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Imposta unica scommesse: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un centro trasmissione dati (CTD) che operava per un bookmaker estero, confermando la sua responsabilità solidale per il pagamento dell’imposta unica scommesse per l’annualità 2011. La Corte ha stabilito che la normativa non viola i principi UE di non discriminazione o libera prestazione dei servizi, in quanto la tassazione si applica a tutte le scommesse raccolte sul territorio italiano, indipendentemente dalla sede dell’operatore. La decisione consolida l’orientamento secondo cui i CTD sono soggetti passivi d’imposta per le annualità successive al 2010.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta unica scommesse: La Cassazione sulla tassazione dei CTD per bookmaker esteri

Con la recente ordinanza n. 24349 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su una questione cruciale per il settore del gioco: la debenza dell’imposta unica scommesse da parte dei Centri Trasmissione Dati (CTD) che operano in Italia per conto di bookmaker esteri privi di concessione. La decisione conferma un orientamento ormai consolidato, rigettando il ricorso di un operatore e affermando la sua piena responsabilità fiscale per l’anno 2011.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da tre avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a una società (un CTD) per l’omesso versamento dell’imposta unica sulle scommesse sportive per gli anni 2009, 2010 e 2011. La società raccoglieva le giocate per conto di un noto bookmaker con sede a Malta.

Mentre i giudici di merito avevano annullato le pretese fiscali per il 2009 e 2010, avevano confermato l’accertamento per il 2011. La società contribuente ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su cinque motivi, tra cui la presunta violazione del diritto dell’Unione Europea in materia di non discriminazione e libera prestazione di servizi, nonché vizi di motivazione della sentenza impugnata.

La questione giuridica e l’Imposta Unica Scommesse

Il cuore della controversia risiedeva nel determinare se un CTD, che agisce come mero intermediario per un operatore estero, potesse essere considerato soggetto passivo d’imposta in Italia. Secondo la ricorrente, assoggettare a tassazione un operatore privo di concessione, discriminato nell’accesso al mercato nazionale, costituiva una violazione dei principi comunitari. La difesa sosteneva inoltre che l’introduzione della responsabilità solidale del CTD fosse una novità normativa imprevedibile che ledeva il principio del legittimo affidamento.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’Imposta Unica Scommesse

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la legittimità dell’imposizione per l’annualità 2011. Gli Ermellini hanno basato la loro decisione su un’analisi approfondita della normativa nazionale e della giurisprudenza consolidata, sia a livello costituzionale che europeo.

Le motivazioni

La Corte ha smontato le argomentazioni della ricorrente punto per punto.

In primo luogo, ha ribadito che il presupposto territoriale dell’imposta è soddisfatto, poiché il fatto imponibile non è la conclusione del contratto di scommessa, ma l’attività di organizzazione e raccolta delle giocate, che si svolge interamente in Italia tramite il CTD.

In secondo luogo, e in modo centrale, la Corte ha escluso qualsiasi violazione del diritto UE, richiamando una specifica sentenza della Corte di Giustizia Europea (causa C-788/18). Quest’ultima ha chiarito che l’imposta unica scommesse si applica a tutti gli operatori che raccolgono gioco sul territorio italiano, senza alcuna distinzione basata sul luogo di stabilimento. Non vi è quindi alcuna discriminazione, poiché la legge fiscale italiana non ostacola né rende meno attraente l’attività di un operatore estero rispetto a uno nazionale. Anzi, esentare gli operatori privi di concessione creerebbe una discriminazione al contrario, favorendoli ingiustamente.

La Corte ha inoltre valorizzato la sentenza della Corte Costituzionale n. 27 del 2018. La Consulta aveva dichiarato l’illegittimità della norma solo per le annualità precedenti al 2011, poiché in quel periodo i CTD non avevano la possibilità concreta di rinegoziare i contratti con i bookmaker per trasferire su di essi il carico fiscale. Tale possibilità, invece, è stata ritenuta esistente a partire dal 2011, rendendo legittima l’imposizione.

Infine, è stata nettamente distinta la responsabilità penale da quella tributaria. Il fatto che l’attività del CTD possa non costituire reato (a causa della discriminazione subita dal bookmaker estero nell’accesso alle gare per le concessioni) non implica in alcun modo un’esenzione fiscale. L’attività di raccolta scommesse, sebbene svolta in un contesto particolare, genera un reddito e costituisce il presupposto per l’applicazione dell’imposta.

Le conclusioni

L’ordinanza della Cassazione consolida un principio fondamentale: chiunque raccolga scommesse in Italia è tenuto a pagare l’imposta unica scommesse, a prescindere dal possesso di una concessione o dalla nazionalità del bookmaker per cui opera. La decisione chiarisce che la responsabilità solidale del CTD è pienamente legittima per le annualità dal 2011 in poi. Questa pronuncia fornisce certezza giuridica all’azione dell’Amministrazione Finanziaria e ribadisce che l’esercizio di un’attività economica sul territorio nazionale comporta inderogabilmente il rispetto degli obblighi fiscali corrispondenti, in linea con i principi di lealtà fiscale e parità di trattamento.

Un centro scommesse (CTD) che opera in Italia per un bookmaker estero senza concessione deve pagare l’imposta unica scommesse?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, per le annualità d’imposta dal 2011 in poi, il CTD è obbligato in solido con il bookmaker al pagamento dell’imposta unica per le scommesse raccolte sul territorio italiano.

La tassazione dei centri che operano per bookmaker esteri costituisce una discriminazione vietata dal diritto dell’Unione Europea?
No. La Corte, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, ha stabilito che non vi è alcuna discriminazione, in quanto l’imposta si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte in Italia, senza distinzioni basate sul luogo in cui sono stabiliti.

Perché la tassazione è stata confermata per l’anno 2011 ma era stata precedentemente ritenuta illegittima per gli anni precedenti?
La Corte Costituzionale ha ritenuto la norma incostituzionale per le annualità precedenti al 2011 perché, in quel periodo, i CTD non avevano la possibilità di rinegoziare i loro accordi economici con i bookmaker per trasferire il carico fiscale. A partire dal 2011, si presume che tale possibilità di rinegoziazione esistesse, rendendo quindi legittima l’imposizione anche a carico del CTD.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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