Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9791 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9791 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/04/2024
Onere della prova. Presunzioni.
NOME COGNOME NOME COGNOME ROCCA COGNOME COGNOME NOME COGNOME
Presidente
Consigliere
Consigliere- COGNOME.
Ud. 1/27/03/2024 C.C. PU R.G. 13781/2020 –
Consigliere
Consigliere
Cron. 17987/2019
R.G.N. 17987/2019
ha pronunciato la seguente ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 13781/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il suo studio sito a Roma, in INDIRIZZO, in virtù di procura speciale in calce al controricorso.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, n. 9226/2019, depositata in data 9 dicembre 2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
COGNOME NOME, con ricorso presentato in data 11 gennaio 2019, aveva riassunto la causa a seguito della ordinanza della Corte di Cassazione n. 12351/18, depositata il 18 maggio 2018, con la quale era stata cassata con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale n. 8247/2016, depositata il 27 settembre 2016, che aveva rigettato l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado n. 1285/5/2015, depositata in data 20 gennaio 2015.
La cassazione era stata determinata dal difetto di motivazione della sentenza impugnata, che si era limitata a riportare per relationem brani della sentenza di primo grado, che a sua volta riportava brani della sentenza di assoluzione in sede penale, in assenza di una autonoma valutazione.
L’originario oggetto della controversia era rappresentato da un avviso di accertamento relativo a maggiori ricavi e volume d’affari dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, riguardante l’anno d’imposta 2007, che era stato annullato in primo grado in quanto non era stata fornita la prova che il COGNOME (assolto in sede penale) fosse gestore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE
La Commissione tributaria regionale, in sede di rinvio, dopo avere affermato che nessuna automatica autorità di cosa giudicata poteva attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile in sede di giudizio tributario, ha esaminato gli elementi sulla base dei quali il COGNOME era stato ritenuto gestore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, rilevando che
detti elementi erano stati ritenuti dal giudice penale come incerti e che non si riteneva di potere pervenire, in mancanza di elementi nuovi e diversi da quelli valutati dal Tribunale, a conclusioni diverse.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno osservato che i collegamenti tra COGNOME NOME ed COGNOME NOME apparivano episodici e non sicuramente riconducibili ad una effettiva gestione della società da parte del primo e che se ricorrevano numerosi punti di connessione tra COGNOME NOME e COGNOME NOME (che avevano indotto il giudice penale ed emettere sentenza di condanna), non altrettanto poteva essere affermato in relazione ai punti di contatto del COGNOME con COGNOME NOME, che apparivano sfumati e non presuntivamente significativi; inoltre, ad accreditare ulteriormente tale conclusione, si evidenziava che dalle indagini non era emerso alcun contatto telefonico diretto tra COGNOME NOME e COGNOME NOME; non risultavano per l’anno 2007 prelievi bancari del COGNOME nella medesima giornata in cui COGNOME NOME effettuava bonifici, né, nel medesimo anno, la compresenza in banca nei medesimi giorni dei due soggetti.
