Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14768 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14768 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/06/2025
del 2012.
NOME COGNOME
Presidente
COGNOME
Consigliere – Rel.
TANIA HMELJAK
Consigliere
Ud. 1/08/04/2025 C.C. PU R.G. 13940/2018 –
Cron. 17987/2019
R.G.N. 17987/2019
NOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 13940/2018 proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, per procura in calce al ricorso per cassazione, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
Pec: EMAIL
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate-RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa
dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
Pec: EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, sezione staccata di Brescia, n. 4400/23/2017, depositata in data 30 ottobre 2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’8 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto una comunicazione di presa in carico n. NUMERO_CARTA nonché il contestuale titolo uniforme n. NUMERO_CARTA relativo a recupero dell’imposta TVA (tributo francese corrispondente all’imposta sul valore aggiunto), relativo all’anno di imposta 2007.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che ogni contestazione del contribuente era infondata dal momento che era riferibile all’atto impositivo e non alla comunicazione di presa in carico, oggetto del presente ricorso. Tale comunicazione, inoltre, non era impugnabile in quanto non costituiva un atto esecutivo essendo carente del requisit o dell’obbligatorietà; nella specie, detta comunicazione aveva soltanto la funzione di avvertire il contribuente che, in forza di atto esecutivo prece dente (il titolo uniforme), l’agente si apprestava a porre in essere la procedura esecutiva.
La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi e
successiva memoria, cui resiste l’Agenzia delle RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo deduce la violazione o falsa applicazione di legge ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, c .p.c., con riferimento all’art. 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, avendo la CTR errato nell’affermare che la comunicazione di presa in carico non era un atto impugnabile in quanto il titolo che legittimava l’esazione era costituito dall’avviso di accertamento, mentre la comunicazione di presa in carico non era un atto impositivo. La C TR aveva del tutto omesso l’esame se la comunicazione di presa in carico avesse la funzione di portare a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, oppure se fosse dotata dei requisiti strutturali che contraddistinguevano gli atti impositivi. Inoltre, la stessa normativa comunitaria, confluita nell’art. 9, comma 6, del d.lgs. n. 149 del 2012, prevedeva la possibilità di impugnare la comunicazione di presa in carico e ciò era stato del tutto trascurato dai giudici del gravame.
2. Il secondo motivo deduce la violazione o falsa applicazione di legge ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., con riferimento agli artt. 1 e 7 della legge n. 241 del 1990 e all’art. 24 Cost. . In considerazione della peculiare struttura del procedimento impositivo di derivazione comunitaria, che consentiva di procedere ad espropriazione forzata sulla base del titolo uniforme senza preventiva notifica della cartella di pagamento o di altro atto intimativo (art. 8 , comma 3, del d.lgs. n. 149 del 2002) la non impugnabilità della presa in carico si risolveva in una illegittima contrazione dei principi informatori generali dell’ordinamento e, primo fra tutti, del diritto alla difesa e al contraddittorio. Nel presente giudizio non era mai stata data prova della notifica del c.d. titolo uniforme e, quindi, dell’atto equiparabile all’avviso di accertamento e l’unico atto ricevuto dal contribuente era stato la comunicazione di presa in carico.
2.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono infondati, pur non potendosi condividere interamente la motivazione della sentenza impugnata sulla non impugnabilità della comunicazione di presa in carico (di cui al primo motivo), che va pertanto corretta, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., risultando il dispositivo conforme al diritto.
