Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22034 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22034 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2409/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende ( EMAIL )
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO n. 2890/2022 depositata il 21/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Considerato che:
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Latina avverso l’ avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, con il quale l’RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE) le aveva chiesto -quale coobbligata solidale con la RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE -il pagamento dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse ex d.lgs. 23/12/1998 n. 504, per l’annualità 2010, determinata in Euro 14.226,25, oltre sanzioni e interessi, pari a complessivi Euro 19.751,49.
La CTP di Latina ha rigettato il ricorso, ritenendo infondate le contestazioni relative alla violazione dell’art. 53 Cost. e della normativa unionale.
RAGIONE_SOCIALE ha, quindi, impugnato la sentenza di primo grado davanti alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio ( hinc : CTR) , che ha rigettato l’appello.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi pregiudiziali e un motivo, al quale ha resistito RAGIONE_SOCIALE, con apposito controricorso illustrato da memoria depositata.
Con provvedimento emesso in data 02/08/2023 il Consigliere NOME COGNOME ha fatto la seguente proposta di definizione accelerata ex art. 380 bis cod. proc. civ.: « Le questioni dedotte nei
motivi di ricorso sono già state oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Corte a partire dalla sentenza n. 8757 del 30 marzo 2021, seguita da numerose altre (tra tante, si vedano in primo luogo Cass. 8907-8911/2021, 9079-9081/2021, 91449153/2021, 9160/2021, 9162/2021, 9168/2021, 9176/2021, 9178/2021, 9182/2021, 9184/2021, 9160/2021, 9516/2021, 95289537/2021, 9728-9735/2021), le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate e alle quali possono aggiungersi pronunce ulteriori in termini (Cass. n. 19888/2021, Cass. n. 8907/2021 Cass. 9176/2021, Cass. n. 8908/2021) e sono tutte manifestamente infondate. Propone la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. »
La ricorrente, con memoria depositata in data 21/09/2023, ha proposto opposizione, con la quale ha chiesto la fissazione dell’udienza pubblica.
Ritenuto che :
In via preliminare il collegio ritiene di non dover disporre il rinvio all’ udienza pubblica, considerato che le questioni oggetto dei motivi di ricorso in cassazione sono già state affrontate dalla presente Corte in numerose pronunce, citate già nella proposta di definizione ex art. 380 bis cod. proc. civ. e ulteriormente richiamate nei punti seguenti del presente provvedimento. Occorre, peraltro, richiamare anche quanto precisato recentemente dalle Sezioni Unite della presente Corte, secondo le quali: « In tema di giudizio di cassazione, l’art. 375 c.p.c., nel testo novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, delinea un rapporto di regola-eccezione, secondo cui i ricorsi sono normalmente destinati ad essere definiti all’esito dell’adunanza camerale nelle forme previste dall’art. 380 bis.1 c.p.c., salvo nei casi di revocazione ex art. 391 quater c.p.c. e di particolare rilevanza
della questione di diritto, ipotesi quest’ultima non ricorrente ove la questione sia già stata risolta dalla Corte ovvero qualora il principio di diritto da enunciare sia solo apparentemente nuovo, perché conseguenza della mera estensione di principi già affermati, seppur in relazione a fattispecie concrete diverse rispetto a quelle già vagliate. » (Cass., Sez. U, 19/02/2024, n. 4331, v. anche Cass., Sez. U, 05/06/2018, n. 14437; Cass. 26/10/2022, n. 31679).
I motivi di ricorso in cassazione sono così sintetizzati a pag. 2-3 del ricorso:
-in via pregiudiziale
«I. Nuova questione di legittimità Costituzionale con riferimento all’art. 3 D.lgs. n. 504/1998, come interpretato dall’art. 1, comma 66 L. n. 220/2010 e dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 27/2018.
Violazione e/o falsa applicazione della Legge n. 220/2010, con specifico riferimento alla ratio legis individuata nell’art. 1 comma 64, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) c.p.c.: equiparazione del gioco lecito (applicazione dell’imposta unica pre vista della legge 504/1998) al gioco illecito (applicazione dell’imposta imposta unica prevista dalla legge 220/2010). RAGIONE_SOCIALE ‘eccezione alla regola’, soggetto sanato dalla giurisprudenza, equiparata, ad ogni effetto di legge, ai soggetti concessionari e regolarizzati.
Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 56 ss. TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento all’art. 3 del d.lgs. n. 504/98, come interpretato dall’art. 1, commi 64 e 66, della legge di stabilità 2011, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) c.p.c. Proposta o sollevazione d’ufficio di rinvio di interpretazione pregiudiziale ex art. 267, terzo co mma, TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e/o rinvio interpretativo alla grande sezione ex art. 104, terzo comma, del reg.
proc. della Corte di Giustizia, in combinato disposto con l’art. 158 del predetto regolamento, e dell’art. 16 dello statuto della Corte di Giustizia, per l’interpretazione degli artt. 56, 57 e 52 del TFUE.»
-nel merito:
«Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. 504/1998, come interpretato dall’art. 1, comma 66, lett. b), della L. 220/2010 e dalla sentenza n. 27/2018, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3) c.p.c., in merito al presupposto soggettivo dell’imposta .»
2.1. La parte ricorrente ha indicato, quale primo motivo in via pregiudiziale, una nuova questione di illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 3 d.lgs. n. 504 del 1998, come interpretato dall’art. 1, comma 66 legge 13/12/2010, n. 220 e dalla sentenza della Corte Costituzionale 14/02/2018, n. 27 (richiamata a pag. 2 e 17). I medesimi parametri normativi sono stati, poi, oggetto di apposito motivo di ricorso (richiamato a pag. 3 e illustrato a pag. 37 ss. del ricorso), con il quale è stata contestata la violazione di legge con riferimento all’art 3 d.l gs. n. 504 del 1998, come interpretato dall’art. 1, comma 66, legge n. 220 del 2010 ma, soprattutto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2018, in relazione al presupposto soggettivo dell’imposta.
Le argomentazioni relative alla questione di illegittimità costituzionale (indicata come oggetto del primo motivo pregiudiziale) e quelle relative al motivo di ricorso incentrato sulla violazione dell’art. 3 d.lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, legge n. 220 del 2010 possono essere richiamate insieme, dal momento che riguardano i medesimi parametri normativi.
2.2. La parte ricorrente rileva come nel caso di specie l’avviso di accertamento, ritenendo il bookmaker responsabile per l’annualità di imposta relativa all’anno 2010, sia stato emesso in violazione della sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2018, dove si legge che:
« in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011, l’applicazione di essa nei loro confronti viola l’art. 53 Cost. »
Ad avviso di parte ricorrente l’avviso di accertamento è stato emesso dall’RAGIONE_SOCIALE sulla base di un’errata applicazione di quanto stabilito da C. cost., sent. n. 27 del 2018. A tal fine evidenzia che: « La declaratoria d’illegittimità costituzionale contenuta nella sentenza n. 27/2018 impone l’inapplicabilità della norma illegittima nei confronti del titolare del CTD obbligato principale e, ancor di più nei confronti del bookmaker che originariamente è stato inciso dal tributo in via solidale. » Ha richiamato, in particolare, il punto 4 della decisione della Corte costituzionale, dove si legge che: « Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998, e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 de l 2010 sono fondate, limitatamente alla parte in cui essi si applicano alle annualità d’imposta precedenti al 2011 .»
La parte ricorrente ha, quindi, chiesto di: « trasmettere gli atti del presente giudizio alla Corte Costituzionale affinché possa dirimere il contrasto insorto con riferimento al dictum della sentenza n. 27/2018 e con riguardo alla specifica posizione del bookmaker RAGIONE_SOCIALE, originariamente obbligato in via solidale, e in corso di giudizio inciso quale soggetto obbligato in via principale.»
2.2. A pag. 37 ss. del ricorso, richiamato nuovamente l’art. 3 d.lgs. n. 504 del 1998, la ricorrente contesta che: « sulla base di una errata interpretazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 27/2018, ha ritenuto Parte ricorrente responsabile per l’annualità d’imposta 2009. » La ricorrente ritiene, in particolare, che la pronuncia della Corte costituzionale (n. 27 del 2018) trovi applicazione, con riferimento alle annualità d’imposta anteriori al 2011, per entrambe le parti.
