Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34332 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34332 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
CREDITO DI IMPOSTA ISTANZA DI RIMBORSO IMPUGNABILITA’
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 06427/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME Avvocato, rappresentato e difeso in proprio ai sensi dell’art. 86 cod. proc. civ., elettivamente domiciliato presso lo studio in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. del LAZIO n. 3750/3/2022 depositata il 12/9/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Con ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, COGNOME NOME ha impugnato la nota dell’Agenzia delle Entrate protocollo telematico NUMERO_CARTA trasmessagli a mezzo PEC in data 29 marzo 2018 con la quale gli è stato negato il riconoscimento di un credito IRAP per l’anno d’imposta 2011, risultante dalla dichiarazione dei redditi integrativa
presentata in data 28 dicembre 2016. L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio contestando la domanda e chiedendone il rigetto.
La Commissione tributaria provinciale di Roma, con la sentenza n. 17742/28/2019 depositata in data 16/12/2019, accoglieva il ricorso e condannava l’Ufficio alle spese.
Avverso detta sentenza proponeva impugnazione l’Agenzia delle Entrate lamentando l’erroneità della sentenza di primo grado per non avere dichiarato inammissibile il ricorso del contribuente perché proposto avverso un atto non impugnabile ai sensi dell’art. 19, d.lgs. 31/12/1992, n. 546; il contribuente si costituiva in giudizio contestando l’impugnazione e chiedendone il rigetto. La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza n. 3750/3/22 depositata in data 12/09/2022 accoglieva l’appello dichiarando inammissibile il ricorso originario.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione COGNOME NOME con impugnazione affidata a due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. COGNOME NOME ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis. 1 c.p.c. 5. Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 28/11/2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso NOME NOME deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.lgs. 31/12/1992, n. 546, art. 24 e 53 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per avere la Commissione erroneamente interpretato l’elencazione degli atti impugnabili e più in generale i principi in merito alla impugnabilità degli atti tributari, nonché violazione dell’art. 100 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per error in procedendo , per avere il giudice d’appello impropriamente dichiarato inammissibile il ricorso
di prime cure ritenendo l’atto gravato non autonomamente impugnabile.
Con il secondo motivo di ricorso COGNOME NOME deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.lgs. 31/12/1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché degli artt. 24, 53 e 113, primo comma, Cost. e più in generale delle norme di diritto in tema di impugnabilità degli atti tributari, per avere il giudice erroneamente qualificato l’atto come non impugnabile. Conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 100 c.p.c. per avere il giudice impropriamente dichiarato inammissibile il ricorso di prime cure.
I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, riguardando entrambi l’impugnabilità della comunicazione dell’esito del controllo sulla dichiarazione integrativa, e sono fondati. La sentenza impugnata nella motivazione afferma: «gli atti impugnabili innanzi al giudice tributario, sono gli atti elencati nell’art.19 del D. Lgs. 546/92 e ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità. Orbene, la giurisprudenza di legittimità, con unitario orientamento, ha ritenuto che l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel citato art. 19, non dovesse ritenersi tassativa ed ha esteso la possibilità di difesa, in sede tributaria, avverso altri atti, tuttavia con la precisazione che si dovesse trattare di atti adottati dall’Ente impositore diretti a portare a conoscenza del contribuente “una ben individuata pretesa impositiva” (conforme, da ultimo, Cass. 11/02/21 n. 3466). Ciò posto, ai fini dell’impugnabilità in sede tributaria, come detto, occorre che l’atto impugnando contenga una ben individuata pretesa impositiva, mentre, nel caso di specie, la mera comunicazione degli esiti del controllo della Dichiarazione, non può ritenersi rientrante tra gli atti impugnabili, poiché priva dell’indicazione di una pretesa impositiva. Si ritiene, pertanto, che il
ricorso introduttivo proposto dal contribuente avverso la Comunicazione informativa dell’esito del controllo eseguito sulla Dichiarazione integrativa del Modello IRAP in oggetto, in quanto priva dell’indicazione di una pretesa impositiva ben individuata, debba ritenersi inammissibile, diversamente da come ritenuto dai primi giudici».
