Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7611 Anno 2025
Oggetto: Tributi
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7611 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
Oggetto: Tributi
2012 –
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
Imposta unica concorsi, pronostici e scommesse.
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 29692 del ruolo generale dell’anno 202 2, proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE NOME LIMITED in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale su foglio allegato al ricorso, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica (PEC) EMAIL
ricorrente principale –
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro
tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-Ricorrente successivo (incidentale) e controricorrente -per la cassazione della sentenza n. 588/2022 della Commissione tributaria regionale per le Marche, depositata in data 23 maggio 2022, non notificata; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio 2025 dal
Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
1.L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli notificava a RAGIONE_SOCIALE, soggetto esercente l’attività di raccolta scommesse con sede all’estero, un avviso di accertamento con il quale veniva contestato il mancato versamento dell’imposta unica sulle scommesse di cui al d.lgs. n. 504/1998, per l’anno 2012, quale soggetto obbligato in solido con il titolare di un CDT (Centro Trasmissione Dati), operante per conto del bookmaker privo di concessione, irrogando anche le relative sanzioni.
Dagli atti di causa (ricorso principale, pag 15 e ricorso successivo pag. 4-5 e 10) si evince che contro l’atto impositivo RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ancona che, con sentenza n. 425/02/2018, lo accoglieva parzialmente, dichiarando non dovute le sanzioni e respingendolo per il resto.
La Commissione tributaria regionale delle Marche con la sentenza in epigrafe indicata, ‘ respingeva l’appello della contribuente’ .
4.Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi (di cui due in via pregiudiziale). Chiede disporsi il previo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267, secondo comma, TFUE, sui quesiti indicati in ricorso. L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli resiste con controricorso, e, propone ricorso successivo articolato in un motivo.
CONSIDERATO CHE
1.Preliminarmente si riuniscono i ricorsi ex art. 335 c.p.c.; va, al riguardo, osservato che “nei procedimenti con pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., in relazione all’art. 333 dello stesso codice, salva la possibilità della conversione del ricorso comunque presentato in ricorso incidentale – e conseguente riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. – qualora risulti proposto entro i quaranta giorni dalla notificazione del primo ricorso principale, posto che in tale ipotesi, in assenza di una espressa indicazione di essenzialità dell’osservanza delle forme del ricorso incidentale, si ravvisa l’idoneità del secondo ricorso a raggiungere lo scopo”. Cass. n. 27898 del 2011; conf. n. 25054 del 07/11/2013, n. 27887/2009); le S.U. n. 7074 del 2017, hanno confermato tale orientamento, statuendo che ” in virtù del principio di unità dell’impugnazione, il ricorso proposto irritualmente in forma autonoma da chi, ai sensi degli artt. 333 e 371 c.p.c., avrebbe potuto proporre soltanto impugnazione incidentale, per convertirsi in quest’ultima deve averne i requisiti temporali, onde la conversione risulta ammissibile solo se la notificazione del relativo atto non ecceda il termine di quaranta giorni da quello dell’impugnazione principale ” (v. da ultimo, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 33809 del 19/12/2019). Nella fattispecie, il ricorso per cassazione dell ‘Agenzia delle Dogane è stato proposto entro tale termine, con atto notificato via pec in data 22.12.2022 a fronte del ricorso principale della contribuente notificato via pec in data 5.12.2022 (nello stesso senso, ex multis, v. Cass. n. Sez. 5, Ordinanza n. 15934 del 2021).
2.Con il primo motivo (in via pregiudiziale) del ricorso principale si denuncia la violazione e/o falsa applicazione della Legge n. 220/2010, con specifico riferimento alla ratio legis individuata nell’art. 1 comma 64, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) c.p.c.: equiparazione del gioco lecito (applicazione dell’imposta unica prevista della legge 504/1998) al gioco illecito (applicazione dell’imposta
imposta unica prevista dalla legge 220/2010). Ad avviso della ricorrente, Stanleybet sarebbe ‘ eccezione alla regola ‘ ed equiparato, ad ogni effetto di legge, ai soggetti concessionari e regolarizzati.