L ‘RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
COGNOME NOME resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2729 cod. civ. e dell’art. 115, comma primo, cod. proc. civ.. La Commissione tributaria regionale aveva violato le presunzioni tributarie nell’escludere che la RAGIONE_SOCIALE non fosse di fatto gestita da NOME COGNOME, pur avendo riconosciuto le circostanze: 1) che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE fosse una «cartiera» («E’ anche certo che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE fosse una cartiera, non avendo, tra l’altro, una sede operativa»); 2) che NOME COGNOME fosse una c.d «testa di legno» («E’ certo che COGNOME NOME era un
semplice prestanome, avendolo dichiarato lui stesso e non risultando che avesse le conoscenze necessarie per gestire un’attività commerciale che, come risulta dal considerevole volume degli acquisti, era rilevante»); 3) «che fu il padre, COGNOME NOME, a spingerlo ad intestarsi la Ditta»; 4) che anche COGNOME NOME fosse un prestanome «in quanto non si era mai interessato di commercio di orologi giacché era stato custode in un garage e disoccupato all’epoca RAGIONE_SOCIALE indagini»; non ha inferito da tali fatti noti la unica presunzione, grave, precisa e concordante che si potesse trarre, ossia che fosse NOME COGNOME a gestire la «cartiera RAGIONE_SOCIALE». Inoltre, la stessa Commissione tributaria regionale aveva ammesso che «ricorrono numerosi punti di connessione tra COGNOME e COGNOME NOME», sicchè se né il padre NOME, né il figlio NOME si erano mai occupati di orologi, né avevano mai gestito un’impresa, che fosse il COGNOME a gestire effettivamente la RAGIONE_SOCIALE costituiva inferenza induttiva ad altissima probabilità secondo l’id quod plerumque accidit in tali fattispecie di evasione fiscale. A tali fatti noti andava, poi, aggiunto quello incontroverso che il COGNOME era un professionista degli orologi e che era il solo che fosse attrezzato per il deposito, la custodia e il commercio di orologi, come risultava alle pagine 4 e 5 dell’avviso di accertamento (trascritto nel ricorso per cassazione). Inoltre, soltanto COGNOME NOME risultava essere titolare di una impresa (RAGIONE_SOCIALE NOME) e legale rappresentante di due società di capitali, esercenti l’attività del commercio all’ingrosso di orologi e di gioielleria e solo quest’ultimo era in possesso di disponibilità economiche e di una struttura organizzata d’impresa idonea al deposito, alla custodia e alla commercializzazione degli orologi. Era, poi, irrilevante la circostanza che i collegamenti tra COGNOME ed COGNOME NOME apparivano episodici e non sicuramente riconducibili ad una effettiva gestione della società da parte del primo, rilevato che, come riferito da NOME, egli agiva come prestanome del padre
COGNOME NOME e il COGNOME aveva contatti più frequenti proprio con il padre, come riconosciuto anche dal giudice penale che nella sentenza ammetteva che il figlio si muoveva in perfetta sintonia con il padre NOME. I giudici di secondo grado avevano, dunque, violato il principio dispositivo, dato che non era dalla infrequenza dei contatti con il prestanome che si escludeva necessariamente il ruolo dell’imprenditore di fatto o occulto.
1.1 Il motivo è inammissibile, in quanto si tratta di doglianza diretta, con evidenza, a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie di causa, che non costituiscono vizio di violazione di legge (Cass., 19 agosto 2020, n. 17313).
1.2 E’, i nfatti, inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., 4 aprile 2017, n. 8758).
1.3 La giurisprudenza prevalente di questa Corte è nel senso che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento di fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che lo scrutinio dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione che ne ha fatto il giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a
dimostrare i fatti in discussione (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042; Cass., 7 aprile 2017, n. 9097; Cass., 7 marzo 2018, n. 5355).
1.4 In sede di legittimità è, poi, possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass., 13 febbraio 2020, n. 3541), evenienza che, nel caso in esame, non è stata dedotta dalla società ricorrente.
1.5 A questo riguardo, va precisato che l’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso alle presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di gravità (che si riferisce al grado di convincimento che le presunzioni sono idonee a produrre nel senso che l’esistenza del fatto ignoto dev’essere desunta con ragionevole certezza, anche probabilistica), precisione (che impone che i fatti noti, da cui muove il ragionamento probabilistico, ed il percorso che essi seguono non siano vaghi ma ben determinati nella loro realtà storica) e concordanza (che postula che la prova sia fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto) richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, la scelta dei fatti noti che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui si deduce l’esistenza del fatto ignoto sono riservati al giudice di merito, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass., 17 gennaio 2019, n. 1234; Cass., 23 gennaio 2006, n. 1216), censura non specificamente formulata nel caso in esame.
