Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5770 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5770 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
Oggetto:
Imposta unica sulle
scommesse
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 37884/2019 R.G. proposto da COGNOME NOME, in qualità di titolare della cessata omonima impresa individuale, RAGIONE_SOCIALE , rappresentati e difesi da ll’ AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio legale dell’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, come da procure speciali in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3063/03/2019, depositata il 17.05.2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024.
RILEVATO CHE
La CTP di Roma rigettava il ricorso proposto da COGNOME NOME e da RAGIONE_SOCIALE avverso l’ avviso di accertamento per imposta unica sul gioco, relativa all’anno 2011;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dai contribuenti e condannava questi ultimi al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese, osservando, per quanto qui rileva, che:
-l’eccezione di parte contribuente, riguardante l’omessa traduzione in lingua inglese dell’avviso di accertamento, andava disattesa, atteso che la contribuente aveva proposto tempestivo ricorso le cui ampie motivazioni confermavano la conoscenza del contenuto dell’atto impugnato, non essendo previsto, peraltro, alcun obbligo di traduzione nella lingua inglese;
non sussistono i presupposti per disporre un rinvio pregiudiziale ex art. 2 67 TFUE, in quanto l’imposta unica sulle scommesse non è un tributo armonizzato, la relativa disciplina nazionale non si pone in contrasto con l’ordinamento comunitario, non è incompatibile con il divieto di introduzione di imposte sulla cifra d’affari e non sussistono i requisiti di rilevanza riferibili alla questione di legittimità costituzionale prospettata dagli appellanti;
-l’ avviso di accertamento era adeguatamente motivato e non erano stati contestati il metodo utilizzato dall’Ufficio per determinare l’imposta e gli interessi, nonché il loro mancato versamento, essendo contestato solo l’an debeatur ;
-l’imposta era dovuta anche dai soggetti che esercitavano l’attività senza concessione, come era stato affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 27 del 2018, sia con riferimento al bookmaker che con riguardo al titolare della ricevitoria, in quanto la ‘responsabilità solidale e non solo formale, tra il CTD ed il Bookmaker ex L. 220/10 ‘, andava qualificata come responsabilità paritetica;
-l’imposta unica sulle scommesse si applica va a ll’importo RAGIONE_SOCIALE giocate e non con riferimento a l reddito ritratto dall’operatore comunitario , in quanto il presupposto dell’imposta è la raccolta del gioco;
-i motivi di doglianza relativi ai presupposti dell’imposta (oggettivo, territoriale e soggettivo) erano privi di fondamento, posto che la disposizione di cui all’art. 1, comma 66, della l. n. 220 del 2010 individua quale presupposto impositivo non l’accettazione della scommessa, bensì il luogo della raccolta e il soggetto passivo è chiunque gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, ubicati in Italia o all’estero, concorsi e scommesse di qualsiasi genere;
-altrettanto corretta era l’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, in quanto l’attività svolta in carenza di concessione dall’operatore estero è soggetta a tassazione, anche se illegale, e il bookmaker estero è soggetto passivo;
i contribuenti impugnavano la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a otto motivi;
-l’ RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
-Con il primo motivo (indicato come primo motivo in via preliminare), i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 della l. n 241 del 1990 e 7 della l. n. 212 del 2000, in relazione a ll’art. 360 , comma 1, n. 3, cod. proc. civ., perché, nel qualificare la responsabilità solidale della RAGIONE_SOCIALE come paritetica, la CTR ha interpretato erroneamente i principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 2018, essendo il bookmaker solo un obbligato ‘dipendente’, in quanto garante ex lege del pagamento dell’imposta, e ha modificato, con riferimento al
presupposto soggettivo, la pretesa impositiva posta a fondamento dell’avviso di accertamento;
con il secondo motivo (indicato come secondo motivo in via preliminare), deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato l’illegittimità dell’avviso di accertamento, con riferimento alla posizione della RAGIONE_SOCIALE, per la mancata traduzione dello stesso nella lingua inglese;
con il terzo motivo (indicato come primo motivo nel merito), deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 e 1, comma 66, lett. b) della l. n. 220 del 2010, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente la sussistenza del presupposto soggettivo dell’imposta in capo al CTD;
