Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15865 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15865 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14663-2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona dei procuratori speciali e legali rappresentanti pro tempore , NOME e NOME COGNOME, rappresentata e difesa, per procura speciale in atti, da ll’ avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende (pecEMAIL);
– controricorrente –
Oggetto:
TRIBUTI –
intimazione di pagamento
avverso la sentenza n. 499/02/2022 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della BASILICATA, depositata il 20/12/2022; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26 marzo 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione dell’intimazione di pagamento notificata alla RAGIONE_SOCIALE in data 29/10/2018 sulla scorta di sei cartelle di pagamento che la società contribuente sosteneva non esserle mai state notificate.
La CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Potenza, adita dalla ricorrente, rigettava il ricorso e analoga sorte subiva l’appello proposto alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata che, con la sentenza in epigrafe indicata, osservava: a) che non vi era stata alcuna violazione del principio del contraddittorio come invece eccepito dalla società contribuente per non essere stato rispettato il termine previsto dall’art. 31 del d.lgs. n. 546 del 1992 tra la data d el decreto di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’atto impugnato e la successiva udienza di trattazione della causa; b) che correttamente non era stata disposta la sospensione della causa in pendenza del giudizio stante la irrilevanza delle querele di falso proposte dalla società contribuente avverso gli atti di notifica delle cartelle in quanto la predetta società era perfettamente a conoscenza del debito tributario che aveva riconosciuto e nemmeno contestato, avendo «in taluni casi aveva chiesto al rateizzazione del debito erariale, versando addirittura alcune rate e in altri casi ha subito vari atti di pignoramento verso terzi, espropriazioni immobiliari e una serie di intimazioni di pagamento»; c) che la sentenza di primo grado aveva pronunciato implicitamente il rigetto del motivo di impugnazione proposto con riferimento ai vizi di notifica delle cartelle di pagamento «atteso che gli atti successivi, che richiamavano le stesse non erano mai stati impugnati, rendendo definitive gli atti di esazione»; d) che,
con riferimento alla sospensione ex art. 20 della legge n. 44 del 1999, richiamando il principio espresso da Cass. n. 23154 del 2022, « l’opposizione proposta avverso il diniego ex art. 20 della legge cit. va qualificata come opposizione agli atti esecutivi, poiché non investe il diritto del creditore-Erario di agire in executivis ma soltanto le modalità attraverso le quali il processo esecutivo deve svolgersi, eventualmente con l’applicazione della sospensione prevista dalla citata disposizione».
Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 31, comma 1, e 32, comma 1 e 2, e 47, comma 3, del d.lgs. 546/1992, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c.: Violazione del diritto al contraddittorio in conseguenza del mancato rispetto del termine dilatorio di trenta giorni per la fissazione dell’udienza di trattazione del merito; Violazione del diritto al contraddittorio in conseguenza del mancato rispetto del termine dilatorio di venti e dieci giorni liberi anteriori all’udienza di trattazione del merito per il deposito documentale e per il deposito di memorie illustrative».
1.1. La ricorrente «eccepisce la illegittimità e nullità della Sentenza n. 499/02/2022 pronunciata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Basilicata derivante dal fatto di non aver rilevato la nullità della sentenza di prime cure per la violazione del principio del contraddittorio in conseguenza del mancato rispetto del termine dilatorio di trenta giorni per la fissazione dell’udienza di trattazione del merito nonché la violazione del principio del contraddittorio in conseguenza del mancato rispetto del termine dilatorio di venti e dieci giorni liberi anteriori all’udienza di trattazione
del merito per il deposito documentale e per il deposito di memorie illustrative».
Il motivo è inammissibile ed infondato.
È inammissibile in quanto il giudizio di appello costituisce, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia (cfr. Cass. n. 19579/2018; n. 3559/2010; n. 1712 7/2007) sicché l’eventuale violazione da parte del giudice di primo grado dei termini processuali posti a tutela del diritto di difesa delle parti processuali, non rientrando tra le ipotesi tassativamente previste dall’art. 59 del d.lgs. n. 546 del 1992, pur travolgendo la successiva sentenza per violazione del diritto di difesa, non determina, una volta dedotta e rilevata in appello, la “retrocessione” del giudizio in primo grado (così nelle pronunce di questa Corte sopra citate).