2.2 Deve, infatti, premettersi che questa Corte, « in merito al riparto della giurisdizione tra lo Stato richiedente e quello adito per l’assistenza al recupero, già nel vigore della precedente disciplina, regolata dal d.lgs. 9 aprile 2003, n. 69, di attuazione della Direttiva n. 2001/44/CE (poi sostituita con l’attuale e riferita, la prima, alla ‘assistenza reciproca in materia di recupero di crediti connessi al sistema di finanziamento del FEOGA, nonché ai prelievi agricoli, ai dazi doganali, all’IVA ed a talune accise), aveva affermato che dagli artt. 5 e 6 del medesimo decreto legislativo si evinceva come il criterio di riparto della giurisdizione importava che per le contestazioni riguardanti il credito od il titolo esecutivo, la controversia apparteneva alla giurisdizione dello Stato richiedente, mentre quando le censure investivano gli atti esecutivi, la giurisdizione si radicava nello Stato destinatario adito. Ciò, era evidenziato, sulla base delle considerazioni illustrate dalla Corte di Giustizia, in causa C 233/08, par. 40, secondo cui «corollario del fatto che il credito e il titolo esecutivo vengono emessi sulla base del diritto vigente nello Stato membro in cui ha sede l’autorità richiedente, mentre, per i provvedimenti esecutivi adottati nello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita, quest’ultima applica, in forza degli artt. 5 e 6 della direttiva 76/308, le disposizioni previste dal proprio diritto nazionale per atti corrispondenti, poiché tale autorità è quella che si trova nella migliore posizione per giudicare della legittimità di un atto in funzione del suo diritto nazionale» (Cass., 17 marzo 2017, n. 6925). Era pertanto chiarito che in tema di riscossione di crediti fiscali di Stati membri dell’UE, in virtù del sistema di reciproca assistenza delineato
dal d.lgs. n. 69 del 2003, sussiste la giurisdizione italiana ove venga contestata la regolarità formale degli atti della sequenza procedimentale svolta in Italia, mentre la giurisdizione appartiene allo Stato nel quale è sorta l’obbligazione tributaria con riferimento alle questioni inerenti all’esistenza o all’ammontare del credito (Cass., 11 aprile 2018, n. 8931; cfr. anche 12 settembre 2014, n. 19283) » (Cass., Sez. U., 13 dicembre 2023, n. 34981).
2.3 Ciò premesso, va precisato che nell’ambito dell’Unione europea il recupero dei crediti risultanti da dazi e imposte « di qualsiasi tipo, riscossi da uno Stato membro o dalle sue ripartizioni territoriali o amministrative, o per conto di essi, comprese le autorità locali, ovvero per conto dell’Unione » (art. 2) è assicurato dalla mutua assistenza, ora disciplinata dalla Direttiva 2010/24/UE del Consiglio (che ha sostituito la precedente Direttiva n. 2008/55/CE, sua volta sostitutiva della Direttiva n. 76/308/CE). La vigente direttiva è stata poi attuata in Italia con il d.lgs. n. 149 del 2012.
Inoltre, la disciplina prevede tre forme di assistenza reciproca. La prima che ha quale obiettivo la trasmissione di informazioni utili per il recupero dei crediti sorti nello Stato membro richiedente. La seconda relativa alla notifica al debitore di atti e documenti provenienti dallo Stato membro richiedente, inerenti il credito da riscuotere. La terza finalizzata al recupero, da parte dello Stato membro adìto, dei crediti insorti nello Stato membro richiedente (artt. 4-8 del d.lgs. n. 149 cit.). Per quanto qui di interesse, ai fini del recupero del credito la direttiva prevede il cd. titolo uniforme per l’esecuzione in un altro Stato membro. Esso costituisce lo strumento idoneo al recupero coattivo del credito fiscale, già accertato dall’autorità dello Stato richiedente. Il titolo uniforme è automaticamente efficace nello Stato membro adìto, senza necessità di alcun atto di riconoscimento (art. 12, par. 1, della Direttiva). Lo Stato richiedente può chiedere assistenza all’autorità estera anche quando non siano stati esauriti i mezzi di recupero
nazionali e qualora il ricorso a questi ultimi darebbe adito a difficoltà eccessive. Il credito oggetto della domanda di recupero è trattato come un credito dello Stato membro adìto, che procederà al recupero in forza delle procedure contemplate dalla normativa interna (art. 13 della Direttiva e art. 8 del d.lgs. n. 149 del 2012. La richiesta di recupero del credito richiede quale condizione che il credito o il titolo non siano contestati nello Stato membro in cui l’autorità richiedente ha sede. Anche in questa ipotesi, tuttavia, è previsto che lo Stato richiedente possa insistere nella domanda di assistenza al recupero.
