Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13329 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13329 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18562/2017 proposto da:
Agenzia delle Entrate-Riscossione, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta delega in calce al ricorso per cassazione, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO (PEC: aEMAIL
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giuste procure speciali in calce al controricorso, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma,
INDIRIZZO ( PEC: EMAIL)
;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 126/09/17, depositata in data 17 gennaio 2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto, a seguito di riunione, due separati ricorsi aventi ad oggetto l’avviso di mora n. 72 del 29 marzo 2013, per l’Iva 1993, notificato a mezzo posta raccomandata internazionale il 6 maggio 2013, derivante dalla cartella di pagamento asseritamente notificata il 18 giugno 1998, e l’avviso di mora n. 72 del 29 marzo 2013, per l’Iva 1993, notificato a mezzo posta raccomandata internazionale, il 6 maggio 2013, derivante dalla cartella di pagamento asseritamente notificata il 4 novembre 1998.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che:
-) preliminarmente, il concessionario era tenuto, indipendentemente dall’obbligo di conservazione della prova nel quinquennio, a fornire in giudizio la prova della notificazione della cartella trovando applicazione, per esigenze connaturate al contenzioso giurisdizionale, le disposizioni generali sul riparto dell’onere probatorio;
-) la prova della notificazione non poteva essere sostituita dall’esibizione delle copie asseritamente conformi all’originale degli estratti di ruolo prodotti in giudizio dall’Agente della riscossione, poiché nulla dimostrava che a tali ruoli avesse fatto seguito
l’emissione e la valida notificazione al contribuente delle cartelle di pagamento che erano gli atti presupposti degli avvisi di mora oggetto della presente impugnazione;
-) anche volendo ritenere che le copie dei ruoli erano idonee a dimostrare la data in cui erano state notificate le cartelle di pagamento, nel caso in esame, tale dimostrazione non sussisteva, perché dalle copie degli estratti di ruolo prodotti non era comunque possibile «ricavare l’identità della data di notifica», in quanto tale data non era indicata, così come non era possibile individuare nemmeno la data in cui i ruoli erano stati resi esecutivi;
-) inoltre, le copie non potevano nemmeno essere considerate «copie conformi», ma piuttosto mere «ristampe» dei ruoli originari, in quanto prive di qualsiasi attestazione di conformità agli originali;
-) per le ragioni sovraesposte si dovevano considerare non dimostrate documentalmente le notificazioni delle cartelle di pagamento; pertanto, i primi atti della riscossione di cui era stata dimostrata la notificazione erano gli avvisi di mora notificati il 12 novembre 2008, rispetto ai quali, però, era già decorso il termine di prescrizione decennale per l’azione di riscossione;
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi e memoria, cui resiste NOME COGNOME con controricorso e memoria.
La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte con le quali chiede l’accoglimento del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente, si deve disattendere l’istanza del controricorrente di trattazione della causa in pubblica udienza ovvero di rimessione alle Sezioni Unite.
1.1 Ed invero, in adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., Sez. U., 5 giugno 2018, n. 14437) e qualora non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., Sez. U., 23 aprile 2020, n. 8093).
1.2 Per cui, posto che nella specie si tratta di questione più volte scrutinata dai giudici di legittimità, la controversia può essere esaminata in camera di consiglio.
1.3 Né si ravvisano i presupposti per valutare l’opportunità di una rimessione della causa alle Sezioni Unite di questa Corte (come pure richiesto dal controricorrente), non essendo state osservate le formalità previste a tal fine (sia pure con valenza meramente sollecitatoria di un potere d’ufficio) dall’art. 376, comma 2, c.p.c., né essendo state prospettate le condizioni previste dall’art. 374, comma 2, c.p.c. (Cass., 16 febbraio 2022, n. 5062).
In via gradatamente preliminare va disattesa l’eccezione di tardività della documentazione depositata dall’Agenzia delle Entrate in data 3 aprile 2025, relativa ai poteri del difensore di Agenzia delle Entrate in quanto nel giudizio di legittimità, secondo quanto disposto dall’art. 372 cod. proc. civ., non è ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero concernano nullità inficianti direttamente la decisione impugnata (Cass., 12 novembre 2018, n. 28999).
Il primo motivo deduce la nullità della sentenza ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione degli artt. 19, comma 3, e 21 del d.lgs. n. 546 del 1922. La mancata impugnazione dei primi atti
successivi alle cartelle di pagamento aveva comportato la decadenza del debitore dalla facoltà di eccepire l’invalidità e l’inesistenza della notifica delle cartelle di pagamento medesime. Il debitore per fare valere il motivo di invalidità costituito dalla mancata notifica delle presupposte cartelle di pagamento avrebbe dovuto tempestivamente impugnare gli avvisi di mora che erano stati notificati ed era pacifico che, nel caso di specie, i due avvisi di mora non erano stati mai impugnati con l’effetto che il debitore era decaduto dal potere di eccepire qualunque vizio, ivi compreso quello rappresentato dalla presunta omessa notifica delle cartelle presupposte. Alla CTR e prima ancora alla CTP era precluso l’esame di qualunque questione riguardante la notifica delle due cartelle di pagamento presupposte.
