Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32028 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32028 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 20039/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentat a e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio legale dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione (pec: EMAIL
–
ricorrente –
contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO, sezione staccata di Latina, n. 7118/19, depositata in data 20 dicembre 2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
Con la sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto l’avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2010, con cui era stata recuperata l’imposta unica sui concorsi e scommesse nei confronti di COGNOME Carlo, titolare della omonima ditta individuale (CTD) e della RAGIONE_SOCIALE, quale coobbligato solidale, per un importo pari ad euro 26.713,99, oltre interessi e sanzioni.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto la piena legittimità della norma interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, anche a seguito della sentenza delle Corte Costituzionale n. 27 del 2018, che aveva chiarito la norma, includendo tra i soggetti obbligati i bookmakers, con sede all’esterno, sforniti di titolo concessorio in Italia e non sussistendo alcuna incompatibilità della disciplina dell’imposta unica con il diritto dell’U nione europea, in quanto l’imposta unica sulle scommesse non costituiva un’ipotesi di imposta sul volume d’affari diversa dall’imposta sul valore aggiunto, stante l’assenza della proporzionalità dell’imposta rispetto al servizio reso, come anche confermato dalla giurisprudenza unionale; era, poi, sussistente il presupposto della territorialità dell’imposta, rilevando che il fatto impositivo si fosse verificato nel territorio italiano, ovvero che le scommesse fossero state raccolte in Italia; non sussistevano, da
ultimo, i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a sei motivi (uno preliminare e cinque di merito).
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce, in via preliminare la nullità della sentenza, errore in procedendo , omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in merito all’illegittimità dell’avv iso di accertamento per mancata traduzione dell’atto impositivo in lingua inglese.
Il secondo motivo (indicato come primo motivo nel merito) deduce l’omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998, come interpretato dall’art. 1, com ma 66, lett. b), della legge n. 220 del 2010, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in merito al presupposto soggettivo dell’imposta.
Il terzo motivo (indicato come secondo motivo nel merito) deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, lett. b), della legge n. 288 del 1998 e dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., in merito al presupposto territoriale dell’imposta.
Il quarto motivo (indicato come terzo motivo nel merito) deduce la nullità della sentenza, errore in procedendo , omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE e dei principi del diritto dell’unione di parità di trattamento e non discriminazione, nonché del principio del
legittimo affidamento con riferimento all’art. 1, comma 66, della legge di stabilità 2011 e dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n 4, cod. proc. civ..
Il quinto motivo (indicato come quarto motivo nel merito) deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 401 della Direttiva 2006/112/CE, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Il sesto motivo (indicato come quinto motivo nel merito) deduce la nullità della sentenza, errore in procedendo , omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., con riferimento alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 del decreto legislativo n. 546 del 1992, 5, commi 1 e 6, e 6, comma 2, della legge n. 472 del 1997 e 10, comma 4, della leg ge n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., per non avere la Commissione tributaria regionale applicato l’esimente dell’obiettiva condizione d’incertezza relativamente allea irrogazione delle sanzioni.
In via preliminare, va disattesa l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza, formulata a pag. 145 del ricorso per cassazione, in adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., Sez. U., 5 giugno 2018, n. 14437), e allorquando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., sez. un., 23 aprile 2020, n. 8093).
7.1 In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce ii proprio contributo. Nel caso in
questione, il tema oggetto del giudizio non è neppure nuovo nella giurisprudenza di questa Corte (come di qui a poco si dirà) e, comunque, è compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un lato dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e dall’altro da quella unionale (con la sentenza 26 febbraio 2020 in causa C-788/18, relativa alla Stanleybet Malta Limited); e i principi da quelle Corti stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito e anche di legittimità (cfr., da ultimo, nello stesso senso, Cass., 6 settembre 2024, n. 24033).
8. In via gradatamente preliminare va disattesa l’istanza formulata in esordio del ricorso (pag. 2 e 53 e ss.), ancora in via pregiudiziale, di sospensione del giudizio ex art. 267 c. 2 TFUE e rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e/o rinvio interpretativo alla grande sezione ex art. 104, terzo comma, del reg. proc. della Corte di Giustizia, in combinato disposto con l’art. 158 del predetto regolamento, e dell’art. 16 dello Statuto della Corte di Giustizia, per l’interpretazione degli artt. 56, 57 e 52 del TFUE.