con il quarto motivo (indicato come secondo motivo nel merito), deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, lett. b), della l. n. 288 del 1998, 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 e 1, comma 66, lett. b) della l. n. 220 del 2010, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente sussistente il presupposto territoriale dell’imposta;
con il quinto motivo (indicato come terzo motivo nel merito), deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE, 1, comma 66, della l. n. 220 del 2010 e dei principi unionali di parità di trattamento e non discriminazione, nonché di legittimo affidamento, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR disapplicato l’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 per manifesta incompatibilità con il diritto unionale e sollecitano, in via subordinata, un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sulla questione dell’applicabilità del diritto interno;
– con il sesto motivo (indicato come quarto motivo nel merito), deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 401 della Direttiva 2006/112/CE, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR disapplicato la disciplina normativa di cui al d.lgs. n. 504 del 1998, in ragione della sua contrarietà al divieto di mantenere o introdurre imposte sul volume d’affari diverse dall’imposta sul valore aggiunto, limitandosi ad affermare che l’imposta unica sul gioco e sulle scommesse non era un tributo armonizzato; sollecitano, in via subordinata, un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sulla questione dell’applicabilità del diritto interno;
con il settimo motivo (indicato come quinto motivo nel merito), deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, 5, comma 1, 6, comma 2, della l. n. 472 del 1997 e 10, comma 4, della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR escluso l’applicazione dell’esimente riguardante le obiettive condizioni di incertezza sulla portata RAGIONE_SOCIALE disposizioni relative alle sanzioni irrogate dall’ADM;
con l’ottavo motivo (indicato come sesto motivo nel merito), deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 12, 15 del d.lgs. n. 546 del 1992, 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR condannato i contribuenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, nonostante questa fosse stata rappresentata in giudizio da un proprio funzionario delegato e non avesse documentato l’anticipazione di spese vive; in via subordinata, contestano la mancata compensazione RAGIONE_SOCIALE spese, vista la particolare complessità RAGIONE_SOCIALE questioni trattate;
– preliminarmente va disattesa la ‘proposta di conciliazione ai sensi dell’art. 48 bis d.lgs. 546 del 1992 e ss.mm. ‘ , presentata in data 23.01.2024 dalla ricorrente RAGIONE_SOCIALE, con la quale la medesima ha chiesto di fissare un’udienza ‘per la comparizione RAGIONE_SOCIALE
parti’, finalizzata ad ottenere un accordo conciliativo con l’RAGIONE_SOCIALE, dichiarandosi disponibile al pagamento dell’imposta quale unico obbligato;
la predetta richiesta, che è inammissibile, si riferisce evidentemente al recente d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 220, con cui sono state introdotte ‘ Disposizioni in materia di contenzioso tributario ‘ e, in particolare, alla lett. u) dell’art. 1, che ha previsto che « nell’art. 48 … 2) dopo il comma 4 è inserito il seguente: «4-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche alle controversie pendenti davanti alla Corte di Cassazione.»;
come è stato già chiarito da questa Corte (Cass. n. 2815 del 30.01.2024), la citata novella si applica esclusivamente per il futuro e con riguardo ai ricorsi iscritti successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 220 del 2023, come esplicitamente dispone l’art. 4, comma 2, seconda parte, del medesimo d.lgs. (« 2. Le disposizioni del presente decreto si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024, fatta eccezione per quelle di cui all’articolo 1, comma 1, lettere d), e), f), i), n), o), p), q), s), t), u), v), z), aa), bb), cc) e dd) che si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal giorno successivo all’entrata in vigore del presente decreto »);
la locuzione impiegata dalla norma ‘ai giudizi instaurati … a decorrere dal giorno successivo all’entrata in vigore del presente decreto’ , infatti, non può che riferirsi ai nuovi ricorsi, che siano stati iscritti dopo il 4 gennaio 2024, in quanto: a) il termine ‘instaurati’ sul piano strettamente letterale costituisce sinonimo di ‘avviati’, ‘intrapresi’ o ‘iniziati’ e non può essere assimilato ai ricorsi cd. pendenti alla data di entrata in vigore della norma, i quali, infatti,
