Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3867 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3867 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16593 -20 17 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , in persona del liquidatore e legale rappresentante, NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura speciale a margine dell ‘atto di costituzione di nuovo difensore del 09/01/2025, dall’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL e dall’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto : TRIBUTI -interpello disapplicativo ex art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 -provvedimento di diniego – impugnabilità ammissibilità
avverso la sentenza n. 11461/15/2016 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, depositata in data 19/12/2016; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29/01/2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
In controversia avente ad oggetto l’impugnazione, da parte della RAGIONE_SOCIALE, del provvedimento di diniego di disapplicazione di norme antielusive, e precisamente della disciplina delle società in perdita sistematica di cui all’art. 2, comma 36 -decies, del d.l. n. 138 del 2011, conv, con modif., dalla legge n. 148 del 2011, che la predetta società aveva avanzato con riferimento all’anno d’imposta 201 3, la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Campania con la sentenza in epigrafe indicata accoglieva l’appello dell’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo inammissibile l’originario ricorso della società contribuente in quanto il provvedimento di diniego non era autonomamente impugnabile.
Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per Cassazione affidato ad un motivo cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso.
In data 16/01/2025 il ricorrente ha depositato comparsa di costituzione di nuovi difensori insistendo nelle richieste formulate con l’originario ricorso.
Considerato che:
Con il motivo di ricorso la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, 1, 6 e 8, comma 4, del d.lgs. n. 156 del 2015, in relazione all’art. 37 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 30 della legge n. 74 del 1994.
1.1. La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto che il provvedimento agenziale di diniego di disapplicazione di norme antielusive non rientrasse tra gli atti impugnabili di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e che ogni dubbio interpretativo dovesse ritenersi superato dal disposto di cui all’art. 6 della legge n. 156 del 201 5 che prevede l’impugnabilità delle risposte alle istanze di interpello di cui all’art. 11, comma 2, della legge n. 212 del 2000 solo unitamente a ll’atto impositivo.
Va premesso, in fatto, che l’Agenzia delle entrate con il provvedimento impugnato dalla società contribuente ha rigettato l’istanza di interpello avanzata da quest’ultima per la disapplicazione delle disposizioni antielusive di cui all’art. 30 della legge n. 794 del 1994, dettato per le società cd. di comodo o non operative, richiamato d all’art. 2, comma 36 -decies, del d.l. n. 138 del 2011, conv, con modif., dalla legge n. 148 del 2011, vigente ratione temporis , per le società in perdita sistematica, sostenendo che la «mancata disponibilità di una sede operativa nonché le vicissitudini fallimentari che hanno interessato il Polo della Qualità», società costruttrice dei locali che avrebbero dovuto costituire la sede della ricorrente, «sarebbero vicende connaturate al normale rischio d’impresa e, pertanto, non possono essere ricondotte a situazioni oggettive tali da comportare la disapplicazione della disciplina sulle c.d. società di comodo, ed in particolare lo stato di soggetto in perdita nel triennio “2010-2012″» (ricorso, pag. 5).
2.1. Pertanto, il provvedimento dell’amministrazione finanziaria ha indubitabilmente natura e contenuto di diniego definitivo della chiesta disapplicazione, con conseguente ammissibilità della sua impugnabilità giudiziale, come più volte ribadito da questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide, secondo cui «In tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs.
31 dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 17010 del 05/10/2012, Rv. 623917; conf., Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23469 del 06/10/2017, Rv. 646406).
2.2. Il principio è stato ribadito da Cass. n. 18604 del 2019, secondo cui «il rigetto dell’interpello ex art. 37 bis, comma 8, d.P.R. n. 600 del 1973 (applicabile “ratione temporis”) è atto definitivo in sede amministrativa, autonomamente impugnabile», nonché da Cass. n. 32425 del 2019 secondo cui, «In tema di processo tributario, la tassatività dell’elencazione degli atti di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 non esclude che il provvedimento agenziale di rigetto dell’istanza di interpello, avendo natura e contenuto di diniego definitivo della disapplicazione di norme antielusive (a differenza di quello interlocutorio), possa essere impugnato giudizialmente dal contribuente, in applicazione
estensiva e costituzionalmente orientata delle disposizioni in materia».
2.3. L’orientamento di cui si è dato atto ha trovato ulteriore recente conferma da parte di questa Corte, che ha ribadito che «La risposta negativa del fisco a un interpello disapplicativo è atto impugnabile, anche se non rientra tra quelli elencati dall’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992: l’ente impositore, infatti, attraverso tale atto porta a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria ben individuata e quest’ultimo, senza necessità che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal citato art. 19, già al momento della ricezione della notizia, è portatore di un interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva» (Cass. n. 2634 del 27/01/2023, Rv. 666761 -01; conf. anche Cass. n. 35816 del 2023, par. 4, non massimata).
2.4. Ad una diversa conclusione non può pervenirsi, come invece fanno i giudici di appello, per il tramite del disposto di cui all’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 156 del 2015 che prevede l’impugnabilità solo unitamente all’atto impositivo delle risposte alle istanze di interpello di cui all’art. 11, comma 2, della legge n. 212 del 2000, ovvero a quelle inoltrate, come nel caso in esame, per la disapplicazione di disposizioni antielusive.
2.5. Al riguardo, infatti, questa Corte ha osservato che «In tema di contenzioso tributario, l’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 156 del 2015, secondo cui non sono impugnabili le risposte alle istanze di interpello di cui all’articolo 11 della l. n. 212 del 2000, non ha valenza interpretativa né portata di innovazione retroattiva, ridisciplinando per il futuro la materia, e, quindi, non dispone che per l’avvenire. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato
la sentenza impugnata che aveva escluso la retroattiva non impugnabilità del diniego di accoglimento di istanza d’interpello disapplicativo di norme antielusive, ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. n. 600 del 1973)» (Cass. n. 23469 del 06/10/2017, Rv. 646406 – 02).
In estrema sintesi, il ricorso va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice d’appello, in diversa composizione, per l’esame delle questioni di merito rimaste assorbite nonché per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 29 gennaio 2025