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Impresa commerciale: quando la locazione lo diventa?

Un contribuente si vede negare la detraibilità delle spese di ristrutturazione perché l’Agenzia delle Entrate qualifica la sua attività di locazione di 12 appartamenti come un’impresa commerciale. La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei giudici di merito, respinge la tesi del Fisco. La sentenza chiarisce che la semplice locazione di immobili, anche numerosi, non integra di per sé un’impresa commerciale se mancano elementi che dimostrino la professionalità e l’abitualità dell’attività, distinguendola dalla mera gestione del proprio patrimonio personale.

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Pubblicato il 22 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Impresa commerciale: la locazione di 12 appartamenti è gestione del patrimonio o attività d’impresa?

La distinzione tra la semplice gestione del proprio patrimonio immobiliare e l’esercizio di una vera e propria impresa commerciale è una linea sottile ma cruciale nel diritto tributario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali su questo tema, stabilendo che la locazione di un numero anche cospicuo di immobili non è sufficiente, di per sé, a qualificare l’attività come imprenditoriale. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti di Causa: dalla Ristrutturazione al Contenzioso

Il caso ha origine da un avviso bonario con cui l’Agenzia delle Entrate contestava a un contribuente la detraibilità di alcune spese relative all’anno d’imposta 2017. Le spese erano state sostenute per due interventi distinti:
1. Il recupero edilizio e la riqualificazione energetica di un fabbricato di sua proprietà, composto da dodici alloggi, posti auto e una cantina.
2. Il recupero edilizio e l’acquisto di mobili per un altro immobile.

Il Fisco, con specifico riferimento al primo fabbricato, riteneva che al contribuente dovesse essere attribuita la qualifica di imprenditore. La base di questa presunzione era il fatto che il soggetto, dopo aver acquistato l’edificio all’asta e averlo ristrutturato, aveva venduto o concesso in locazione a terzi le singole unità immobiliari. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, questa operazione configurava un’attività d’impresa, escludendo quindi il diritto alle detrazioni fiscali previste per i privati.

Il contribuente impugnava l’avviso, e sia la Commissione Tributaria di primo grado che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado gli davano ragione, limitatamente al fabbricato principale. Contro questa decisione, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione.

La Nozione di Impresa Commerciale nel Diritto Tributario

Il nodo centrale della questione risiede nella corretta interpretazione della nozione di impresa commerciale ai fini fiscali, delineata dall’art. 55 del TUIR. La Corte di Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la nozione tributaristica non coincide perfettamente con quella civilistica (art. 2195 c.c.).

Ai fini fiscali, infatti, per aversi reddito d’impresa non è necessario il requisito dell’organizzazione in forma di impresa. È sufficiente che vi sia l’esercizio per ‘professione abituale’, anche se non esclusiva, di una delle attività elencate nel codice civile. Il fattore determinante diventa quindi la ‘professionalità abituale’, intesa come svolgimento di un’attività in modo sistematico e ripetuto nel tempo, a differenza di un’operazione meramente occasionale.

La Posizione dell’Agenzia delle Entrate e la Difesa del Contribuente

L’Agenzia delle Entrate sosteneva che la complessità dell’operazione immobiliare (acquisto, ristrutturazione e locazione di 12 unità) fosse di per sé prova sufficiente della natura imprenditoriale dell’attività. Il contribuente, invece, sosteneva di aver semplicemente investito i propri risparmi, compiendo un’operazione di gestione patrimoniale e non un’attività d’impresa.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo la decisione dei giudici di merito giuridicamente corretta, seppur con una precisazione sulla motivazione. I giudici di legittimità hanno chiarito che l’errore dell’Amministrazione Finanziaria è stato quello di non fornire prove adeguate a sostegno della propria tesi.

La Corte ha osservato che l’Ufficio non aveva dimostrato l’esistenza di una ‘stabile organizzazione’ né aveva fornito elementi concreti che provassero il ricorso sistematico a figure professionali, uffici o una gestione coordinata tipica di un’impresa. Di conseguenza, mancavano gli elementi probatori necessari per configurare ‘l’esercizio di una professione abituale’ di imprenditore immobiliare.

Un punto decisivo evidenziato dalla Corte è che la mera locazione di immobili a terzi non equivale automaticamente all’esercizio di un’attività commerciale. Tale attività deve trascendere la semplice gestione del patrimonio (che include conservazione e valorizzazione) e integrare una vera e propria attività produttiva di reddito d’impresa. Inoltre, la Corte ha sottolineato un dato temporale cruciale: i contratti di locazione erano stati stipulati tra il 2018 e il 2019, quindi in un periodo d’imposta successivo a quello oggetto di accertamento (2017). Questo ha reso l’attività irrilevante ai fini della contestazione fiscale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

In conclusione, la Corte ha rigettato il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate, dichiarando assorbito quello incidentale del contribuente. La pronuncia stabilisce un principio chiaro: per qualificare un soggetto come imprenditore commerciale ai fini fiscali non basta la dimensione o la complessità di una singola operazione immobiliare. È onere dell’Amministrazione Finanziaria dimostrare, con elementi concreti, la presenza di ‘professionalità’ e ‘abitualità’, ossia un’attività svolta con stabilità e regolarità nel tempo. La semplice messa a reddito di beni immobili di proprietà, anche se numerosi, rientra nella gestione del patrimonio privato, a meno che non sia supportata da un’organizzazione di mezzi e persone che ne riveli la natura imprenditoriale.

La locazione di un numero elevato di immobili costituisce sempre un’impresa commerciale ai fini fiscali?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sola locazione a terzi di immobili di proprietà, anche se numerosi, non è sufficiente a integrare l’esercizio di un’impresa commerciale. È necessario che vi siano ulteriori elementi che dimostrino la professionalità e l’abitualità dell’attività, distinguendola dalla mera gestione del patrimonio personale.

Qual è la differenza tra la nozione di imprenditore nel diritto civile e in quello tributario?
Nel diritto civile, per aversi impresa commerciale è necessario il requisito dell’organizzazione (di capitali e lavoro). Nel diritto tributario, invece, questo requisito non è indispensabile; ciò che conta è l’esercizio per ‘professione abituale’ di una delle attività commerciali, anche se svolta senza una vera e propria organizzazione d’impresa. L’elemento chiave è la sistematicità e regolarità dell’attività.

In un contenzioso fiscale, chi ha l’onere di provare la natura imprenditoriale di un’attività?
L’onere della prova spetta all’Amministrazione Finanziaria. È l’Agenzia delle Entrate che deve dimostrare, con elementi concreti e adeguati, che l’attività del contribuente non è una semplice gestione patrimoniale ma possiede i caratteri della professionalità e dell’abitualità tipici dell’impresa commerciale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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