Con il secondo motivo (in via pregiudiziale) si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 56 ss. TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento all’art. 3 del d.lgs. n. 504/98, come interpretato dall’art. 1, commi 64 e 66, della legge d i stabilità 2011, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) c.p.c. , con proposta o sollevazione d’ufficio di rinvio di interpretazione pregiudiziale ex art. 267, terzo comma, TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e/o rinvio interpretativo all a grande sezione ex art. 104, terzo comma, del reg. proc. della Corte di Giustizia, in combinato disposto con l’art. 158 del predetto regolamento, e dell’art. 16 dello statuto della Corte di Giustizia, per l’interpretazione degli artt. 56, 57 e 52 del TFUE.
Con il terzo motivo (nel merito) si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. 504/1998, come interpretato dall’art. 1, comma 66, lett. b), della L. 220/2010, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3) c.p.c., in merito al presupposto soggettivo dell’imposta.
Con il quarto motivo (nel merito) si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, lett. b), l. 288/1998, in relazione all’art. 360 co. 1, n. 3) c.p.c., inerente al presupposto territoriale dell’imposta.
Con il quinto motivo (nel merito) si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, nonché del principio di legittimo affidamento con riferimento all’art. 1, comma 66, della legge di stabili tà, in relazione all’art. 360 co. 1, n. 3).
Con il sesto motivo (nel merito) si denuncia la nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione, in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4) c.p.c. , per avere la CTR pronunciato in merito alla debenza delle sanzioni e alle spese processuali, dando
luogo ad un vizio di ultra-petizione rispetto al thema decidendum devoluto dalla contribuente con l’atto di appello, essendo già state dal giudice di prime cure dichiarate non dovute le sanzioni con compensazione delle spese processuali senza che le relative statuizioni fossero state oggetto di impugnativa da parte dell’Ufficio.
8.Con il settimo motivo (nel merito) si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 12, 15 d. lgs. 546/1992 e 91, 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1, n. 3) c.p.c. :1) per avere la CTR condannato per il secondo grado di giudizio la contribuente al pagamento delle spese processuali, in favore dell’A .D.M. rappresentata in giudizio da un proprio funzionario delegato, peraltro, in mancanza di documentazione delle spese vive e mancato deposito di apposita nota; 2) per non avere la CTR derogato al principio della soccombenza a fronte della complessità e peculiarità dell’argomento giuridico trattato.
9 . Con l’unico motivo del ricorso successivo l’Agenzia denuncia, la nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n. 4, c.p.c. per avere la CTR non avere pronunciato sull’appello incidentale proposto dall’Ufficio avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto non dovute le sanzioni.
10 .Preliminarmente va disattesa l’istanza – formulata con il secondo motivo in via pregiudiziale del ricorso principale – di sospensione del giudizio ex art. 267 del TFUE e rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e/o rinvio interpretativo alla grande sezione ex art. 104, terzo comma, del reg. proc. della Corte di Giustizia, in combinato disposto con l’art. 158 del predetto regolamento, e dell’art. 16 dello statuto della Corte di Giustizia, per l’interpretazione degli artt. 56, 57 e 52 del TFUE. Al riguardo, giova premettere che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata; sicché i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, punto 17). Inoltre,
nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento ad una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte Giust., 8 settembre 2009, in causa C-42/07; Corte Giust., 24 ottobre 2013, in causa C-440/12, punto 47). Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nell’art. 1, comma 64, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, i propri obiettivi, tra i quali si colloca «(…) l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore». La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, punto 23; per analogia: Corte Giust., 1° dicembre 2011, in causa C-253/09, punto 83). In questo contesto la normativa italiana ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale. La Corte di Giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, punto 21), di modo che la normativa italiana «non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la (omissis), nello Stato membro interessato». Anzi, come la Corte Costituzionale
ha sottolineato (Corte Cost., 23 gennaio 2018, n. 27), a seguire la tesi prospettata in ricorso si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa «risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione (…)».Neppure sussiste incongruenza tra i punti 17, 26 e 28 di quella sentenza. Col punto 17, in relazione al bookmaker, ci si limita a stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro; ma col punto 24 si specifica, in concreto, che «(…) la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri»; sicché, si conclude col punto 24, «(…) rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la (omissis) non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale». Quanto al centro di trasmissione dei dati, il punto 26 si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse «allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali» ed è per questo che il centro di trasmissione dei dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, 1, lett. b, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220. Ma ciò non toglie, si aggiunge col punto 28, che la situazione del centro trasmissione dei dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione dati che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro. La statuizione non è affatto oscura, giacché la diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce «(…) un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo
scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti» (Corte Giust., 19 dicembre 2018, in causa C-375/17, punto 66, richiamata da Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, punto 18); e ciò in conformità agli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, dinanzi indicati, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria. Se ne è concluso, i nfatti, che «l’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato che assoggetti ad imposta sulle scommesse i Centri di Trasmissione di Dati stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro, indipendentemente dall’ubicazione della sede di tali operatori e dall’assenza di concessione per l’organizzazione delle scommesse». Da ultimo, non si ravvisa necessità alcuna di promuovere dinanzi alla Corte di Giustizia le questioni sollecitate che, per un verso, si risolvono in una critica della sentenza resa nella causa C-788/18 (Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C-788/18), rivelandosi sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembrano postulare che la Corte di Giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati. Laddove, come lo stesso giudice unionale ha sottolineato, essa, «(…) pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale» (Corte Giust., 19 dicembre 2018, in causa C-375/17, punto 67).