4. Il secondo motivo deduce la nullità della sentenza ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione degli artt. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 2938 c.c. La prescrizione del credito iscritto a ruolo a carico del debitore ed asseritamente maturata alla data di notifica degli avvisi di mora notificati nel 2008 avrebbe dovuto essere eccepita mediante tempestiva impugnazione di tali atti; la mancata impugnazione degli stessi comportava l’inammissibilità di tale eccezione sollevata soltanto con l’impugnazione degli avvisi di mora notificati nel 2013, che la CRT aveva omesso erroneamente di rilevare. La sentenza impugnata era errata nella parte in cui, assumendo la mancata notifica delle due cartelle di pagamento, aveva statuito che alla data del 12 novembre 2008 (data di notifica dei due avvisi di mora) i crediti avanzati nei confronti del contribuente erano prescritti. Ed invero, l’eccezione di prescrizione non era rilevabile d’ufficio e doveva essere oppost a dal debitore nelle forme e nei termini di legge. Il contribuente, non avendo impugnato gli avvisi di mora regolarmente notificati, non poteva più eccepire la prescrizione asseritamente maturata prima della notifica di tali atti,
né i giudici la potevano rilevare d’ufficio. Era pacifico, peraltro, che dopo la notifica degli avvisi di mora, erano stati notificati altri atti interruttivi, ovvero l’atto di pignoramento notificato il 3 settembre 2013 e due avvisi di mora, notificati il 6 maggio 2013, impugnati nel presente giudizio.
I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono fondati.
5.1 Deve, infatti, richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la nullità della notifica di un atto presupposto inficia gli atti successivi determinando la nullità degli stessi, con la conseguenza che il contribuente può impugnare un atto consequenziale qualsiasi, impugnando con esso anche gli atti presupposti (Cass., Sez. U., 15 aprile 2021, n. 10012) e che l’art. 19, comma 3, del decreto legislativo n. 546 del 1992 consente al contribuente di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria (Cass., Sez. U., 4 marzo 2008, n. 5791; Cass., 18 gennaio 2018, n. 1144 e, più di recente, Cass., 12 dicembre 2024, n. 32031).
5.2 Deve quindi ritenersi pacifico che, in materia di riscossione delle imposte, l’omissione (o l’invalidità) della notifica di un atto presupposto (nel caso in esame la cartella di pagamento) costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato; poiché tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dall’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli, facendo
valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o meno, di tale pretesa (Cass., 15 settembre 2023, n. 26660).
5.3 È, dunque, principio generale in materia di atti tributari secondo il quale la nullità della notifica di un atto presupposto inficia gli atti successivi determinando la nullità degli stessi, con il conseguente corollario che il contribuente può impugnare un atto consequenziale qualsiasi, impugnando con esso anche gli atti presupposti.
5.4 Inoltre, è stato pure detto, che, in tema di contenzioso tributario, qualsiasi eccezione relativa a un atto impositivo divenuto definitivo, come quella di prescrizione del credito fiscale maturato precedentemente alla notifica di tale atto, è assolutamente preclusa, secondo il fermo principio della non impugnabilità se non per vizi propri di un atto successivo ad altro divenuto definitivo perché rimasto incontestato , con la conseguenza che l’atto successivo che segue a un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione, non integrando un nuovo e autonomo atto impositivo, è sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto da cui è sorto il debito (Cass., 29 novembre 2021, n. 37259) e che l’iscrizione ipotecaria che fa seguito ad una pluralità di atti prodromici divenuti definitivi per mancata impugnazione, non
integrando un nuovo ed autonomo atto impositivo, è sindacabile in giudizio, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, soltanto per vizi propri e non per vizi attinenti agli atti precedenti, che dovevano essere fatti valere con la loro impugnazione (Cass., 5 agosto 2024, n. 22108).