2.4 Ciò posto, questa Corte, sulla premessa che l’elenco degli atti autonomamente impugnabili, contenuto nell’art. 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, è suscettibile di essere integrato con la indicazione di ulteriori atti emessi dalla Amministrazione finanziaria, espressamente considerati tali da specifiche norme di legge (art. 19, comma 1, del decreto legislativo citato), ha precisato che la tassatività dell’elenco, deve intendersi riferita non a singoli provvedimenti nominativamente individuati, ma alla individuazione di «categorie» di atti considerate in relazione agli effetti giuridici da quelli prodotti (tra cui predomina la categoria degli atti di natura impositiva), con la conseguenza che non è impedito all’interprete -mediante la qualificazione giuridica dell’atto in concreto impugnato, da compiere in relazione agli elementi funzionali ed agli effetti prodotti – di ricondurre ad una delle predette categorie anche atti «atipici» od individuati con «nomen juris» diversi da quelli indicati nell’elenco. È stato, pertanto, precisato in proposito che debbono qualificarsi come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’art. 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una «pretesa tributaria», ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un «invito bonario» a versare quanto
dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione «avviso di liquidazione» o «avviso di pagamento» (cfr. Cass., 15 maggio 2008, n. 12194), ed ancora che debbono qualificarsi come avviso di accertamento anche gli atti di «invito al pagamento» emessi in materia doganale, tanto in quanto sussiste un interesse attuale del contribuente a proporre azione di accertamento negativo sulla debenza del tributo, posto che, ove tale situazione non venisse rimossa, resterebbe legittimata l’azione esecutiva erariale, con lesione dei diritti soggettivi del contribuente (cfr. Cass., 15 febbraio 2008, n. 3918). Ne segue che anche la impugnazione di atti emessi dalla Amministrazione finanziaria, pur se non direttamente ricompresi nell’elenco tassativo degli atti tributari autonomamente impugnabili previsto dall’art. 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, può, pertanto, costituire veicolo di accesso al giudizio tributario, laddove tali atti risultino comunque idonei a portare a conoscenza «i presupposti di fatto e le ragioni in diritto» della pretesa impositiva o del diniego del diritto vantato dal contribuente e siano quindi astrattamente suscettibili a fondare l’interesse alla impugnazione ex art. 100 cod. proc. civ., del contribuente, trovando giustificazione la applicazione dei criteri di interpretazione «estensiva» ed analogica delle categorie di atti contenute nell’elenco tanto nella esigenza di certezza dei rapporti tributari (che richiede una immediata definizione delle potenziali controversie) quanto nei principi costituzionali di buon andamento della P.A. ex art. 97 Cost. e di effettività del diritto di difesa del cittadino ex art. 24 Cost. (cfr. Cass., 25 febbraio 2009, n. 4513; Cass., 11maggio 2012, n. 7344; Cass., 6 novembre 2013, n. 24916 e, più di recente, Cass., 13 luglio 2023, n, 20051; Cass., 17 febbraio 2023, n. 5174; Cass., 30 gennaio 2020, n. 2144).
2.5 Più specificamente, avuto riguardo all’avviso di presa in carico, questa Corte ha precisato che l’ avviso di presa in carico è un atto con cui il concessionario della riscossione comunica al contribuente di aver
ricevuto in carico le somme dell’accertamento ormai definitivo ed esecutivo, emesso dall’Agenzia delle entrate. L’art. 29 del decreto legge n. 78 del 2010, convertito con modifiche dalla legge n. 122 del 2010 (e nuovamente emendato con il decreto legge n. 98 del 2011), stabilisce che, al fine di semplificare la riscossione, è introdotto il c.d. Avviso di Accertamento Esecutivo (AV.E.), laddove l’avviso di presa in carico sostituisce solo in parte la cartella di pagamento, perché l’atto impoesattivo deve con tenere all’origine anche l’intimazione ad adempiere entro il termine di 60 giorni dalla notifica effettuata, a cura dell’Agenzia delle entrate. In caso di mancato pagamento, decorsi i termini dilatori previsti dalla normativa in questione, l’Agenzia delle entrate affida il carico all’Agente della riscossione che lo comunica al debitore. Ora, secondo una piana lettura, né l’intimazione di pagamento, né altri comandi sono contenuti dall’avviso di presa in carico che si limita ad informare il contribuente che la competenza amministrativa è passata dall’Ufficio preposto all’accertamento del maggior reddito a quello