sono già promossi (ossia avviati o ‘instaurati’) in epoca anteriore all’entrata in vigore del decreto; b) l’applicazione immediata a tutti i giudizi pendenti nei diversi gradi non richiedeva una formulazione come quella impiegata poiché era sufficiente specificare che le modifiche ‘si applicano ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore’ del decreto; c) depone in tal senso, infine, la Relazione illustrativa al decreto che, con riguardo alla decorrenza degli effetti del decreto delegato, afferma, con omogeneità di termini e senza soluzione di continuità, che le nuove disposizioni si applicano « ai giudizi instaurati … con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024, fatta eccezione » per alcune modifiche -tra le quali « la conciliazione fuori udienza anche per i giudizi pendenti in Cassazione » – « che si applicano ai giudizi instaurati … a decorrere dal giorno successivo all’entrata in vigore del presente decreto », sì da fondare una piena equipollenza tra le espressioni, distinte solo quanto all’individuazione della specifica data di decorrenza degli effetti;
-un’ulteriore ragione di inammissibilità della richiesta dipende dal fatto che la conciliazione estesa ai giudizi di cassazione è solo quella prevista dall’art. 48 d.lgs. n. 546 del 1992 (‘ Conciliazione fuori udienza ‘) e non quella -qui invocata – di cui al successivo art. 48 bis (‘ Conciliazione in udienza ‘);
ciò premesso, il primo, il terzo, il quarto e il quinto motivo, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono infondati;
come è stato già precisato da questa Corte, il quadro normativo di riferimento (art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998; art. 3 del decreto legislativo n. 504/88; art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010; art. 16 del D.M. 1 marzo 2006 n. 111; art. 1, comma 644, lett. g), della legge n. 190 del 2014) è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato la compatibilità, rispettivamente, con la
Costituzione e con il diritto unionale (cfr. Cass., 31 marzo 2021, nn. 8907-8911; Cass., 1 aprile 2021, nn. 9079-9081; Cass., 2 aprile 2021, nn. 9144-9153; Cass., 2 aprile 2021, n. 9160; Cass., 2 aprile 2021, n. 9176; Cass., 2 aprile 2021, n. 9184, Cass., 12 aprile 2021, nn. 9528 e 9537 e, più di recente, Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761);
– in particolare, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2018, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio), riconoscendo che l’art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010 ha stabilito c he l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e che le ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione sono obbligate al versamento del tributo e RAGIONE_SOCIALE relative sanzioni; a questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del «gestore per conto terzi» (ossia del titolare di ricevitoria) al «gestore per conto proprio» (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, secondo la Corte costituzionale, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» RAGIONE_SOCIALE scommesse soggette a imposizione;
– il giudice RAGIONE_SOCIALE leggi ha rimarcato che il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento RAGIONE_SOCIALE somme giocate,
nonché del pagamento RAGIONE_SOCIALE vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker, s icché l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta RAGIONE_SOCIALE scommesse, il volume RAGIONE_SOCIALE quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale;
la Corte costituzionale ha poi aggiunto che la scelta di assoggettare all’imposta i titolari RAGIONE_SOCIALE ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione non viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato: ciò perché attraverso la regolazione RAGIONE_SOCIALE commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. La rivalsa svolge, quindi, funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione;
sulla base RAGIONE_SOCIALE suddette considerazioni, la Corte costituzionale, nella richiamata pronuncia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In relazione a quel periodo, infatti, non si può procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità RAGIONE_SOCIALE commissioni già
pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla l. n. 220 del 2010;
– il giudice RAGIONE_SOCIALE leggi ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 , non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione in base alla combinazione dell’art. 3 decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. a), della legge n. 220 del 2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale;
-a diversa conclusione, si perviene per le annualità dal 2011 in poi e con riferimento alla posizione del ricevitore, dovendosi osservare che la incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte « in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011 » con conseguente violazione dell’art. 53, Cost., « giacché l’entità RAGIONE_SOCIALE commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010 ». A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti, in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura RAGIONE_SOCIALE commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker. La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata
per i «rapporti successivi al 2011», quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi RAGIONE_SOCIALE parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, proprio in considerazione della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari RAGIONE_SOCIALE ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale RAGIONE_SOCIALE commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale RAGIONE_SOCIALE commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della legge n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto (Cass. 8 febbraio 2023, n. 1184, in motivazione);
la Corte costituzionale ha, dunque concluso affermando che i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, comunque concorrono, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo;
con specifico riferimento, poi, al presupposto territoriale del tributo, oggetto del quarto motivo (indicato come secondo motivo nel merito), questa Corte ha già precisato, con le pronunce citate, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa, poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi, consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta RAGIONE_SOCIALE scommesse, che
consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta, attività, queste, tutte svolte in Italia ( ex multis , Cass. 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione);
la CTR si è attenuta ai richiamati principi, affermando che il presupposto di imposta era riferibile sia al bookmaker che al CTD (venendo in rilievo l’anno d’imposta 2011) , con la conseguenza che entrambi i soggetti sono tenuti all’adempimento dell’obbligazione impositiva in via solidale paritetica, avendo la Corte costituzionale, diversamente da quanto affermato dai ricorrenti, chiaramente riferito il presupposto oggettivo dell’imposta ad entrambi, con la conseguenza che entrambi i soggetti sono tenuti a rispondere solidalmente dell’obbligazione tributaria ;
ciò premesso, per quanto riguarda la richiesta di rinvio pregiudiziale (e/o di sospensione del giudizio) avanzata sul punto dai ricorrenti, occorre considerare la sopravvenuta sentenza della Corte di giustizia del 26 febbraio 2020, causa C-788/18, riguardante proprio la questione avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla CTP di Parma, nel procedimento RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE e dei RAGIONE_SOCIALE;
la Corte di giustizia ha stabilito con la suindicata decisione che « L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno RAGIONE_SOCIALE membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i Centri di Trasmissione di Dati stabiliti in tale RAGIONE_SOCIALE membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro RAGIONE_SOCIALE membro, indipendentemente dall’ubicazione della sede di tali operatori e dall’assenza di concessione per l’organizzazione RAGIONE_SOCIALE scommesse »;
-nel rispondere al primo e al secondo quesito (« se l’articolo 56 TFUE osti ad una normativa di uno RAGIONE_SOCIALE membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i CTD stabiliti in tale RAGIONE_SOCIALE membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro RAGIONE_SOCIALE membro» ), i giudici unionali hanno premesso che la libera prestazione dei servizi, di cui all’articolo 56 TFUE, esigeva non soltanto l’eliminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro RAGIONE_SOCIALE membro di qualsiasi discriminazione fondata sulla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione quando era idonea a vietare, a ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro RAGIONE_SOCIALE membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi (sentenza del 22 ottobre 2014, COGNOME e COGNOME, C -344/13 e C -367/13, EU:C:2014:2311, punto 26); la Corte aveva approvato nel settore dei giochi d’azzardo il ricorso al sistema RAGIONE_SOCIALE concessioni, ritenendo che quest’ultimo potesse costituire un meccanismo efficace che consentisse di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti (sentenza del 19 dicembre 2018, RAGIONE_SOCIALE Betting e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, C -375/17, EU:C:2018:1026, punto 66); per determinare se sussisteva una discriminazione, occorreva verificare che situazioni analoghe non fossero trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non fossero trattate in maniera uguale, a meno che una differenziazione non fosse oggettivamente giustificata (sentenza del 6 giugno 2019, RAGIONE_SOCIALE.M. e a., C -264/18, EU:C:2019:472, punto 28);
– con specifico riferimento alla vicenda in esame, la Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano,
senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, di modo che la normativa italiana « non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la RAGIONE_SOCIALE, nello RAGIONE_SOCIALE membro interessato »; ha affermato che, secondo costante giurisprudenza unionale, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi e che, di conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni RAGIONE_SOCIALE membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità; ha ritenuto che il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nel comma 64 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, i propri obiettivi, tra i quali si colloca «… l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore », in quanto la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno RAGIONE_SOCIALE membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale; ha stabilito, in relazione al bookmaker, che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore
stabilito in un altro RAGIONE_SOCIALE membro e ha specificato, in concreto, che «…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri»; sicché, ha concluso che «… rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la RAGIONE_SOCIALE non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale »; in ultimo, quanto al centro trasmissione dati, ha ribadito che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse « allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali » ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220/10, ma ciò non toglie che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali sia diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro RAGIONE_SOCIALE membro; la diversità della situazione, pertanto, è in re ipsa per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero; nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema RAGIONE_SOCIALE concessioni costituisce «… un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti » (Cass., 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione);
– alla luce di quanto sopra esposto, in relazione alle intervenute pronunce della Corte di giustizia e della Corte costituzionale, considerati anche i precedenti di questa Corte in relazione a controversie aventi il medesimo contenuto (cfr. Cass., 31 marzo
2021, nn. 8907-8911; Cass., 1 aprile 2021, nn. 9079-9081; Cass., 2 aprile 2021, nn. 9144-9153; Cass., 2 aprile 2021, n. 9160; Cass., 2 aprile 2021, n. 9176; Cass., 2 aprile 2021, n. 9184, Cass., 12 aprile 2021, nn. 9528 e 9537 e, più di recente, Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761), non sussistono i presupposti per un ulteriore rinvio pregiudiziale ex art. 267, secondo comma, TFUE, alla Corte di giustizia, come sollecitato dai ricorrenti nel ricorso per cassazione (cfr. Cass. 16 giugno 2017, n. 15041; Cass. Sez. U., 10 settembre 2013, n. 20701);
con riferimento specifico al primo motivo (indicato come primo motivo in via preliminare), poi, nel caso in esame la CTR non ha affatto ecceduto i confini della causa petendi delimitati dapprima dall’avviso di accertamento e poi dai motivi di impugnazione formulati dalla società contribuente nel ricorso introduttivo, né è stata alterata la sostanza dell’accertamento, rimanendo gli stessi i fatti sui quali l’atto impositivo è stato fondato, né sono state avanzate pretese diverse da quelle recepite nell’atto impositivo. Il giudice di appello non ha, quindi, mutato il destinatario principale della pretesa fiscale, originariamente individuato nel CTD, e ciò in quanto il bookmaker estero era stato individuato già nell’avviso di accertamento quale coobbligato in solido nei confronti del CTD; non vi è stata, dunque, alcuna «sostituzione» della motivazione sostenuta nell’avviso di accertamento, né alcuna modifica dei presupposti di fatto e RAGIONE_SOCIALE ragioni giuridiche poste a base dell’avviso di accertamento impugnato;
anche il secondo motivo è infondato;
-sul punto va evidenziato come nessuna specifica previsione normativa dispone che l’atto impositivo debba essere redatto nella lingua del soggetto destinatario, dovendosi invero presumere che lo
stesso, in quanto soggetto passivo nel territorio nazionale, sia in grado di comprendere il contenuto dell’atto; la questione, dunque, si sposta sul piano probatorio, essendo onere del contribuente provare di non essere stato nelle condizioni di avere potuto avere conoscenza del contenuto dell’atto, il che postula che lo stesso versi in condizioni tali, nonostante il comportamento dallo stesso esigibile, da non potere in alcun modo avere potuto ovviare alla circostanza che l’atto impositivo non era stato tradotto nella propria lingua di origine, profilo in alcun modo coltivato dalla ricorrente, che si è limitata ad una contestazione generica sul punto;
va, altresì, precisato che identica questione è già stata esaminata da questa Corte che ha escluso che la mancata traduzione nella lingua del destinatario possa comportare una lesione del diritto di difesa della società ricorrente, in quanto la stessa, anche se soggetto non residente privo di stabile organizzazione in Italia, ha dimostrato, avendo in concreto fatto valere nei gradi del merito le proprie ed articolate difese contestando la pretesa tributaria azionata con l’atto impugnato, di avere avuto piena conoscenza del contenuto dell’atto impositivo ad essa notificato (Cass., 19 gennaio 2021, n. 9144; Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761);