5.5 Ed invero, per costante orientamento di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, qualsiasi eccezione relativa a un atto impositivo divenuto definitivo, come quella di prescrizione del credito fiscale maturato precedentemente alla notifica di tale atto, è assolutamente preclusa, secondo il fermo principio della non impugnabilità se non per vizi propri di un atto successivo ad altro divenuto definitivo perché rimasto incontestato (tra le tante: Cass., 29 luglio 2011, n. 16641; Cass., 10 aprile 2013, n. 8704; Cass., 7 febbraio 2020, n. 3005; Cass., 29 novembre 2021, n. 37259; Cass., 28 aprile 2022, n. 13260; Cass., 13 dicembre 2023, n. 34902);
5.6 Si è anche sostenuto che l’affermazione del principio secondo cui il meccanismo di cui all’art. 19, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (a mente del quale la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo), comporta che, se l’intimazione di pagamento non viene impugnata (facendo valere la sua sola nullità per mancata notifica degli atti presupposti o anche l’illegittimità della pretesa per vicende ad essa attinenti, come la prescrizione della stessa), il relativo credito si consolida e non possono essere fatte valere vicende estintive anteriori alla sua notifica (da ultima, Cass., 22 aprile 2024, n. 10736).
5.7 Con specifico riferimento al caso in esame, è stato evidenziato che, in tema di riscossione delle imposte, l’avviso di mora assolve a due funzioni: la prima, equivalente a quella del precetto ed avente
carattere necessario, consiste nell’accertare il mancato pagamento del debito tributario e nell’intimare al contribuente l’effettuazione del versamento dovuto entro un termine ristretto, con l’avvertenza che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata; la seconda funzione, che è eventuale, ha natura sostanziale, e consiste nel portare a conoscenza del contribuente per la prima volta la pretesa erariale, ove l’avviso di mora non sia stato preceduto dalla regolare notifica dell’avviso di accertamento o di liquidazione o della cartella esattoriale. Pertanto, il contribuente, il quale lamenti che la notificazione dell’avviso di mora non sia stata preceduta dalla regolare notificazione degli atti di imposizione, ha l’onere di impugnare congiuntamente sia l’avviso di mora, sia gli atti da questo presupposti e non notificatigli, e, in difetto, decade dal potere di impugnare i suddetti provvedimenti (Cass., 2 marzo 2012, n. 3374; Cass., 8 giugno 2007, n. 13483).
5.8 Inoltre, in tema di riscossione delle imposte, l’avviso di mora non ha necessità di particolare motivazione, atteso che esso fa seguito alla notificazione della cartella di pagamento, ed è notificato solo nel caso in cui il contribuente, reso edotto del tributo dovuto, non ne abbia eseguito il pagamento nei termini di legge, sicché è sufficiente che nel predetto atto siano richiamate le cartelle di pagamento che ne costituiscono il presupposto e che contengono le ragioni della pretesa tributaria (Cass., 22 dicembre 2014, n. 27216)
5.9 In ultimo, con specifico riferimento alla notifica delle cartelle di pagamento, questa Corte ha pure affermato che dalla previsione del quarto comma dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.602, secondo cui « l’esattore deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione », si desume che, ai fini della
prova della notifica della cartella, seppure non è necessaria la produzione in giudizio dell’originale o della copia autentica della cartella, è, tuttavia, necessaria la produzione o della matrice o della copia della cartella con la relativa relazione di notifica (cfr. Cass., 21 luglio 2021, n. 20769).
5.10 Ancora è stato affermato che la prova del perfezionamento del procedimento di notifica e della relativa data è assolta mediante la produzione della relazione di notificazione e/o dell’avviso di ricevimento, recanti il numero identificativo della cartella, non essendo necessaria la produzione in giudizio della copia della cartella stessa (Cass., 4 ottobre 2018, n. 24323; Cass., 11 ottobre 2017, n. 23902).
5.11 Tanto premesso, nella vicenda in esame, la società ricorrente aveva dedotto con i ricorsi introduttivi di primo grado di non avere ricevuto la notifica della cartella n. NUMERO_CARTA (di euro 8.116.408,15) e della cartella n. 124300223011/8582772 (di euro 19.770.445,24), atti presupposti, e l’intervenuta prescrizione del credito (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata); a fronte di ciò, la società RAGIONE_SOCIALE costituitasi in entrambi i giudizi, aveva dedotto che le cartelle di pagamento erano state notificate il 18 giugno 1998 e 4 novembre 1998, come risultava dall’estratto di ruolo, unico documento disponibile, posto che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 ,il concessionario aveva l’obbligo di conservare la matrice o copia della cartella soltanto per 5 anni, e che erano stati notificati al contribuente due avvisi di mora, nn. 7006161 e 7006162, entrambi in data 12 novembre 2008 per compiuta giacenza, e che era stato emesso nei confronti del contribuente anche un atto di pignoramento notificato una prima volta il 17 luglio 2009 per compiuta giacenza e una seconda volta il 3 settembre 2009 mediante affissione alla casa comunale di Ficarolo
(RO), dove risultava residente sulla base di certificazione anagrafica (cfr. pagine 4 e 5 della sentenza impugnata), tutti atti che non erano stati impugnati. Successivamente era stato notificato l’avviso di mora n. 72 del 29 marzo 2013, per l’Iva 1993, a mezzo posta raccomandata internazionale il 6 maggio 2013, derivante dalla cartella di pagamento asseritamente notificata il 18 giugno 1998 e l’avviso di mora n. 72 del 29 marzo 2013, per l’Iva 1993, a mezzo posta raccomandata internazionale, il 6 maggio 2013, derivante dalla cartella di pagamento asseritamente notificata il 4 novembre 1998.