3.1. Ne consegue che il ricorso per cassazione può essere proposto per contestare la mancata adozione di provvedimenti di rimessione in termini, se espressamente richiesti, necessari a sanare eventuali lesioni al diritto di difesa verificatisi in primo grado. Ma nel caso di specie, nulla è stato dedotto al riguardo dalla ricorrente, il cui motivo di ricorso, essendo diretto soltanto a censurare la motivazione resa dal giudice di grado superiore sul motivo di appello con cui era stata dedotta la violazione dei diritti di difesa attribuiti al giudice di grado inferiore, è inammissibile in quanto il suo eventuale accoglimento non potrebbe comportare la riforma dell’impugnata sentenza né, come detto, la retrocessione del giudizio al primo grado.
Non può, in ogni caso, omettersi di rilevare anche la evidente infondatezza nel merito della censura in esame.
4.1. Invero, dal contenuto del ricorso, che riproduce gli atti dei gradi di merito ed il provvedimento di sospensione adottato dal Presidente della CTP di Potenza ai sensi dell’art. 47, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, emerge che:
a seguito del ricorso proposto dalla società contribuente veniva fissata l’udienza di trattazione del 22 maggio 2019;
in data 17 maggio 2019 la società contribuente depositava memoria illustrativa ex art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992 dichiarando di voler presentare, ai sensi dell’art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, motivi aggiunti in relazione alla documentazione prodotta dall’agen te della riscossione con le proprie controdeduzioni;
-pertanto, all’udienza del 22/05/2019 la causa veniva rinviata a nuovo ruolo;
in data 6 giugno 2019 la ricorrente depositava memoria contenente i motivi aggiunti;
successivamente depositava istanza ex art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 per la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’atto impugnato;
in data 24 giugno 2019 il Presidente della CTP adottava il provvedimento di sospensione fissando l’udienza del 1° luglio 2019 «innanzi al Collegio per la decisione del merito della controversia, all’esito della quale veniva pronunciata sentenza di inammi ssibilità del ricorso proposto dalla società contribuente.
4.2. E’, quindi, pacifico che la prima udienza di trattazione della causa venne fissata nel rispetto del termine di cui all’art. 31 del d.lgs. n. 546 del 1992; che a tale udienza la causa venne rinviata a nuovo ruolo per consentire alla società ricorrente, che ne aveva fatto espressa richiesta nella memoria depositata ai sensi dell’art. 32 del citato d.lgs. (venti giorni prima di tale udienza), di proporre motivi aggiunti; che a seguito del deposto dell’atto contenente i motivi aggiunti e prima che venisse fissata la nuova udienza per la trattazione della causa, la ricorrente depositò richiesta ex art. 47 del citato d.lgs., di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’intimazione di pagamento impugnata. Fece quindi seguito, in data 24 giugno 2019, l’adozione da parte del Presidente della (allora) CTP, in via di urgenza, ai sensi del comma 3
della citata disposizione, del provvedimento di accoglimento dell’istanza sospensione con fissazione al 1° luglio 2019 dell’udienza «innanzi al collegio per la decisione del merito della controversia».
4.3. Tale udienza è stata fissata nel rispetto di quanto previsto dall’art. 47, comma 6, del d.lgs. n. 546 del 1992 che prevede soltanto il termine massimo (di novanta giorni) entro cui dev’essere fissata l’udienza di trattazione del merito della controversia.
4.4. A ciò aggiungasi che l’art. 24 del d.lgs. n. 546 del 1992, che disciplina le modalità di proposizione dei motivi aggiunti, al comma 2 fissa alla parte interessata il termine massimo di sessanta giorni per proporre tali nuovi motivi; termine che il giudice tributario deve assicurare quando provvede al rinvio della trattazione nel caso in cui la richiesta, come nel caso di specie, venga formulata quando è già stata fissata l’udienza di trattazione in camera di consiglio o di discussione in pubblica udienza.
