Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3242 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3242 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6400/2020 R.G. proposto da :
COGNOME , elettivamente domiciliato in Roma, in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
COMUNE COGNOME AGENZIA RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 7231/2019 depositata il 10/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Dalla sentenza impugnata emerge quanto segue.
NOME COGNOME propose opposizione avverso la cartella di pagamento n. 295 2008 00050365 avente ad oggetto IRPEF, IRAP, TOSAP in relazione agli anni 2000, 2002, 2003, 2004, 2005, 2006.
L’opposizione venne respinta dalla C.T.P. di Messina.
Seguì ulteriore impugnazione da parte del contribuente, anch’essa respinta.
In particolare, il giudice di merito rigettò le eccezioni formulate dal ricorrente ritenendo infondata l’eccezione di nullità della cartella quale conseguenza giuridica dell’inesistenza della notifica per violazione dell’art. 148 c.p.c., non essendo rilevante la collocazione della notifica, nella specie sul frontespizio, ai fini della sua validità.
2.Si osservò, inoltre, richiamando la giurisprudenza di legittimità, che la mancata sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comportasse l’invalidità dell’atto, la cui esistenza ‘non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che, al di là di questi elementi formali, esso sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo’. Si escluse altresì la sussistenza della invocata violazione dell’art. 36 -bis, comma 3, del
d.P.R. n. 600 del 1973 affermando che la predetta disposizione non prevede alcun obbligo per l’Amministrazione finanziaria di invitare tramite avviso bonario il contribuente a fornire i documenti necessari ovvero a produrre documenti.
Si respinsero, inoltre, le ulteriori doglianze in quanto non relative a vizi propri della cartella ma agli atti ad essa prodromici, vizi che avrebbe dovuto valere in sede di impugnazione di questi ultimi.
Nel merito si affermò, infine, che la documentazione versata in atti dal contribuente non fosse idonea ad inficiare la validità della pretesa tributaria.
3.NOME COGNOME impugna la decisione con quattro motivi, resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il Comune di Patti e l’ Agenzia RAGIONE_SOCIALE sono rimasti intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 57 del d. P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2948 c.c.
Il giudice di merito avrebbe errato ‘indotto dalle argomentazioni svolte dall’Ufficio’ nel ritenere operante nella specie l’istituto della proroga dei termini di cui all’art. 10 della l. n. 289 del 2002 laddove l’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede che gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione’.
2.Con il secondo motivo si denuncia la nullità della ‘sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, 4 e 5 per violazione di legge nel verbale di contestazione. Violazione di legge e omessa motivazione ed omesso esame di fatti specifici.’
La decisione sarebbe inesistente e totalmente carente in punto di motivazione, apparente, apodittica circa il rigetto in relazione ai motivi spiegati in appello.
La sentenza avrebbe, quindi, omesso l’esame di fatti decisivi e le eccepite irregolarità sollevate in primo grado e riproposte in appello.
Sicché, secondo il ricorrente, la pronuncia impugnata, al pari di quella di primo grado, sarebbe priva di motivazione ovvero si sostanzierebbe nella mera adesione acritica di un atto pregiudiziale, o comunque, endoprocessuale, da cui non risulterebbero le ragioni sulle quali è fondata.
3.Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 12 della l. n. 212 del 2000 per violazione del diritto di difesa non essendo stato notificato il PVC. L’agenzia delle Entrate avrebbe quindi emanato degli avvisi di accertamento illegittimi in quanto le presunzioni semplici poste alla loro base non solo ‘si fondano su un fatto noto totalmente errato, facendo pervenire a delle conseguenze totalmente errate, ma non presentano neppure i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge per essere ammesse dal giudice’.
4.Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di principi di legge in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 2729 c.c.
Il giudice di merito avrebbe, in quest’ottica, omesso l’esame circa l’eccepita violazione di principi di legge che prevedono per le rimanenze un trattamento ed una verifica particolare che al momento del verbale di constatazione della Guardia di finanza non sarebbe stata eseguita.
Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate aveva l’onere di provare che la ditta individuale di NOME Giovanni avesse effettivamente
realizzato il maggiore reddito di impresa dal quale potersi desumere l’omesso versamento IRPEF, IRAP e IVA.
5. Il ricorso è in parte infondato ed in parte inammissibile.
Con il primo motivo il ricorrente si duole della ritenuta violazione dell’art. 43 del d.P.R. n.600 del 1973 non in relazione alla cartella di pagamento, oggetto della sentenza impugnata, ma con riferimento agli avvisi di accertamento che l’hanno preceduta. La doglianza è, quindi, inammissibile potendo il ricorrente far valere i soli propri della cartella e non quelli relativi agli avvisi che l’hanno preceduta i quali avrebbero dovuto essere, pertanto, autonomamente impugnati.
6.Il secondo motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha ad oggetto la cartella di pagamento n. 295200800050365 (come chiaramente emerge da pag. 1 della sentenza) rispetto alla quale l’odierno ricorrente ha formulato specifiche doglianze alle quali il giudice di merito ha risposto analiticamente.
Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6- 5, 28829 del 2021).
Nella specie, tuttavia, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia carente o incoerente sul piano della logica-giuridica, avendo la C.T.R. risposto alle doglianze formulate dal contribuente,
confermando l’iter logico -giuridico seguito dal giudice di primo grado. Sotto altro profilo il motivo è altresì inammissibile.
Si è, peraltro, al cospetto di una cd. doppia conforme. In tale ipotesi, il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse; tale onere, gravante sul ricorrente, della specie non è stato soddisfatto.
7.Il terzo ed il quarto motivo del ricorso possono essere trattati congiuntamente e sono inammissibili.
Le doglianze formulate, anche in questo caso, non si attagliano alla ratio della sentenza impugnata facendo riferimento a pretesi vizi relativi non alla cartella impugnata ma agli atti ad essa prodromici.
Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese sono liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 3.000 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2024