preposto ad ottenere il pagamento del debito ormai accertato. Si può quindi giungere ad una prima conclusione, inscrivendo l’avviso di presa in carico fra gli atti amministrativi senza valenza provvedimentale, cioè privi di forza cogente ed unilateralmente modificativa della situazione giuridica del destinatario. Inoltre, a ll’evidenza, l’avviso di presa in carico non ha capacità di incisione unilaterale sui profili sostanziali, né involge lesioni agli aspetti processuali, comportando limitazioni all’azione. Esso è pertanto estraneo alla categoria degli atti autonomamente impugnabili, per cui consentirne la ricorribilità significa avvallare la «retrodatazione» dell’interesse ad agire che da attuale diverrebbe eventuale . Differente la circostanza quando l’avviso di presa in carico sia il primo atto con cui si manifesta, palesandosi, un precedente provvedimento lesivo, che potrebbe essere espresso, tacito o anche presupposto. In sintesi, un armonica lettura dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della
tutela giudiziaria e di ragionevole durata del processo come distillati dalla Corte EDU, dagli organismi euro unitari, alla luce dei principi costituzionali e dell’elaborazione processual e civilistica conduce a ritenere che l’originario elenco di atti impugnabili da tempo non costituisca più numero chiuso, ma possa essere integrato secondo due direttrici: per un verso, consentendo il ricorso avverso tutti quegli atti di natura provvedimentale capaci di modificare unilateralmente e autoritativamente le situazioni giuridiche soggettive del contribuente, sia sui profili sostanziali che processuali; per un altro verso, consentendo (ed imponendo, a pena di decadenza), l’impugnazione di quegli atti che non appartengano alla prima categoria, ma che costituiscano il primo atto notificato o comunque pienamente conosciuto o legalmente conoscibile dalla parte contribuente, successivo ad un atto impugnabile, ma non formalmente comunicato e che, quindi, si palesa tramite la comunicazione dell’atto successivo, non autonoma mente lesivo. In tal caso, l’impugnazione del secondo atto, non lesivo, è funzionale ad attrarre alla cognizione anche l’atto lesivo, ma non (fino ad allora) conosciuto (Cass., 19 luglio 2023, n. 21254, in motivazione).
2.6 Questa Corte, dunque, ha ribadito i seguenti principi di diritto:
-possono essere oggetto di ricorso avanti la giustizia tributaria gli atti iscritti nell’elenco di cui all’art. 19 d.lgs. n. 546/1992 e tutti gli atti amministrativi aventi natura provvedimentale, capaci di incidere autoritativamente sulle situazioni giuridiche soggettive dei contribuenti, pubblici o privati, modificandole unilateralmente sotto il profilo sostanziale (oppositivo o pretensivo) o processuale, inerenti o conseguenti a rapporti tributari, creditori o debitori;
non possono essere oggetto di ricorso di ricorso gli atti privi di natura provvedimentale come sopra descritta, ancorché promananti dall’Amministrazione finanziaria, da incaricati per la riscossione od organismi a questi ancillari, salvo che costituiscano la prima
comunicazione con cui si palesi esistente un atto tributario di natura provvedimentale, espresso, tacito o presupposto, di cui il contribuente dimostri, anche in via presuntiva, non aver avuto notizia.
2.7 La sentenza impugnata, dunque, seppure va corretta, come già detto, nella parte in cui ha affermato che la comunicazione di presa in carico non era impugnabile (essendo, invece, impugnabile se costituisce la prima comunicazione del l’esistenza di un atto tributario di natura provvedimentale), è, tuttavia, conforme ai principi suesposti in tema di procedura di recupero dei crediti insorti in uno Stato membro richiedente, nella parte in cui ha precisato che ogni contestazione della società contribuente era infondata dal momento che era riferibile all’atto impositivo, che era il titolo che legittimava l’esaz ione, e non alla comunicazione di presa in carico, e che il titolo uniforme consentiva l’esecuzione nello Stato membro adito al fine di recuperare i crediti non riscossi sorti nel proprio territorio e di procedere alla riscossione nello Stato membro a cui veniva chiesta l’assistenza; né rileva la mancanza di prova della notificazione del titolo uniforme, in quanto i giudici di secondo grado hanno rilevato che il titolo uniforme era stato comunque allegato alla comunicazione e conteneva i riferimenti relativi allo stato membro richiedente e le informazioni di dettaglio necessarie all’identifi cazione dei debiti richiesti.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 8 aprile 2025.