4.5. Pertanto, al di fuori dell’ipotesi di cui al citato art. 24 citato o di rinvio dell’udienza di trattazione per irregolarità della sua fissazione o per assicurare la corretta instaurazione del contraddittorio tra tutte le parti processuali o per esigenze de ll’Ufficio, non è prevista, in caso di rinvio dell’udienza di trattazione della causa regolarmente tenutasi, come nel caso in esame, la necessità di assicurare alle parti il rispetto del termine di trenta giorni liberi di cui al primo comma dell’art. 31 citato, posto che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, in vista della nuova udienza di trattazione la parte non ha diritto alla concessione dei termini di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992 per depositare documenti e memorie.
Per quanto detto in merito alla già intervenuta preclusione a depositare memorie o proporre motivi aggiunti, la censura in esame è pure inammissibile, alla stregua del condiviso principio giurisprudenziale secondo cui «è inammissibile per difetto d’interesse, l’impugnazione che tenda non alla rimozione di un danno effettivo bensì
a soddisfare esigenze teoriche di correttezza formale» (Cass. n. 12241/1998; n. 7779/2006). In effetti, la ricorrente, che aveva già presentato memorie e proposto motivi aggiunti, e quindi aveva pienamente esercitato le sue prerogative difensive, senza neppure dedurre di aver sollevato la questione all’udienza di trattazione tenutasi il 1° luglio 2019, si è limitata a lamentare la generica violazione del diritto di difesa senza prospettare altro e diverso pregiudizio concretamente subito ai diritti di difesa.
Inammissibile è anche la censura, pure prospettata nel motivo, con riferimento alla mancata fissazione della data di conferma del provvedimento presidenziale di sospensione dell’efficacia esecutiva degli atti impugnati, ex art. 47, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992. Invero, la ricorrente nessun pregiudizio ha subito dalla dedotta violazione del procedimento cautelare, i cui effetti, alla stessa favorevoli, si sono protratti fino alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, quando sono cessati automaticamente, in forza del disposto di cui al comma 6 della citata disposizione, a seguito del rigetto del ricorso. È pertanto evidente che la ricorrente non ha interesse alla censura in esame.
Con il secondo motivo viene dedotta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. nonché dell’art. 36 del d.lgs. 546/1992 ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c.: motivazione apparente in ordine all’esclusione da imponibilità ai fini della TARI delle aree esterne pertinenziali».
7.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità in relazione alla domanda relativa alla non imponibilità delle aree pertinenziali ai fini dell’applicazione della TARI, non emergendo neppure dagli atti del giudizio di merito riprodotti integralmente nel corpo del ricorso.
7.2. Quanto alla questione, pure dedotta nel corpo del motivo, circa l’apparenza della motivazione della sentenza d’appello «in ordine all’inammissibilità dell’intimazione di pagamento
conseguente alla mancata impugnazione di atti esecutivi ad essa precedenti» (ricorso, pag. 19), la censura è manifestamente infondata in quanto i giudici di appello, da un lato, hanno implicitamente ritenuto che quelli notificati alla società contribuente successivamente alle cartelle erano atti impugnabili ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e, dall’altro, espressamente affermato, esaminando il secondo motivo, che la società contribuente, richiedendo la rateizzazione, aveva riconosciuto e non contestato il debito erariale e che comunque alla stessa erano state notificate «una serie di intimazioni di pagamento, tutti dettagliatamente descritti a pag. 5 e segg. delle controdeduzioni» dell’agente della riscossione e che la stessa ricorrente ammette essere atti impugnabili dinanzi al giudice tributario.
7.3. La statuizione d’appello è sul punto esaustiva, congrua ed adeguatamente motivata ponendosi, quindi, ben al di sopra del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., Sez. U, n. 8053/2014).
Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs. 546/1992 ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.: erronea statuizione sulla definitività della cartella di pagamento, viziata nella notifica, in conseguenza della mancata impugnazione dell’atto esecutivo ad essa successivo».