2.3. Rileva, inoltre, che: « la verifica fiscale, l’accertamento e le violazioni contestate hanno avuto ad oggetto le ricevitorie, mentre nulla è stato contestato in via diretta al bookmaker, cui invece è attribuita la qualità di terzo ‘a favore’ del quale il CTD avrebbe svolto la propria asserita attività di gestione. Non viene contestato, dunque, alcun coinvolgimento del bookmaker nella realizzazione del fatto d’imposta. Il bookmaker estero, infatti, non partecipa alla verifica fiscale, non instaura alcun contraddittorio con l’RAGIONE_SOCIALE e non può esplicare alcuna attività di difesa, in quanto non è parte durante le procedure di verifica del presunto mancato pagamento dell’imposta unica. »
Evidenzia, quindi, che: « l’RAGIONE_SOCIALE ha individuato, quale soggetto responsabile al pagamento dell’imposta unica il CTD in via principale e il bookmaker SBM, quale coobbligato in via solidale. Ciò nondimeno, secondo l’RAGIONE_SOCIALE, con riferimento all’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio, relativo al periodo di imposta 2010, permane integra la posizione del bookmaker il quale tornerebbe a rilevare per l’Erario, quale unico obbligato in via principale. È evidente che l’RAGIONE_SOCIALE, ritenendo RAGIONE_SOCIALE responsabile per il pagamento dell’imposta unica, tenta surrettiziamente di modificare i presupposti soggettivi della pretesa impositiva. »
La parte ricorrente evoca, poi, come secondo motivo in via pregiudiziale, la violazione e/o falsa applicazione della legge n. 220 del 2010, con specifico riferimento alla ratio legis individuata nell’art. 1, comma 64, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. e cioè l’equiparazione del gioco lecito al gioco illecito.
3.1. La ricorrente rileva che la normativa in materia di imposta unica, consente di distinguere due categorie di operatori, quella dei concessionari – che esercitano attività lecita (d.lgs. n. 504 del 1998)
– e quella dei soggetti che esercitano una attività illecita, in assenza di concessione e/o di autorizzazione (legge n. 220 del 2010).
3.2. La legge di stabilità del 2011 avrebbe inteso sanzionare l’attività illecita: difatti, nell’art. 1, comma 64, legge 13/12/2010, n. 220 si legge che: « al fine di rendere più efficaci ed efficienti l’azione per il contrasto del gioco gestito e praticato in forme, modalità e termini diversi da quelli propri del gioco lecito e sicuro, in funzione del monopolio statale in materia di giochi di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, ratificato dalla legge 22 aprile 1953, n. 342, nonché l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei giochi, garantendo altresì maggiore effettività al principio di lealtà fiscale nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione ed evasione fiscali nel medesimo settore, si applicano le disposizioni di cui ai commi da 65 a 82 …»
3.3. La ricorrente richiama, poi, la giurisprudenza della CGUE e del Consiglio di Stato, nonché quella penale resa dalla presente Corte per sostenere che (pag. 22-23 del ricorso): « è indubbia la rilevanza della Giurisprudenza penale della Suprema Corte ai fini della risoluzione della presente controversia nel senso della non applicabilità dell’Imposta Unica per come interpretata dalla Legge 220/2010 nei confronti del bookmaker RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, essendo tenuti al pagamento della predetta imposta solo ed esclusivamente i punti vendita impegnati in attività di intermediazio ne ‘vietata’ e, pertanto, illecita. A ben vedere, nei confronti dell’operatore RAGIONE_SOCIALE, dovrebbe essere applicata l’Imposta Unica nelle modalità di cui alla Legge istitutiva del 1998, in virtù della quale è il bookmaker ad essere inciso in via principale dal tributo. »
