Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22905 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22905 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9241/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
COGNOME NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO della TOSCANA n. 1371/2022 depositata il 28/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Dalla sentenza epigrafata emerge quanto segue:
‘operatore CTD NOME COGNOME ha proposto appello avverso la sentenza n.64/04/18, resa dalla CTP di Firenze all’udienza del 15 dicembre 2017.
Con tale sentenza era stato respinto il ricorso proposto dallo stesso, avverso l’avviso di accertamento sopraindicato relativo a maggiori importi a titolo di imposta unica sulle scommesse per l’annualità 2011.
In particolare l’appellante, tra l’altro, ha riportato all’attenzione di questa CTR il noto sviluppo storico -legislativo che ha caratterizzato la fattispecie in argomento, insistendo per un rinvio pregiudiziale ai fini interpretativi alla CGUE, con conseguente sospensione del giudizio.
Espressamente viene poi ipotizzata la non debenza delle sanzioni alla luce della incertezza legislativa e giurisprudenziale emersa nella fattispecie.
Con la sentenza epigrafata la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana accoglieva in parte l’appello, limitatamente, cioè, alle sanzioni irrogate con l’avviso, rigettandolo invece quanto alla debenza dell’imposta.
Propone ricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli con un motivo; il contribuente resta intimata.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 6, comma 2, del D. lgs. 472/97, in relazione all’art. 3 del D. lgs. 504/1998 ed all’art. 1, comma 66, lett. b) della L. 220/2010, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’. Ad avviso dell’Agenzia ricorrente, ‘la Corte territoriale ha errato nella misura in cui ha ritenuto di estendere l’esimente dell’incertezza normativa determinatasi con l’introduzione dell’art. 3 del D.lgs. n. 504 del 1998 anche per il periodo successivo al 2010, ovvero dopo l’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 66, lett. b) della L. 220/2010, e nonostante l’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 27/2018, che proprio con riferimento all’entrata in vigore della legge 220/2010 individua il momento di discrimine per l’applicazione dell’esimente ‘de qua”.
Il motivo è fondato.
Le questioni involte sono già state oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Suprema Corte, a partire dalla fondamentale sentenza n. 8757 del 2021, pedissequamente seguita da numerose altre pronunce (cfr., tra le innumerevole, Cass. n. 26203 del 2021, con ampio riferimento ai precedenti), le cui motivazioni sono qui da intendersi espressamente richiamate e condivise ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.
Il quadro normativo di riferimento è già stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ne hanno compiutamente scrutinato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e con il diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2018, rispetto all’ambito soggettivo dell’imposta, ha dato atto dell’incertezza
correlata all’art. 3 D.lgs. n. 504 del 1998 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa di cui all’art. 1, co. 66, lett. b), l. n. 220 del 2010, nel senso che era incerto se la pretesa impositiva potesse rivolgersi anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio; ma, in generale, ha riconosciuto avere il legislatore, con la suddetta disposizione interpretativa, stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio ed ha esplicitato la configurabilità dell’obbligo, anche nel caso (come quello in esame) di ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione, del versamento del tributo e delle eventuali relative sanzioni, svolgendo anche esse, unitamente ai bookmakers, un’attività gestoria, che costituisce il presupposto dell’imposizione.
A questo riguardo, la Corte costituzionale ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole. L’attività consiste, infatti, nella raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale.
Ciò che viene in conto è che, secondo la Corte costituzionale, entrambi i soggetti partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse, soggetta ad imposizione. In particolare, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, occupandosi altresì della trasmissione al bookmaker della
scommessa, dell’incasso e delle somme giocate, nonché, e decisivamente, del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal medesimo.
Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti da nesso di solidarietà per conseguenza paritetica e non dipendente – non dubita la giurisprudenza civile di questa Corte (cfr. Cass. n. 15731 del 2015), la quale insegna che il rapporto tra bookmaker e ricevitore sfugge allo schema della solidarietà dipendente perché questo ricorre, invece, quando uno dei coobbligati, pur non avendo di per sé realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con lo stesso o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (cfr. da ultimo Cass. n. 26489 del 2020).
In definitiva, nel rapporto tra bookmaker e ricevitore, la solidarietà è paritetica perché entrambi, come detto, partecipano all’attività di esercizio delle scommesse.
Né -riprendendo nuovamente la Corte costituzionale -viola il principio della capacità contributiva la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi ed il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria è in grado di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera, assolvendo la possibile rivalsa funzione applicativa del principio di capacità contributiva.
In forza di tale articolato percorso, la Corte costituzionale ha bensì dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 d.lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. b), l. n. 220 del 2010, ma nella sola parte in cui essi prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, in quanto, relativamente a tali annualità, resta definitivamente preclusa la possibilità, per la già cristallizzata determinazione dell’entità delle commissioni tra ricevitorie e bookmakers, di procedere alla traslazione dell’imposta. Per tali annualità, dunque, non rispondono le ricevitorie ma solamente i bookmakers, con o senza concessione, in base al combinato disposto dell’art. 3 D.Lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. a), l. n. 220 del 2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale.
La suddetta ragione di incostituzionalità non è stata invece ravvisata per i rapporti successivi: quindi, non solo per i rapporti negoziali perfezionatisi dopo l’entrata in vigore della novella del 2010, ma anche per i rapporti che, seppur sorti antecedentemente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima. In entrambi i casi, invero, la novella costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti: sia in caso di rapporti sorti successivamente che in caso di rapporti già sorti e destinati a protrarsi, potendo comunque le parti, in relazione a questi secondi, alla luce (e tenendo conto proprio) della scelta normativa di esplicitare l’assoggettamento al tributo anche dei titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale la singola ricevitoria opera. La solidarietà dell’obbligazione e la correlata
possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati nel tempo, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della l. n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità ed adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto. In buona sostanza, ai fini della costituzionalità del combinato disposto dell’art. 3 d.lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, in riferimento così ai rapporti sorti dopo l’entrata in vigore di quest’ultimo come a quelli sorti prima ma destinati a protrarsi oltre, è sufficiente la possibilità in sé della negoziazione della traslazione dell’imposta, irrilevante essendo il concreto esito di detta negoziazione, segnatamente nel segno dell’effettiva traslazione.