8.1. La ricorrente sostiene che «tutti gli atti successivi alla notificazione della cartella di pagamento sono atti di pignoramento e, conseguentemente, non rientrano nel novero degli atti autonomamente impugnabili ex art. 19 del D.Lgs. 546/1992».
Anche a voler prescindere dal rilievo di inammissibilità del motivo per difetto di specificità, non avendo la ricorrente trascritto, allegato o localizzato negli atti del giudizio di merito, gli atti di pignoramento che sostiene non essere autonomamente impugnabili, precludendo a questa Corte la verificazione della fondatezza del motivo in esame, lo stesso è comunque manifestamente infondato, posto che gli atti
pignoramento (che la controricorrente sostiene essere stati effettuati ‘presso terzi’) sono impugnabili anche dinanzi al giudice tributario.
9.1. Al riguardo va ricordato che «in tema di controversie su atti di riscossione coattiva di entrate di natura tributaria, questa Corte a Sezioni unite ha affermato che «il discrimine tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria va così individuato: alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione sui fatti incidenti sulla pretesa tributaria (inclusi i fatti costitutivi, modificativi od impeditivi di essa in senso sostanziale) che si assumano verificati fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento, se validamente avvenute, o fino al momento dell’atto esecutivo, in caso di notificazione omessa, inesistente o nulla degli atti prodromici; alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione sulle questioni di legittimità formale dell’atto esecutivo come tale (a prescindere dalla esistenza o dalla validità della notifica degli atti ad esso prodromici) nonché sui fatti incidenti in senso sostanziale sulla pretesa tributaria, successivi all’epoca della valida notifica della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento o successivi, in ipotesi di omissione, inesistenza o nullità di detta notifica, all’atto esecutivo cha abbia assunto la funzione di mezzo di conoscenza della cartella o dell’intimazione« (Cass., Sez. U, n. 7822/2020; conf. Cass., Sez. U, n. 21642 del 2021).
9.2. Pertanto, la ricorrente ben avrebbe potuto impugnare gli atti di pignoramento dinanzi al giudice tributario per far valere l’irritualità delle notifiche delle prodromiche cartelle di pagamento.
Con il quarto motivo di ricorso viene dedotta la «violazione dell’art. 39, comma 1, d.lgs. 546/1992 in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: error in procedendo in conseguenza della mancata sospensione necessaria del processo tributario in pendenza di giudizio di querela di falso».
Il motivo è manifestamente infondato.
11.1. «In materia di querela di falso, il giudice tributario è tenuto, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992, a sospendere il giudizio fino al passaggio in giudicato della decisione in ordine alla querela stessa (o fino a quando non si sia altrimenti definito il relativo giudizio), trattandosi di accertamento pregiudiziale riservato ad altra giurisdizione, e di cui egli non può conoscere neppure “incidenter tantum”; tuttavia, in caso di presentazione di detta querela, anche nel processo tributario il relativo giudice non deve semplicemente prenderne atto e sospendere il giudizio ma è tenuto a verificare la pertinenza di tale iniziativa processuale in relazione al documento impugnato e la sua rilevanza ai fini della decisione» (Cass. n. 28671/2017).
11.2. È corretta, quindi, la statuizione d’appello che, conformandosi al citato principio giurisprudenziale, ha ritenuto la querela di falso proposta dalla ricorrente avverso le gli atti di notifica delle cartelle di pagamento, del tutto superflua una volta divenute le stesse definitive per mancata impugnazione degli atti successivi notificati alla debitrice.
Con il quinto motivo viene dedotta la «violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 546/1992 in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: motivazione apparente sull’inefficacia della intimazione di pagamento in costanza di sospensione ‘anti -usura’».
Il motivo è manifestamente infondato atteso che, diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente, la statuizione d’appello è sul punto esaustiva, congrua ed adeguatamente motivata con riferimento al principio giurisprudenziale espresso da questa Corte nell ‘ordinanza n. 23154 del 2022, ponendosi, quindi, ben al di sopra del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. Sez. U, n. 8053/2014).
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 18.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 26 marzo 2025