1.6 Nel caso in esame, i giudici di secondo grado hanno osservato che i collegamenti tra COGNOME NOME ed COGNOME NOME apparivano episodici e non erano riconducibili ad una effettiva gestione della
società da parte del primo e che se ricorrevano numerosi punti di connessione tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, non altrettanto poteva essere affermato in relazione ai punti di contatto del COGNOME con COGNOME NOME, che apparivano sfumati e non presuntivamente significativi; inoltre, ad accreditare ulteriormente tale conclusione, si evidenziava che dalle indagini non era emerso alcun contatto telefonico diretto tra COGNOME NOME e COGNOME NOME; non risultavano per l’anno 2007 prelievi bancari del COGNOME nella medesima giornata in cui COGNOME NOME effettuava bonifici, né, nel medesimo anno, la compresenza in banca nei medesimi giorni dei due soggetti. A fronte di tale accertamento fattuale, l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente valorizza elementi non direttamente afferenti al contribuente, come la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE fosse una «cartiera» o che COGNOME NOME fosse una c.d «testa di legno» e che fosse stato il padre (COGNOME NOME, pure un prestanome), a spingerlo a intestarsi la ditta, traendone la conseguenza che, poiché né il padre NOME, né il figlio NOME si erano mai occupati di orologi, allora era il COGNOME a gestire effettivamente la RAGIONE_SOCIALE, anche perchè professionista degli orologi e il solo che fosse attrezzato per il deposito, la custodia e il commercio di orologi, ritenendo, invece, le circostanze valorizzate dai giudici di secondo grado (l’episodicità dei c ollegamenti tra COGNOME ed COGNOME NOME non riconducibili ad una effettiva gestione della società da parte del primo, i maggiori contatti con COGNOME NOME, la mancanza di contatti telefonici diretti, l’assenza di prelievi bancari per l’anno 2007 negli stessi giorni in cui COGNOME NOME aveva effettuato i bonifici; la non compresenza in banca nei medesimi giorni di COGNOME NOME e di COGNOME NOME) irrilevanti, contrapponendo la propria ricostruzione fattuale a quella operata dai giudici di merito.
1.7 Quanto viene censurato sfugge, dunque, ai contenuti tipici della violazione di legge e si traduce piuttosto in una alternativa lettura dei
fatti come tale rimessa al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità.
1.8 Resta, dunque, inammissibilmente invocato l’art. 115 cod. proc. civ., la cui violazione postula che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, ossia abbia giudicato o contraddicendo espressamente la regola, dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa fuori dai casi consentiti dalla legge (Cass., 28 febbraio 2018, n. 4699; Cass., 26 ottobre 2021, n. 30173).
2 . Il secondo motivo deduce l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.. La Commissione tributaria regionale non aveva analizzato un aspetto riconosciuto determinante dallo stesso Tribunale penale di Napoli nella sentenza n. 17078/13 rappresentato dalla circostanza che presso lo studio del commercialista COGNOME sede legale della «RAGIONE_SOCIALE» era custodita la documentazione bancaria della «RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE» di COGNOME NOME e alcuni atti contabili. In proposito, lo stesso Tribunale, aveva ammesso che la circostanza che i suddetti documenti «…fossero uniti a quelli del COGNOME legittima il sospetto che potesse trattarsi di una “cosa sola … ». Si trattava di un fatto decisivo perché provava oltre ogni ragionevole dubbio che NOME COGNOME gestiva direttamente anche la RAGIONE_SOCIALE e, in ogni caso, era una circostanza decisiva anche quale ulteriore fatto noto, unitamente agli altri, dal quale inferire la presunzione precisa grave e concordante della responsabilità gestionale e fiscale del COGNOME.
2.1 Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter cod. proc. civ., vertendosi in fattispecie nella quale l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente è risultata soccombente in entrambi i giudizi di merito, sulla base di statuizioni fondate sui medesimi rilievi in fatto, che hanno disatteso i diversi argomenti -sostanziali e probatori -dalla stessa proposti e non avendo
la parte ricorrente specificato in ricorso e nella memoria le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo e di secondo grado, così dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 22 dicembre 2016, n. 26774).
2.2 Ed invero, n ell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348 ter , comma 5, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente va condannata al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, sostenute dal controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
3.1 Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti RAGIONE_SOCIALE Amministrazioni RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2024.