8.1 Come già precisato da questa Corte, al riguardo, le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata; sicché i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, punto 17). Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento ad una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni
Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte Giust., 8 settembre 2009, in causa C-42/07; Corte Giust., 24 ottobre 2013, in causa C-440/12, punto 47). Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nell’art. 1, comma 64, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, i propri obiettivi, tra i quali si colloca «(…) l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore». La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte Giustizia UE, 26 febbraio 2020, in causa C788/18, punto 23; per analogia, Corte Giustizia UE,1 dicembre 2011, in causa C-253/09, punto 83). In questo contesto la normativa italiana ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale. La Corte di Giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, punto 21), di modo che la normativa italiana «non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la (omissis), nello Stato membro interessato». Anzi, come la Corte Costituzionale ha sottolineato (Corte Cost., 23 gennaio 2018, n. 27), a seguire la tesi prospettata in ricorso si giungerebbe ad una discriminazione al
contrario: la scelta legislativa « risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione (…) ». Neppure sussiste incongruenza tra i punti 17, 26 e 28 di quella sentenza. Col punto 17, in relazione al bookmaker, ci si limita a stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato; ma col punto 24 si specifica, in concreto, che «(…) la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri »; sicché, si conclude col punto 24, «(…) rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la (omissis) non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale ».
8.2 Ciò posto, non si ravvisa necessità alcuna di promuovere dinanzi alla Corte di Giustizia le questioni sollecitate che, per un verso, si risolvono in una critica della sentenza resa nella causa C-788/18 (Corte Giustizia UE, 26 febbraio 2020, in causa C-788/18), rivelandosi sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembrano postulare che la Corte di Giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati, laddove, come lo stesso giudice unionale ha sottolineato, essa, «(…) pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi
d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale » (Corte Giust., 19 dicembre 2018, in causa C-375/17, punto 67).
9. Passando all’esame dei singoli motivi, il profilo processuale dedotto con la prima censura deve ritenersi infondato, posto che, pur vero che la Commissione tributaria regionale non si è espressamente pronunciata sull’eccezione (se effettivamente devoluta in appello, stante il difetto di autosufficienza, al riguardo, della doglianza formulata nel ricorso per cassazione), risulta tuttavia chiaro che di un rigetto implicito si tratti. Può pertanto al riguardo limitarsi a dare seguito al principio di diritto che « Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo» (v. in tal senso, tra le molte, Cass., 10 maggio 2007, n. 10696; Cass., 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass., 26 novembre 2013, n. 26397; Cass., 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass., 18 giugno 2018, n. 15936; Cass., 6 novembre 2020, n. 24953; Cass., 12 aprile 2022, n. 11717). L’omessa pronuncia su una eccezione preliminare, peraltro, non può dirsi esistente, quando l’accoglimento di quell’eccezione preliminare sarebbe risultato incompatibile con la decisione sul merito. In tal caso, infatti, l’accoglimento della domanda comporta per necessità logica l’implicita reiezione dell’eccezione preliminare. Questi princìpi sono da tempo pacifici nella giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale si deve ritenere « implicita la statuizione di rigetto ove l’eccezione (…) non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia » (Cass., 11 settembre 2015, n. 17956, in motivazione; nello stesso senso, tra le tante, Cass., 6 ottobre 2017, n. 23334; Cass., 12
agosto 2018, n. 20718; ; Cass., 4 giugno 2019, n. 15255; Cass., 2 aprile 2020, n. 7662; Cass., 29 gennaio 2021, n. 2151).
9.1 Ciò posto, nella vicenda in esame, non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto il rigetto dell’eccezione proposta è implicito nella costruzione logico-giuridica della sentenza impugnata, che ha ritenuto l’appello infondato ne l merito, così accogliendo una tesi incompatibile con l’eccezione proposta.