-il sesto motivo (indicato come quarto motivo nel merito) è infondato;
-come è stato già più volte chiarito da questa Corte (Cass. 25.09.2023, n. 27260; Cass. 21.9.2021, n. 25450; Cass. 14.7.2021, n. 2013), il tributo che qui rileva è differente da una imposta sulla cifra di affari per plurime ragioni: riguarda unicamente operazioni relative all’esercizio RAGIONE_SOCIALE scommesse, irrilevanti a fini IVA; non tiene conto del valore aggiunto di ciascuna, difettando nel sistema il meccanismo della detrazione I.V.A. e applicandosi il tributo
all’importo scommesso; è calcolato senza alcun riconoscimento di deduzione degli acquisti di beni e servizi inerenti effettuati nel periodo in cui sono poste in essere le operazioni di scommessa;
– anche secondo i giudici unionali (CGUE, sent. n. 24 ottobre 2013 in causa n. C-440/2012, RAGIONE_SOCIALE, peraltro, ” in forza dell’articolo 401 della direttiva IVA «le disposizioni di direttiva non vietano ad uno RAGIONE_SOCIALE membro di mantenere o introdurre imposte (…) sui giochi e sulle scommesse, (…) e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari (…)». La formulazione di tale articolo non osta, pertanto, a che gli Stati membri assoggettino un’operazione all’IVA, nonché, in modo cumulativo, a un tributo speciale non avente il carattere d’imposta sul volume d’affari (v., in tal senso, la sentenza dell’8 luglio 1986, Kerrutt, 73/85, Racc. pag. 2219, punto 22) ‘ ;
– secondo la richiamata pronuncia, quindi, l’art. 401 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con l’art. 135, paragrafo 1, lettera i) della stessa, deve essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e un tributo speciale nazionale sui giochi d’azzardo possono essere riscossi in modo cumulativo, a condizione che siffatto ultimo tributo non abbia il carattere di un’imposta sul volume d’affari; inoltre, sempre secondo tale sentenza, l’art. 1, paragrafo 2, prima frase, e l’art. 73 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una disposizione o a una prassi nazionale secondo cui, per la gestione di apparecchi per giochi d’azzardo con possibilità di vincita, l’importo dei proventi di cassa di tali apparecchi, dopo che è trascorso un determinato periodo di tempo, viene considerato come base imponibile;
le richiamate considerazioni consentono di disattendere anche alla richiesta di rinvio pregiudiziale, avanzata sul punto dai ricorrenti in via subordinata;
anche il settimo motivo (indicato come quinto motivo nel merito) è privo di fondamento;
-la decisione della CTR di escludere l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, è corretta, in quanto l’atto impositivo riguarda l’anno di imposta 2011, successivo alla legge d’interpretazione autentica n. 220 del 2010, la quale ha, appunto, sciolto ogni incertezza limitatamente al periodo antecedente; va rilevato, in proposito, che, non solo era vigente nel predetto periodo d’imposta la norma interpretativa, ma anche che la ricevitoria ben poteva rimodulare il rapporto negoziale, sicché non residuava alcuna incertezza interpretativa per l ‘ annualità in considerazione;
-l’ottavo motivo (indicato come sesto motivo nel merito) è parimenti infondato;
con riferimento al primo profilo della censura (liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese in favore dell’Ufficio, sebbene rappresentato nel giudizio di appello da un proprio funzionario delegato), va ribadito che “nel processo tributario, all’ente locale (nella specie, un Comune) assistito in giudizio da propri dipendenti spetta, in caso di vittoria nella lite, la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, in quanto l’espresso riferimento a tali voci (spese e riduzione onorari), contenuto nell’art. 15, comma 2-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti, che
sono legittimati a svolgere attività difensiva nel processo ” ( ex multis , Cass. n. 29366 del 10.10.2022);
il contribuente, pertanto, può essere condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali in favore dell’Amministrazione finanziaria, anche se essa si è costituita con un funzionario delegato, senza il ministero del difensore (Cass. n. 4473 del 2021);
per quanto riguarda il secondo profilo della censura, va condiviso il consolidato principio di diritto secondo il quale “L’applicazione dell’istituto della compensazione RAGIONE_SOCIALE spese processuali non è censurabile in sede di legittimità rientrando nei poteri discrezionale del giudice del merito l’opportunità di farne applicazione quando vi sia soccombenza reciproca o concorrano altri giusti motivi ” ( ex multis , Cass. n. 9730 del 2021; Cass n. 5069 del 2022);
il ricorso va, dunque, rigettato e le spese del giudizio di legittimità vanno compensate tra le parti, in considerazione della recente evoluzione della giurisprudenza in materia.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 24 gennaio 2024.