3.4. La parte ricorrente conclude, pertanto, questo secondo motivo pregiudiziale, affermando che (pag. 23): « Alla luce dei suesposti rilievi, in via pregiudiziale, richiamata la ratio legis della Legge 220/2010 posta a fondamento dell’Avviso di Accertamento oggi impugnato, ribadito lo status di RAGIONE_SOCIALE quale ‘operatore sanato dalla giurisprudenza’, si rileva l’illegittimità dell’avviso di accertamento e, per l’effetto, si chiede di cassare l’impugnata sentenza, per insussistenza dei presupposti applicativi della Legge del 2010 e, pertanto, per errata determinazione dell’Imposta. »
Sempre in via pregiudiziale con il terzo motivo di ricorso viene contestata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 56 ss. TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento all’art. 3 del d. lgs. n. 504/98, come interpretato dall’art. 1, commi 64 e 66, della legge di stabilità 2011, in relazione all’ar t. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
4.1. Con tale motivo (pag. 24-35 del ricorso) la ricorrente richiama, in senso critico -e con nuova richiesta di rimessione ex art. 295 T.F.U.E. – la giurisprudenza della CGUE che, in data 26/02/2020 (C-788/18), ha dichiarato che: « L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i Centri di RAGIONE_SOCIALE Dati stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro, indipendentemente dall’ubicazione della sede di tali operatori e dall’assenza di concessione per l’organizzazione RAGIONE_SOCIALE scommesse. »
Ad avviso della parte ricorrente con la pronuncia appena richiamata non solo il giudice europeo non avrebbe risposto ai dubbi posti dal giudice rimettente, ma sarebbe altresì incorso in una serie di contraddizioni sia in relazione a quanto affermato in precedenti
pronunce della stessa Corte di Giustizia UE in relazione alla posizione di RAGIONE_SOCIALE (Causa C-243/01, COGNOME; Cause Riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04, COGNOME e altri; Cause Riunite C-72/10 e C77/10, COGNOME e COGNOME; Causa C-375/14 COGNOME), sia nei principi di diritto enunciati nella sentenza stessa.
Con riferimento sia ai motivi pregiudiziali che al motivo di ricorso indicato deve essere confermata la proposta ex art. 380 bis cod. proc. civ., in punto di inammissibilità per manifesta infondatezza, per i motivi di seguito indicati.
In merito al primo motivo pregiudiziale e al motivo (incentrato sui requisiti soggettivi previsti nell’art. 3 d.lgs. n. 504 del 1998 ), occorre evidenziare che nella sentenza della CTR n. si legge: « Con sentenza in data 7 luglio 2017 la Commissione tributaria provinciale di Latina – sezione 2 – ha respinto il ricorso presentato dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, mediante il quale l’Ufficio accertava in capo alla ricorrente – in qualità di coobbligato solidale con la RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) la debenza dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse – ex D.Lgs. n. 504/1998, per l’annualità 2010, determinata in euro 14.226,25, oltre sanzioni e interessi, pari a complessivi euro 19.751,49. »
1. La decisione della CTR è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia UE: il bookmaker è tenuto al pagamento dell’imposta prescritta dall’art. 1 d.lgs. n. 504 del 1998, anche in relazione alle annualità anteriori all’anno 2011, compreso l’anno 2010 che viene in rilievo nel caso di specie.
6.2. La Corte costituzionale (sent. n. 27 del 2018) ha, infatti, assunto la seguente statuizione: « dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n.
