successivo (es. un pignoramento) per potersi difendere.

Nel caso specifico, la società contribuente non aveva allegato né dimostrato la sussistenza di alcuno dei pregiudizi elencati dalla norma. La semplice affermazione di non aver ricevuto le cartelle non era più sufficiente a fondare l’ammissibilità del ricorso originario.

Le Conclusioni

In base a queste motivazioni, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale senza rinvio, dichiarando l’inammissibilità del ricorso originario proposto dal contribuente. La decisione segna un punto fermo: l’impugnazione estratto di ruolo non è più un’azione esperibile in via ‘preventiva’ o ‘esplorativa’. Per poter accedere alla tutela giurisdizionale, il contribuente deve ora fornire la prova di un danno concreto e imminente derivante dall’iscrizione a ruolo, come specificato dal legislatore. In assenza di tale prova, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente compensazione delle spese di giudizio, come nel caso di specie, a causa del mutato quadro normativo.

È sempre possibile impugnare un estratto di ruolo se non ho ricevuto la cartella di pagamento?
No. La Corte di Cassazione, applicando la nuova normativa, ha stabilito che l’impugnazione è ammissibile solo se il contribuente dimostra che dall’iscrizione a ruolo deriva un pregiudizio concreto e attuale, come la perdita di un beneficio o l’impossibilità di partecipare a gare pubbliche.

La nuova legge sui limiti all’impugnazione si applica anche ai processi già in corso?
Sì. La sentenza chiarisce che la normativa introdotta nel 2021 (art. 12, comma 4-bis, d.P.R. 602/1973) si applica anche ai giudizi pendenti, poiché incide sulla condizione dell’azione dell'”interesse ad agire”, che deve sussistere al momento della decisione.

Cosa succede se un’azienda fallisce durante un giudizio in Cassazione?
Il giudizio in Cassazione non si interrompe. Trattandosi di un procedimento dominato dall’impulso d’ufficio, il fallimento di una delle parti è irrilevante e il curatore fallimentare non è legittimato a subentrare nel processo in quella sede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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