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Imposta unica scommesse: sanzioni annullate per il 2010

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 13/11/2025, ha affrontato un caso relativo all’imposta unica scommesse per l’anno 2010. Una società estera operante nel settore delle scommesse aveva impugnato avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia fiscale. La Corte ha confermato la debenza del tributo, respingendo le eccezioni sulla violazione del diritto UE e sulla mancata traduzione degli atti. Tuttavia, ha accolto il motivo di ricorso relativo alle sanzioni, annullandole in ragione dell’obiettiva incertezza normativa esistente prima della legge interpretativa del 2010. Di conseguenza, la società dovrà versare l’imposta ma non le sanzioni per l’annualità in questione.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Unica Scommesse: Sì al Tributo, No alle Sanzioni per il 2010

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha gettato nuova luce sulla disciplina dell’imposta unica scommesse, in particolare per quanto riguarda la sua applicazione agli operatori esteri e le relative sanzioni. La decisione, pur confermando l’obbligo di versare il tributo, ha stabilito un principio fondamentale sull’annullamento delle sanzioni per l’anno d’imposta 2010 a causa dell’incertezza normativa del periodo. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni dei giudici supremi.

I Fatti di Causa: La Controversia sull’Imposta

La vicenda trae origine da quattro avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia fiscale per recuperare l’imposta unica sulle scommesse per l’anno 2010. Gli atti erano indirizzati ad alcuni titolari di Centri Trasmissione Dati (CTD) e, in qualità di coobbligata solidale, a una nota società di scommesse con sede a Malta. Sia la società estera che uno dei titolari dei CTD impugnavano separatamente gli atti impositivi, ma i ricorsi venivano inizialmente respinti.

In appello, la Commissione Tributaria Regionale riuniva i giudizi e, pur accogliendo l’appello del titolare del CTD sulla base di una precedente pronuncia della Corte Costituzionale, rigettava quello della società maltese. I giudici di secondo grado ritenevano sussistenti tutti i presupposti per l’applicazione dell’imposta e non ravvisavano conflitti con il diritto dell’Unione Europea.

Il Ricorso in Cassazione e i Motivi di Doglianza

Contro questa decisione, l’operatore estero ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a numerosi motivi. Tra le principali doglianze sollevate vi erano:
* La violazione del diritto unionale in materia di parità di trattamento e non discriminazione.
* L’illegittimità dell’avviso di accertamento per mancata traduzione in lingua inglese.
* L’errata individuazione del presupposto soggettivo e territoriale dell’imposta.
* La violazione della direttiva IVA, che vieta l’introduzione di imposte sul volume d’affari.
* L’erronea applicazione delle sanzioni, data l’obiettiva condizione di incertezza normativa all’epoca dei fatti.

L’imposta unica scommesse secondo la Suprema Corte

La Corte di Cassazione, nel decidere sul ricorso, ha preliminarmente rigettato la maggior parte dei motivi. Richiamando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ha ribadito che l’imposta unica scommesse si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, indipendentemente dal luogo in cui sono stabiliti. L’imposta non ha natura sanzionatoria e non viola i principi di libertà di prestazione dei servizi. I giudici hanno inoltre escluso che vi fosse un obbligo normativo di tradurre l’atto impositivo, dato che la società ricorrente aveva ampiamente dimostrato di averne compreso il contenuto, articolando complesse difese in ogni grado di giudizio.

Le motivazioni

Il cuore della decisione risiede nell’accoglimento del quinto motivo di ricorso, quello relativo alle sanzioni. La Corte ha riconosciuto che, per l’anno d’imposta 2010, esisteva una situazione di obiettiva incertezza normativa riguardo all’inclusione degli operatori esteri (bookmaker) tra i soggetti passivi del tributo. Questa incertezza è stata risolta solo con l’entrata in vigore della norma interpretativa contenuta nella legge n. 220 del 2010.

Pertanto, la Corte ha applicato l’esimente prevista dall’art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997, che esclude l’applicazione di sanzioni quando la violazione è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria. Secondo i giudici, tale incertezza sussisteva fino all’intervento del legislatore alla fine del 2010.

Per tutti gli altri motivi, la Corte ha ritenuto le questioni già ampiamente risolte dalla giurisprudenza precedente, sia nazionale che unionale, confermando la piena legittimità dell’imposizione fiscale a carico dell’operatore estero per l’attività svolta in Italia tramite i CTD.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso. Ha cassato la sentenza impugnata limitatamente alla parte relativa alle sanzioni e, decidendo nel merito, ha accolto il ricorso originario della società ricorrente solo per quanto riguarda la non debenza delle sanzioni per l’anno 2010. Ha invece confermato la debenza dell’imposta. La reciproca soccombenza (l’Agenzia ha vinto sull’imposta, la società sulle sanzioni) ha giustificato la compensazione integrale delle spese processuali di tutti i gradi di giudizio.

Un operatore di scommesse estero senza concessione in Italia è comunque tenuto a pagare l’imposta unica scommesse?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che l’imposta si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte nel territorio italiano, a prescindere dal luogo in cui sono stabiliti e dalla titolarità di una concessione, senza che ciò costituisca una violazione del diritto dell’Unione Europea.

Perché le sanzioni relative all’imposta unica scommesse per l’anno 2010 sono state annullate in questo caso?
Le sanzioni sono state annullate perché, all’epoca dei fatti (anno 2010), esisteva un’obiettiva incertezza normativa sulla questione se anche i bookmaker esteri fossero soggetti passivi del tributo. Tale incertezza è stata risolta solo con una legge interpretativa successiva (L. n. 220/2010), giustificando l’applicazione dell’esimente per le sanzioni.

La mancata traduzione di un avviso di accertamento in inglese a una società maltese lo rende illegittimo?
No. La Corte ha ritenuto infondato questo motivo, poiché non esiste una norma specifica che imponga la traduzione dell’atto impositivo. Inoltre, la società ricorrente aveva dimostrato nei fatti di aver pienamente compreso il contenuto dell’atto, avendo articolato difese dettagliate in tutti i gradi di giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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