9.2 Sul punto va, comunque, evidenziato che identica questione è già stata esaminata da questa Corte che ha escluso che la mancata traduzione nella lingua del destinatario possa comportare una lesione del diritto di difesa della società ricorrente, in quanto la stessa, anche se soggetto non residente privo di stabile organizzazione in Italia, ha dimostrato, avendo in concreto fatto valere nei gradi del merito le proprie ed articolate difese contestando la pretesa tributaria azionata con l’atto impugnato, di avere avuto piena conoscenza del contenuto dell’atto impositivo ad essa notificato (Cass., 19 gennaio 2021, n. 9144; Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761) e che nessuna specifica previsione normativa dispone che l’atto impositivo debba essere redatto nella lingua del soggetto destinatario, dovendosi invero presumere che lo stesso, in quanto soggetto passivo nel territorio nazionale, sia in grado di comprendere il contenuto dell’atto; la questione, dunque, si sposta sul piano probatorio, essendo onere del contribuente provare di non essere stato nelle condizioni di avere potuto avere conoscenza del contenuto dell’atto, il che postula che lo stesso versi in condizioni tali, nonostante il comportamento dallo stesso esigibile, da non potere in alcun modo avere potuto ovviare alla circostanza che l’atto impositivo non era stato tradotto nella propria lingua di origine, profilo in alcun modo coltivato dalla ricorrente, che si
è limitata ad una contestazione generica sul punto (Cass., 25 luglio 2024, n. 20806; Cass., 18 marzo 2024, n. 7247;).
Il secondo, terzo e quarto, che vanno trattati unitariamente, perché concernono tutti la soggettività e i presupposti dell’imposta unica sulle scommesse, sono infondati, e il secondo e il quarto anche inammissibili per le stesse argomentazioni svolte ai punti 9 e 9.1.
10.1 Come questa Corte ha già precisato il quadro normativo di riferimento (art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998; art. 3 del decreto legislativo n. 504/88; art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010; art. 16 del D.M. 1 marzo 2006 n. 111; art. 1, comma 644, lett. g), della legge n. 190 del 2014), è stato sottoposto all’esame e della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale (cfr. Cass., 31 marzo 2021, nn. 89078911; Cass., 1 aprile 2021, nn. 9079-9081; Cass., 2 aprile 2021, nn. 9144-9153; Cass., 2 aprile 2021, n. 9160; Cass., 2 aprile 2021, n. 9176; Cass., 2 aprile 2021, n. 9184, Cass., 12 aprile 2021, nn. 9528 e 9537 e, più di recente, Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761; Cass., 27 aprile 2023, n. 11184; Cass., 22 luglio 2024, n. 20160; Cass., 25 luglio 2024, n. 20769; Cass., 5 agosto 2024, n. 21940; Cass., 6 settembre 2024, n. 24033).
10.2 In particolare, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2018, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio) ed ha riconosciuto che il legislatore con l’art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010, da un canto, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di
scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni. A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del «gestore per conto terzi» (ossia del titolare di ricevitoria) al «gestore per conto proprio» (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato la Corte Costituzionale, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, il giudice delle leggi ha rimarcato che il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’acc ettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker. Sicché, ha specificato, quanto al ricevitore, che l’attività gestoria che costit uisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Né, ha aggiunto la Corte costituzionale, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato; ciò perché attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. La rivalsa svolge, quindi,
funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione.
10.3 Sulla base delle suddette considerazioni, la Corte Costituzionale, nella richiamata pronuncia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla legge n. 220 del 2010. I giudici delle leggi hanno anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011, come nella specie (dove rileva anche l’anno d’imposta 2010, oltre che l’anno d’imposta 2011), non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione in base alla combinazione dell’art. 3 decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. a), della legge n. 220 del 2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale.
10.4 A diversa conclusione, si perviene per le annualità dal 2011 e con riferimento alla posizione del ricevitore, dovendosi osservare che la incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte
« in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011 » con conseguente violazione dell’art. 53, Cost., « giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010 ». A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle c ommissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker. La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i «rapporti successivi al 2011», quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della m edesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destina te ad influire sulla stessa
portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della legge n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto (cfr. Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184, in motivazione).
