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Imposta Unica Scommesse: Obblighi del bookmaker

Una società di scommesse estera ha contestato un avviso di accertamento per l’Imposta Unica Scommesse relativa all’anno 2010, sostenendo di non essere dovuta in base a una sentenza della Corte Costituzionale. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che l’obbligo di pagamento grava sul bookmaker anche per le annualità antecedenti al 2011, poiché la pronuncia di incostituzionalità riguardava esclusivamente le ricevitorie locali e non gli organizzatori del gioco.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Unica Scommesse: La Cassazione Conferma l’Obbligo per i Bookmaker Esteri

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia fiscale per il settore del gioco, chiarendo la portata soggettiva dell’Imposta Unica Scommesse per le annualità precedenti al 2011. La decisione conferma che i bookmaker esteri, operanti in Italia tramite Centri Trasmissione Dati (CTD), sono pienamente tenuti al versamento del tributo, respingendo le argomentazioni basate su una presunta estensione di una nota sentenza della Corte Costituzionale.

I Fatti del Caso: Una Controversia Fiscale nel Mondo del Betting

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli nei confronti di una società di scommesse con sede a Malta. All’operatore estero veniva contestato il mancato pagamento dell’Imposta Unica Scommesse per l’annualità 2010, in qualità di coobbligato solidale con un Centro Trasmissione Dati (CTD) italiano.

La società aveva impugnato l’atto impositivo, ma le sue ragioni erano state respinte sia dalla Commissione Tributaria Provinciale che da quella Regionale. Giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, la società ha riproposto le sue tesi, incentrate principalmente sulla violazione di norme costituzionali e del diritto dell’Unione Europea.

L’Imposta Unica Scommesse e i Motivi del Ricorso

Il ricorrente basava la sua difesa su tre argomenti principali:
1. Questione di legittimità costituzionale: Si sosteneva che la sentenza della Corte Costituzionale n. 27/2018, che aveva dichiarato illegittima l’imposizione a carico delle ricevitorie per gli anni ante-2011, dovesse applicarsi per estensione anche ai bookmaker.
2. Equiparazione tra gioco lecito e illecito: Si contestava l’applicazione di una normativa nata per sanzionare l’attività illecita a un operatore la cui posizione era stata “sanata” dalla giurisprudenza europea.
3. Violazione del diritto dell’Unione Europea: Si lamentava una presunta discriminazione e violazione dei principi di parità di trattamento e libera prestazione di servizi (art. 56 TFUE).

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno ritenuto che le questioni sollevate fossero già state ampiamente risolte da una giurisprudenza consolidata, sia a livello nazionale che europeo, confermando la piena legittimità della pretesa fiscale dell’Amministrazione finanziaria.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni della società ricorrente, basando la sua decisione su pilastri giuridici solidi.

In primo luogo, è stato chiarito che la sentenza della Corte Costituzionale n. 27/2018 aveva un perimetro di applicazione molto preciso. La declaratoria di incostituzionalità riguardava esclusivamente le ricevitorie (CTD), e solo per le annualità antecedenti al 2011. La ragione risiedeva nell’impossibilità, per queste ultime, di traslare l’imposta sui giocatori, a causa della cristallizzazione delle commissioni in quel periodo. Tale motivazione, tuttavia, non si applica ai bookmaker, che rimangono i soggetti organizzatori del gioco e, pertanto, i principali soggetti passivi del tributo. La Corte ha sottolineato che per gli anni antecedenti al 2011, a non rispondere sono le ricevitorie, ma “solamente i bookmakers, con o senza concessione”.

In secondo luogo, è stata ribadita l’irrilevanza, ai fini fiscali, della distinzione tra attività lecita e illecita. L’Imposta Unica Scommesse colpisce chiunque gestisca l’organizzazione di scommesse, a prescindere dal possesso di una concessione statale. Questa scelta legislativa, come evidenziato anche dalla Corte Costituzionale, risponde a un’esigenza di effettività e lealtà fiscale, evitando che operatori privi di titolo possano godere di un’irragionevole esenzione e di un vantaggio competitivo indebito.

Infine, la Corte ha respinto le censure relative alla violazione del diritto UE. Richiamando una specifica pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-788/18), ha confermato che l’articolo 56 del TFUE non osta a una normativa nazionale che assoggetti a imposta sia i CTD stabiliti nel territorio sia, in solido, i bookmaker esteri loro mandanti. La normativa italiana persegue obiettivi legittimi di interesse generale, come la tutela dei consumatori e il contrasto all’evasione fiscale, senza creare discriminazioni.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale ormai granitico: i bookmaker esteri che operano in Italia sono tenuti al pagamento dell’Imposta Unica Scommesse anche per i periodi d’imposta precedenti al 2011. La decisione riafferma la distinzione netta tra la posizione del CTD e quella del bookmaker, attribuendo a quest’ultimo la piena soggettività passiva del tributo. Si tratta di un’importante conferma per l’Erario e un monito per gli operatori del settore, che non possono invocare la mancanza di una concessione per sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dalla legge italiana.

Un bookmaker estero è tenuto a pagare l’Imposta Unica Scommesse per gli anni antecedenti al 2011?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che l’obbligo di pagamento grava sul bookmaker in quanto organizzatore del gioco. La sentenza della Corte Costituzionale n. 27/2018, che ha dichiarato l’illegittimità del tributo, si applicava esclusivamente alle ricevitorie (CTD) e non ai bookmaker.

La mancanza di una concessione statale esonera dal pagamento dell’imposta sul gioco?
No. Secondo la Corte, il presupposto dell’imposta è l’esercizio di fatto dell’attività di organizzazione di scommesse, a prescindere dal possesso di una concessione. Questo principio mira a evitare che gli operatori non concessionari ottengano un vantaggio fiscale indebito.

L’Imposta Unica Scommesse è in contrasto con il diritto dell’Unione Europea?
No. La Corte ha ribadito, in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, che la normativa italiana non viola il principio di libera prestazione dei servizi (Art. 56 TFUE). L’imposta è considerata non discriminatoria e giustificata da motivi imperativi di interesse generale, come la tutela dei consumatori e il contrasto all’evasione fiscale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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