Siffatto quadro non mostra frizioni con il diritto unionale. Premesso che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata, sicché rileva l’art. 56 del TFUE, la Corte di giustizia, nella sentenza 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che ‘gestiscono’ scommesse raccolte sul territorio italian o, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”. In particolare, a ‘gestire’ le scommesse è non solo il bookmaker, pur privo di concessione, ma anche la ricevitoria. Scrive con chiarezza la Corte di giustizia che, ‘per quanto riguarda la Stanleyparma , essa esercita, in qualità di
intermediario della Stanleybet Malta e in cambio di una remunerazione, un’attività di offerta e di raccolta di scommesse’ (punto 25) e pertanto ‘esercita’, ‘allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali, un’attività di gestione di scommesse, la quale costituisce una condizione necessaria ai fini dell’assoggettamento all’imposta unica. Per tale ragione, in forza dell’articolo 1, comma 66, lettera b), della legge di stabilità 2011, la RAGIONE_SOCIALE è soggetta, in solido con la Stanleybet Malta, al pagamento di tale imposta’ (punto 26).
Donde deve ribadirsi che, ‘in tema di imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, è soggetto passivo anche il titolare della ricevitoria operante per conto di “bookmakers” esteri privi di concessione poiché, pur non partecipando direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque attività gestoria che costituisce il presupposto impositivo, assicurando la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, e occupandosi della trasmissione all’allibratore dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate nonché, secondo le procedure e istruzioni fornite dallo stesso, del pagamento delle vincite’ (cfr., ‘ex professo’, da ult., Cass. n. 27260 del 2023).
Fermo quanto precede, deve aggiungersi che, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni
Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (cfr., per tutte, Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C -440/12, RAGIONE_SOCIALE, punto 47).
Il legislatore nazionale ha proceduto a tale valutazione, dichiarando, nell’art. 1, comma 64, l. n. 220 del 2010, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco’, in uno al recupero di ‘base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”.
Quanto al CTD, la Corte di giustizia, nella sentenza 26 febbraio 2020 ribadisce (punto 26) che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il CTD che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b), l. n. 220 del 2010; ma ciò non toglie (punto 28) che la situazione del CTD che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del CTD che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro. La diversità della situazione è ‘in re ipsa’, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero.
Né si configurano vulnerazioni del principio dell’affidamento in relazione ad una supposta portata innovativa della disposizione interpretativa del 2010, correlata all’incertezza della disciplina,
eliminata soltanto dalla legge d’interpretazione autentica n. 220/10, relativamente al periodo antecedente alla sua pubblicazione.
Nel presente giudizio non viene in rilievo un ‘periodo antecedente’ alla pubblicazione della novella, su cui possa refluire la condizione d’incertezza normativa dipanata dalla medesima.
Ed infatti, riguardo alla posizione delle ricevitorie, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, che necessita di essere osservata, si è già espressa nel senso dell’incostituzionalità, relativamente, però, come ricordato, alle sole annualità antecedenti all’entrata in vigore. Per le annualità successive, quale il 2011 che ne occupa, nessun affidamento invece viene (e può finanche astrattamente venire) in linea di conto, attesa la sopravvenienza giust’appunto dell’intervento legislativo, dotato di formulazione e portata inequivoche, tanto da essere così effettivamente inteso dalla CGT2 sul piano della debenza dell’imposta, ma non anche, contraddittoriamente, su quello della debenza altresì delle sanzioni.
Correlativamente, su questo secondo piano, non ricorrono neppure le condizioni di esistenza di alcuna esimente collegata ad alcuna supposta condizione d’incertezza. Portando a compimento quanto già dianzi osservato circa l’insussistenza di alcun legittimo affidamento tutelabile, mette conto di precisare che nessuna incertezza è configurabile dopo la l. n. 220 del 2010, la quale, enucleando un significato già ricavabile dalla normativa su cui si è innestata, ha definitivamente chiarito l’assoggettamento all’ imposta unica sia del bookmaker che (per gli anni d’imposta dopo la sua entrata in vigore, stanti le esaminate ragioni riguardanti lo specifico profilo della possibilità di rivalsa, ferma tuttavia la qualifica di soggetto passivo) della ricevitoria: ciò alla luce, come in passato,
dell’unico ed immutato presupposto della ‘funditus’ concorrente (‘post’ l. n. 220 del 2010) attività gestoria.
Conclusivamente, come anticipato, il ricorso merita accoglimento.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa S.C. è abilitata a decidere la causa nel merito, con l’integrale rigetto -anche, dunque, per la residua parte relativa alle sanzioni, che ne occupa -dell’originario ricorso del contribuente.
Alla luce di quanto precede, occorre provvedere sulle spese.
In ragione degli alterni esiti, quanto alle sanzioni, dei vari gradi di giudizio e dell’assestamento della giurisprudenza solo dopo l’introduzione dello stesso, le spese, già compensate dalla CGT -2 nella sentenza impugnata, possono definitivamente esserlo per tutti i gradi.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e, per l’effetto, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio, proposto da COGNOME Eugenio avverso l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, anche in punto di sanzioni.
Compensa tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio.
Così deciso a Roma, lì 13 giugno 2025.