10.5 Anche la Corte di Giustizia ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle questioni in esame ed ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (Corte di Giustizia, 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 21), di modo che la normativa italiana « non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la RAGIONE_SOCIALE, nello Stato membro interessato ». Si tratta proprio della sentenza avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma (Italia), con ordinanza del 15 ottobre 2018, pervenuta in cancelleria il 14 dicembre 2018, nel procedimento RAGIONE_SOCIALE contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
10.6 Più in particolare, secondo costante giurisprudenza unionale, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi; di conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della
propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte di Giustizia, 24 ottobre 2013, causa C-440/12, 7 punto 47; Corte di Giustizia, 8 settembre 2009, causa C-42/07); il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nel comma 64 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, i propri obiettivi, tra i quali si colloca «…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore »; la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte di Giustizia, 26 febbraio 2020, causa C788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte di Giustizia 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83);
10.7 La Corte di Giustizia, dunque, ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmaker nazionali e bookmaker esteri, anzi, come ha pure sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza citata n. 27 del 2018), a seguire la tesi prospettata in ricorso si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa « risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione… ».
10.8 In proposito, va evidenziato che la Corte di giustizia, con il punto 17, in relazione al bookmaker, oltre che stabilire in via generale che la
libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, specifica che «…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri »; sicché, conclude col punto 24, «…rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la RAGIONE_SOCIALE non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale ». Quanto al centro trasmissione dati, il punto 26 si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse « allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali » ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b), della legge n. 220/10, ma ciò non toglie (punto 28) che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali sia diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro; la diversità della situazione, pertanto, è in re ipsa per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero; nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce «…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti » (Corte di Giustizia, 19 dicembre 2018, causa C- 375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata dalla Corte di Giustizia al punto 18 della sentenza 26 febbraio 2020, causa C-788/18, citata).
10.9 Con specifico riferimento, poi, al presupposto territoriale del tributo si è già precisato da questa Corte, con le pronunce citate, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta, attività, queste, tutte svolte in Italia (cfr. tra le tante Cass., 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione). 10.10 Ciò posto, questa Corte ha anche richiamato la giurisprudenza penale di legittimità (Cass. pen., 10 settembre 2020, n. 25439),che ha esaminato la questione relativa alla realizzazione del reato di cui all’art. 4, comma 4 bis , della legge n. 401/1989 ( escludendo la sussistenza del reato de quo in base alla considerazione che il bookmaker estero era stato « illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni …e la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non possono essere punite ai sensi dell’art. 4, comma 4 bis, I. n. 401/1989, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea » ed ha, tuttavia, precisato che « il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dal bookmaker estero privo di concessione, non implica la sottrazione dello stesso, e della ricevitoria, dall’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postula proprio la realizzazione del presupposto di imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nell’art. 1, comma 66, legge n. 220/2010 che ha, come visto, disposto che: «Ferma restando l’obbligatorietà, ai sensi della legislazione vigente, di licenze, autorizzazioni e concessioni nazionali per l’esercizio dei concorsi pronostici e delle scommesse, e conseguentemente l’immediata chiusura dell’esercizio nel caso in cui il relativo titolare ovvero esercente risulti sprovvisto di tali titoli abilitativi, ai soli fini
tributari: a) l’articolo 1 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici lo ti e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) l’articolo 3 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze -Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni»; l’applicabilità della previsione normativa in esame esclude altresì che possa porsi una questione di violazione del principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento, secondo quanto ulteriormente esposto in memoria, basata sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta, ovvero ancora che possa ritenersi che la Corte di Giustizia, con la pronuncia citata non abbia preso in considerazione la “specifica situazione” nella quale il bookmaker estero ha dovuto operare; a parte il rilievo che la effettiva lesione del pregiudizio subito risulta solo affermato, ma non concretamente precisato e specificato, quel che rileva, come detto, è il fatto che le ricorrenti, per il fatto di avere realizzato in Italia l’attività di trasmissione dati per conto del bookmaker estero, hanno realizzato il presupposto dell’imposta e, dunque, sono da considerarsi soggetti passivi del tributo e, sotto tale profilo, va fatto richiamo alla pronuncia della Corte di giustizia che, sul punto, ha escluso ogni violazione dei
principi unionali citati») ed ha, altresì, affermato quanto all’asserita violazione del principio dell’affidamento, sulla posizione del bookmaker estero, che « la stessa Corte costituzionale non ha posto in discussione il fatto che costui, anche privo di concessione, doveva essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa, sicché non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento; né può porsi una questione di violazione e falsa applicazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, in quanto anche i suddetti profili sono stati già esaminati da questa Corte con le pronunce citate, che hanno fatto riferimento a quanto espressamente affermato sul punto dalla Corte Cost. con la sentenza n. 27/2018; né, infine, può dirsi sussistente la violazione del principio della capacità contributiva, posto che non viola il suddetto principio la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato, in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera, assolvendo la rivalsa funzione applicativa del principio di capacità contributiva, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27/2018 (cfr. Cass., 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione.