504 (Riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 288) e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», nella parte in cui prevedono che -nelle annualità d’imposta precedenti al 2011 -siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. »
Nel caso di specie -in ragione del valore dirimente il dispositivo di C. cost. n. 27 del 2018 – è inequivoco che la declaratoria di illegittimità costituzionale riguardasse, limitatamente alle annualità anteriori all’anno 2010, la ricevitoria che raccoglieva le scommesse per conto di soggetti privi di concessione. È altrettanto inequivoco come nel caso di specie la parte ricorrente (RAGIONE_SOCIALE) non assuma il ruolo di ricevitore (o centro elaborazione RAGIONE_SOCIALE, cd. CTD, secondo la terminologia usata dalla ricorrente nel ricorso), ma fosse il bookmaker straniero per conto del quale sono state raccolte le scommesse da un soggetto operante sul territorio italiano. A pag. 14 del ricorso la parte ricorrente precisa, infatti, che: « In virtù del contratto in essere tra il CTD e il bookmaker RAGIONE_SOCIALE (‘Contratto’), il primo si è obbligato a prestare in favore del secondo una serie di servizi ausiliari all’attività di gioco e scommessa condotta da quest’ultima, che si sostanziano nell a trasmissione telematica di RAGIONE_SOCIALE inerenti la prenotazione di giocate sportive e non, nella ricezione e custodia RAGIONE_SOCIALE poste di gioco in qu alità di depositario e nell’eventuale corresponsione RAGIONE_SOCIALE somme dovute ai giocatori da RAGIONE_SOCIALE a titolo di vincita. »
6.3. In merito alla sentenza della C. cost. (n. 27 del 2018) questa Corte ha precisato che: « In forza di tale articolato percorso la Corte
costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della I. n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, restando esclusa la possibilità, per la già cristallizzata determinazione in quel periodo dell’entità RAGIONE_SOCIALE commissioni tra ricevitorie e bookmaker, di poter procedere alla traslazione dell’imposta. Per le annualità d’imposta antecedenti al 2011, dunque, non rispondono le ricevitorie, ma solamente i bookmakers, con o senza concessione, in base alla combinazione degli artt. 3 del d.lgs. n. 504/98 e 1, comma 66, lett. a), della I. n. 220/10, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale. » (Cass., 28/09/2021, n. 26203).
6.4. Non esistono, quindi, i presupposti per una nuova rimessione degli atti richiesti alla Corte costituzionale, considerata anche l’irritualità della richiesta della parte ricorrente che si è limitata ad evocare esigenze di carattere interpretativo di C. cost. n. 27 del 2018, senza neppure illustrare i termini e le questioni sottese a una nuova questione di illegittimità costituzionale.
Anche in relazione al secondo motivo di ricorso indicato come pregiudiziale -incentrato sulla distinzione tra attività lecita ed illecita – occorre evidenziare ancora una volta, come già precisato da questa Corte (Cass., n. 8757 del 2021), l’irrilevanza , ai fini dell’assoggettamento all’imposta prevista nell’art. 1 d.lgs. n. 504 del 1998, RAGIONE_SOCIALE pronunce che hanno escluso la rilevanza penale dell’attività di raccolta di scommesse svolta dal bookmaker che risiede all’estero (« In questo quadro, la giurisprudenza penale di questa Corte citata in memoria, già dinanzi richiamata, è irrilevante. Essa si riferisce difatti alla diversa questione della rilevanza penale
dell’attività d’intermediazione e di raccolta RAGIONE_SOCIALE scommesse, che questa Corte ha escluso, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi RAGIONE_SOCIALE concessioni: e ciò perché in tal caso rileva la non conformità agli artt. 49 e 56 del TFUE del regime concessorio interno. Difatti, ha sottolineato questa Corte con la sentenza in questione, «In forza dei principi affermati dalla Corte di giustizia…, il mancato rispetto della disciplina amministrativa che non sia conforme al diritto dell’Unione europea non può comportare l’applicazione di sanzioni penali». Ma il fatto che non si risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, previsto e punito dall’art. 4, commi 1 e 4- bis, della I. 13 dicembre 1989, n. 401, nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che l’art. 3 del d.lgs. n. 504/98 riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse. »).
7.1. La distinzione tra attività di gioco lecite e illecite evocata dalla parte ricorrente è, pertanto, irrilevante nel caso di specie, non solo perché è pacifico lo svolgimento di attività di raccolta di scommesse sul territorio italiano, ma anche perché la stessa norma richiamata dalla parte ricorrente nell’illustrazione di tale motivo di ricorso (art. 1, comma 64, legge n. 220 del 2010) fa riferimento ad esigenze pubblicistiche di lealtà fiscale , oltre che di tutela dei consumatori.
Del resto, sulla corretta ermeneusi della norma appena citata questa Corte ha già precisato che: « l’imposta di cui si discute non ha natura armonizzata; sicché i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di
servizi presidiata dall’art. 56 del TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17).
Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: sicché, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07).
Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nel comma 64 dell’art. 1 della I. n. 220/10, i propri obiettivi, tra i quali si colloca «…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore».
La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).» (Cass., 30/03/2021, n. 8757).