3.1. Orbene, in proposito occorre premettere che sia in materia di imposte dirette che di Iva, l’indicazione nella dichiarazione, secondo le modalità di legge, di un credito d’imposta costituisce in concreto istanza di rimborso, sicché il corrispondente diritto alla restituzione può essere esercitato dal contribuente una volta decorso inutilmente il termine di novanta giorni per la formazione del silenzio-rifiuto, impugnabile ex art. 19, comma 1, d.lgs. n. 546/1992 (in proposito, si veda Cass. 06/07/2018, n. 17841 e giurisprudenza ivi citata in motivazione).
3.2. Occorre, poi, rammentare che l’istanza del contribuente di rimborso del credito Iva mediante compensazione costituisce modalità di attuazione del credito d’imposta, il cui diniego è impugnabile ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. g, del d.lgs. n. 546/1992, anche se derivante, implicitamente, dalla formazione del silenzio-rifiuto (Cass. 05/10/2018, n. 24478).
3.3. Lo stesso principio vale anche con riguardo alla dichiarazione integrativa: il contribuente che, per errore nella compilazione della dichiarazione dei redditi, abbia pagato un’imposta superiore a quella effettivamente dovuta, può -previa rettifica della dichiarazione – sia domandare il rimborso di quanto pagato in eccedenza, ai sensi dell’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sia detrarre la somma erroneamente pagata da quella dovuta per il periodo d’imposta successivo, ai sensi dell’art. 11, comma 3, del d.P.R. 22/12/1986, n. 917 (Cass. 28/02/2011, n. 4776). Pertanto, ferma restando la specifica disciplina sostanziale e procedimentale della dichiarazione integrativa, il contenuto che nella fattispecie il
contribuente ha integrato equivale pur sempre all’esposizione di un credito da rimborsare.
3.4. Nel caso all’origine della controversia il contenuto della comunicazione dell’Agenzia è un (definitivo) sostanziale diniego della esposizione del credito equivalente ad istanza di rimborso, respinta dalla Agenzia delle Entrate con la motivazione che il contribuente avrebbe dovuto utilizzare l’istanza di cui all’art. 38 e seguire il procedimento di rimborso. Sotto questo profilo, e alla luce dei principi di diritto innanzi richiamati, il diniego della Amministrazione è erroneo perché la esposizione del credito d’imposta già equivaleva ad un’istanza di rimborso e l’Ufficio avrebbe già dovuto decidere nel merito, valutando se del rimborso sussistessero i presupposti in termini formali e di tempestività.
3.5. In ragione di quanto esposto, il Collegio ritiene che quello impugnato rappresenti certamente un provvedimento che manifesta la volontà dell’amministrazione su un preciso aspetto del rapporto tributario e su una ben individuata pretesa tributaria (circa la autonoma impugnabilità degli atti con i quali l’Amministrazione manifesta una ben individuata pretesa tributaria, si vedano Cass. 14/09/2023, n. 26547; Cass. 06/10/2017, n. 23469; Cass. 12/01/2010, n. 285 e Cass. ss. uu. 24/07/2007, n. 16293). Si consideri, poi, che: in tema di contenzioso tributario, la mancata impugnazione tempestiva del provvedimento di diniego del rimborso consolida e rende definitivo l’accertamento, operato dall’Amministrazione finanziaria, della pretesa del contribuente contenuta nell’istanza, precludendo il riesame della sua fondatezza, salvi i casi riconducibili all’esercizio del potere di autotutela (Cass. 06/06/2023, n. 15754).
3.6. La decisione della Commissione tributaria regionale, dichiarando inammissibile l’impugnazione della comunicazione della Agenzia delle Entrate, non si è attenuta a questi principi e va cassata.
Non vi è luogo alla decisione nel merito della causa, sebbene sollecitata dalla parte ricorrente, perché alla Corte è stata rimessa la valutazione della correttezza della decisione circa l’impugnabilità della comunicazione e non la delibazione su una decisione che si sia pronunciata sulla tempestività, ammissibilità e fondatezza della pretesa di rimborso che è questione diversa.
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio cui è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, del 28 novembre