Anche il quinto motivo è infondato.
11.1 Come già precisato da questa Corte, il tributo che qui rileva è differente da una imposta sulla cifra di affari perché riguarda unicamente operazioni relative all’esercizio delle scommesse, irrilevanti a fini IVA; non tiene conto del valore aggiunto di ciascuna, difettando nel sistema il meccanismo della detrazione IVA e
applicandosi il tributo all’importo scommesso; è calcolata senza alcun riconoscimento di deduzione degli acquisti di beni e servizi inerenti effettuati nel periodo in cui sono poste in essere le operazioni di scommessa. Non rilevano, quindi, i soli fatti consistenti nella proporzionalità, nell’esser riscossa a ogni fase e nella sua traslazione in capo al consumatore, anche perché proprio la disciplina IVA di cui all’art. 10, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, proclama esenti dal tributo armonizzato le operazioni in parola con ciò evitando il concorrere di due imposte sul medesimo volume d’affari.
11.2 In ogni caso rileva, in modo risolutivo e dirimente, quanto affermato dalla Corte di Giustizia, secondo cui, in forza dell’articolo 401 della direttiva IVA, « le disposizioni di direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte (…) sui giochi e sulle scommesse, (…) e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari (…) . La formulazione di tale articolo non osta, pertanto, a che gli Stati membri assoggettino un’operazione all’IVA, nonché, in modo cumulativo, a un tributo speciale non avente il carattere d’imposta sul volume d’affari (v., in tal senso, la sentenza dell’8 luglio 1986, Kerrutt, 73/85, Racc. pag. 2219, punto 22) » (Corte di Giustizia UE, sentenza 24 ottobre 2013, causa n. C-440/2012). Secondo la pronuncia richiamata, quindi, l’art. 401 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con l’art. 135, paragrafo 1, lettera i), della stessa, deve essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e un tributo speciale nazionale sui giochi d’azzardo possono essere riscossi in modo cumulativo, a condizione che siffatto ultimo tributo non abbia il carattere di un’imposta sul volume d’affari; inoltre, sempre secondo tale sentenza, l’art. 1, paragrafo 2, prima frase, e l’art. 73 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che non ostano
a una disposizione o a una prassi nazionale secondo cui, per la gestione di apparecchi per giochi d’azzardo con possibilità di vincita, l’importo dei proventi di cassa di tali apparecchi dopo che è trascorso un determinato periodo di tempo viene considerato come base imponibile.
12.
Il sesto motivo è fondato.
12.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte « l’incertezza normativa oggettiva tributaria è caratterizzata dall’impossibilità d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall’amministrazione), come emerge dal d.lgs. n. 472 del 1997, art. 6, che distingue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effetti. Peraltro, il fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva può essere desunto dal giudice attraverso la rilevazione di una serie di “fatti indice”, quali ad esempio: 1) la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente». (Cass. 17 maggio 2017, n. 12301; Cass. 13 giugno 2018, n. 15452, Cass. 9 dicembre 2019, n. 32082).