7.2. Sempre questa Corte, nella pronuncia appena richiamata, ha evidenziato che: « Anzi, come ha sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), a seguire la tesi prospettata in ricorso e ribadita in memoria si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa «risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione… »
8. Con riferimento al terzo motivo indicato come pregiudiziale si rivela dirimente la pronuncia resa da CGUE l’art. 56 del TFUE, la Corte di Giustizia, 26/02/2020, causa C-788/18, ha precisato che: « L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i Centri RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Dati stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro, indipendentemente dall’ubicazione della sede di tali operatori e dall’assenza di concessione per l’organizzazione RAGIONE_SOCIALE scommesse. » La richiesta di rimessione -funzionale a chiedere alla CGUE una rimeditazione degli orientamenti relativi a pregresse pronunce -è altresì irrituale e infondata, considerato anche quanto rilevato da C. cost. n. 27 del 2018 e da Cass., n. 8757 del 2021 in relazione alla circostanza che è proprio l’interpretazione sostenuta della ricorrente a determinare, con una singolare eterogenesi dei fini, la discriminazione al contrario, contrastante con la libertà di prestazione dei servizi tutelata dall’art. 56 TFUE.
In merito ai profili di criticità dei punti contestati dalla parte ricorrente nella sentenza CGUE, 26/02/2020, Causa C-788/18, la
presente Corte (Cass. n. 8757 del 2021) ha evidenziato che: « Né v’è l’incongruenza, segnalata in memoria, tra i punti 17, 26 e 28 della sentenza resa dalla Corte di giustizia nella causa C-788/18, cit.
Col punto 17, in relazione al bookmaker, ci si limita a stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro; ma col punto 24 si specifica, in concreto, che la normativa italiana «non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la RAGIONE_SOCIALE, nello Stato membro interessato». Quanto al centro trasmissione RAGIONE_SOCIALE, col punto 26 ci si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse «allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali» ed è per questo che il centro di trasmissione RAGIONE_SOCIALE che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b), della I. n. 220/10. Ma ciò non toglie, si aggiunge col punto 28, che la situazione del centro trasmissione RAGIONE_SOCIALE che trasmette i RAGIONE_SOCIALE di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro.
La statuizione non è affatto oscura, come si deduce in memoria. La diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero, tenuto conto, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia, degli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, tra i quali si colloca, come si è visto, oltre alle azioni di tutela sopra richiamate, anche quella di recupero di base imponibile e gettito, a fronte dei fenomeni di elusione e di evasione fiscale.»
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è inammissibile si sensi dell’art. 3 80 bis cod. proc. civ. (nella versione modificata ad opera del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ed entrata in vigore per i giudizi iscritti successivamente al 01/01/2023, ai sensi dell’art. 35, comma 6, d.lgs. n. 149 del 2022) in relazione all’art. 360 bis, primo comma, num. 1, cod. proc. civ., considerato che la sentenza della CTR ha deciso il ricorso in modo conforme alla consolidata giurisprudenza della Corte in materia, secondo quanto indicato nella proposta di definizione accelerata del 02/08/2023.
La statuizione RAGIONE_SOCIALE spese segue quanto disposto dall’art. 380 bis, comma 3, cod. proc. civ., con la conseguenza che la parte ricorrente deve essere condannata, in primo luogo, al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, in favore della parte controricorrente.
10 .1. In secondo luogo, ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. -considerato che il presente ricorso viene deciso non solo sulla base di indirizzi consoliRAGIONE_SOCIALE della presente Corte, ma anche sulla base di pronunce rese dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ricorrono i requisiti per porre a carico della parte ricorrente il pagamento in favore della controricorrente di un importo pari all’ammontare del 50% RAGIONE_SOCIALE spese legali.
10.2 . In terzo luogo, ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. la ricorrente deve essere condannata a versare in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende l’importo di Euro 2.000.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del/la controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.696,00, oltre 15% spese generali, i.v.a. e c.a.;
condanna la parte ricorrente a pagare, in favore della parte ricorrente, l’importo di Euro 848,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ.;
condanna la parte ricorrente a pagare in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende Euro 2.000,00 ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ., mandando alla cancelleria per i relativi adempimenti;
a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo uni ficato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 29/05/2024.