5.12 Ciò posto, la Commissione tributaria regionale ha sostanzialmente affermato che era necessaria la prova della notifica delle due cartelle di pagamento oggetto del giudizio e che la prova della notificazione non poteva essere sostituita dalle copie asseritamente conformi all’originale degli estratti di ruolo prodotti in giudizio e ciò senza prescindere dalla ulteriore considerazione, pure svolta, dalla CTR che le copie non potevano neppure essere considerate copie conformi in quanto erano prive di qualsiasi attestazione di conformità agli originali (cfr. pagine 8 e 9 della sentenza impugnata), così accertando che le cartelle di pagamento non erano state validamente notificate; i giudici di secondo grado hanno pure rilevato che i primi atti della riscossione di cui era stata dimostrata la notificazione erano gli avvisi di mora notificati il 12 novembre 2008 ed hanno, tuttavia, affermato che i suddetti avvisi di mora erano stati notificati quando già era già decorso il termine il prescrizione decennale per l’azione di riscossione; si tratta di una statuizione non conforme ai principi esposti, perché gli avvisi mora notificati nel 2013 ed oggetto di impugnazione nel presente giudizio hanno fatto seguito ad altri due avvisi di mora regolarmente notificati nel 2008, i cui atti presupposti erano le medesime cartelle sottese agli avvisi di mora notificati nel 2013, e che erano divenuti definitivi
per mancata impugnazione, con la conseguenza che gli avvisi di mora notificati il 12 novembre 2008, atti immediatamente successivi alle cartelle di pagamento non notificate, dovevano essere impugnati proprio in quanto regolarmente notificati e che, in quella sede, doveva essere eccepita il decorso del termine decennale di prescrizione, in quanto la prescrizione decennale delle pretese fondate sulle cartelle di pagamento si poteva e doveva far valere con l’impugnazione de gli atti, nella progressione della sequenza procedimentale, immediatamente successivi. Non è, dunque, condivisibile la prospettazione del controricorrente, esplicitata nella memoria depositata in atti (che richiama, peraltro, giurisprudenza di questa Corte che riguarda l’intimazione di pagamento -e la sua identità rispetto all’avviso di mora – mentre nel nostro caso gli atti impugnati e pregressi sono, anche sul piano del nomen formale, degli avvisi di mora), avendo questa Corte, peraltro, affermato che il meccanismo di cui all’art. 19, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992 (a mente del quale -giova ripeterlo – « La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo ») comporta ch e, se l’intimazione di pagamento non viene impugnata (facendo valere la sua sola nullità per mancata notifica degli atti presupposti o anche l’illegittimità della pretesa per vicende ad essa attinenti, come la prescrizione della stessa), il relativo credito si consolida e non possono essere fatte valere vicende estintive anteriori alla sua notifica (cfr. Cass., 22 aprile 2024, n. 10736; Cass., 11 marzo 2025, n. 6436) e ciò richiamando anche le Sezioni Unite che hanno precisato che, al di là della diversa denominazione dei singoli atti, deve aversi riguardo alla funzione propria dell’atto ovvero, nella specie, di invitare il contribuente al pagamento prima di dare avvio all’esecuzione forzata
(Cass., Sez. U., 16 ottobre 2024, n. 26817 che richiama Cass., Sez. U., 19 novembre 2007, n. 23832).
5.13 Deve, dunque, ribadirsi che, in tema di contenzioso tributario, qualsiasi eccezione relativa a un atto impositivo divenuto definitivo, come quella di prescrizione del credito fiscale maturato precedentemente alla notifica di tale atto, è preclusa, secondo il fermo principio della non impugnabilità, se non per vizi propri, di un atto successivo ad altro divenuto definitivo perché rimasto incontestato (tra le più recenti Cass., 5 agosto 2024, n. 22108, che richiama numerosa giurisprudenza di legittimità conforme).
Per quanto esposto, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, primo comma, ultima parte, c.p.c., con il rigetto del ricorso originario.
6.1 Le spese dei giudizi di merito possono essere compensate tra le parti in ragione dell’esito del giudizio, me ntre quelle di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo di primo grado; compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito e condanna il controricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell ‘Agenzia delle Entrate -Riscossione, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Così deciso in Roma, in data 23 aprile 2025.