12.2 Proprio con riferimento al caso di specie, questa Corte, in applicazione dei principi suesposti, ha affermato che « In tema di sanzioni amministrative, fino alla data di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, la quale ha interpretato l’art. 3, d.lgs. n. 504 del 1998 prevedendo che soggetto passivo dell’imposta unica sulle scommesse è anche chi svolge l’attività di gestione delle stesse pur se privo di concessione, esisteva una condizione di obiettiva incertezza normativa, rilevante ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione (cfr. Cass., 12 aprile 2021, n. 9531 e, più di recente, Cass., 18 marzo 2024, n. 7247 e Cass., 25 luglio 2024, n. 20806).
12.3 Più in particolare, questa Corte, con motivazione che si condivide, ha affermato che « La sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 23 gennaio 2018, nel ricostruire l’ambito applicativo dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1988, come interpretato autenticamente dall’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, ha bensì affermato che, anche alla luce della disciplina previgente, soggetto passivo dell’imposta è anche chi svolge l’attività di gestione delle scommesse anche se privo di concessione, con conseguente responsabilità del bookmaker estero che, mediante un proprio intermediario, svolga l’attività di gestione delle scommesse pur se privo di concessione. La stessa sentenza ha tuttavia anche evidenziato che ‘il tenore letterale della disposizione consentiva anche una diversa interpretazione, nel senso che, attraverso il richiamo contenuto nell’art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1998 al rispetto della concessione e della licenza di pubblica sicurezza, essa contemplasse i soli soggetti operanti nel sistema concessorio (ad esclusione perciò dei bookmaker con sede all’estero, sforniti di titolo concessorio in Italia, e della rete delle ricevitorie di cui essi si avvalgono nel territorio italiano)’
(punto 4.1.), dando poi atto del fatto che ‘con la disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220 del 2010, il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di senso della disposizione interpretata’ e che la stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato aveva espressamente riconosciuto che la normativa in esame si prestava alla considerazione di incertezza applicativa (punto 4.1.). In sostanza, la Corte costituzionale ha riconosciuto che la previsione contenuta nell’art. 3, d.lgs. n. 504/1998, si prestava ad un duplice opzione interpretativa in ordine alla sussistenza o meno della individuazione della soggettività passiva del bookmaker estero che, mediante una ricevitoria operante nel territorio nazionale, avesse svolta l’attività di gestione delle scommesse senza concessione e che la disposizione interpretativa del 2010 è intervenuta al fine di esplicitare il contenuto della incerta previsione, orientando la scelta interpretativa nel senso della sussistenza della soggettività passiva. La fattispecie, dunque, deve essere collocata nell’ambito della previsione di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, sussistendo, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione. Infine, non si ravvisa la necessità alcuna di promuovere un nuovo rinvio dinanzi alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte, esaustiva e completa, risolvendosi le deduzioni in una mera critica della sentenza resa nella causa C788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembra postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei ce ntri di trasmissione dati, mentre la stessa Corte, ‘pur
avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale’ (Corte giust., in causa C-375/17, cit., punto 67). Ed in questo senso deve poi ritenersi irrilevante la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. 25439/2020) che si riferisce alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, esclusa, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni. Il fatto che quel bookmaker non risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o discommessa, previsto e punito dall’art. 4, commi 1 e 4-bis, della l. 13 dicembre 1989, n. 401 nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che l’art. 3 del d.lgs. n. 504/98 riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse » (Cass., 21 settembre 2021, n. 25450, in motivazione).
12.4 La fattispecie in esame, venendo in rilevo l’anno di imposta 2010, è fondato, in quanto rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 472 del 1997, sussistendo, come già detto, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010.
13. Per le ragioni di cui sopra, va accolto il sesto motivo e vanno rigettati i restanti motivi; la sentenza impugnata va cassata, in
relazione al motivo accolto, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito deve essere accolto il ricorso introduttivo della lite in relazione all’irrogazione delle sanzioni.
13.1 Le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata, tenuto conto del percorso evolutivo giurisprudenziale nella materia trattata, sia in ambito nazionale, che in quello unionale, giustificano la compensazione delle spese processuali dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso e rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della lite limitatamente alle sanzioni.
Compensa fra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 3 dicembre 2024.