l due motivi pregiudiziali e i primi tre motivi di merito – da trattarsi unitariamente per connessione avendo tutti attinenza, sotto diversi profili, ai presupposti dell’imposta unica sulle scommesse -sono infondati per i motivi di seguito indicati.
12. Le questioni sottoposte allo scrutinio del collegio -anche ad assumerne la pretermissione da parte del giudice di appello – sono state oggetto di approfondito esame da parte di questa Corte (da ultime: Cass., Sez. 5^, 31 marzo 2021, nn. 8907, 8908, 8809 e 8910; Cass., Sez. 5^, 1 aprile2021, nn. 9080 e 9081; Cass., Sez. 5^, 2 aprile 2021, nn. 9144, 9145, 9146, 9147, 9148, 9149, 9151, 9152, 9153, 9160, 9162 e 9168; Cass., Sez. 5^, 12 aprile 2021, nn. 9516, 9528, 9529, 9530, 9531, 9532, 9533 e 9534; Cass., Sez. 5^, 14 aprile 2021, nn. 9728, 9729, 9730, 9731, 9732, 9733, 9734 e 9735; Cass., Sez. 5^, 21 aprile 2021, nn. 10472 e 10473; Cass. sez. 6-5, n. 29366 del 2022; Cass. sez. 5, n. 7540 del 2024) che ha svolto le seguenti considerazioni.
13.Sin dalle origini, il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (art. 6 del D.L.vo 14 aprile 1948, n. 496), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge n. 2033 del 15 giugno 1951, con riguardo all’istituzione dell’imposta unica, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi «(…) debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria (…)». Il presupposto dell’imposizione non è stato, dunque, correlato alla giocata in sé, ma alla prestazione di un servizio, che è, appunto, il servizio di gioco e, in questo ambito, il prelievo colpisce, dunque, il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio. Tale carattere permea, in termini sistematici, l’intera disciplina dei tributi sui giochi. Così è in materia di prelievo erariale unico, dove l’art. 39, comma 13, primo periodo, del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 novembre 2003 n. 326, disponendo che «Agli apparecchi e congegni di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, collegati in rete, si applica un prelievo erariale unico fissato in misura del 13,5 per cento delle somme giocate», ancorava il presupposto dell’imposizione all’utilizzazione degli apparecchi e congegni per il gioco lecito . Questa connotazione, del resto, era stata rilevata anche dalla
sentenza depositata dalla Corte Costituzionale il 19 ottobre 2006 n. 334, la quale aveva sottolineato il parallelismo con «l’imposta sugli intrattenimenti, dall’art. 1 del d.P.R. n. 640 del 1972 e dal punto 6 della tariffa allegata allo stesso d.P.R.», norma che, come modificata dall’art. 1 del D.L.vo 26 febbraio 1999 n. 60, prevedeva: «Sono soggetti all’imposta gli intrattenimenti, i giochi e le altre attività indicati nella tariffa allegata 6 al presente decreto, che si svolgono nel territorio dello Stato». Tale disposizione, adoperando la parola «svolgono», aveva un diretto ed evidente riferimento al concreto esercizio del gioco. Analogamente, in materia di IVA, dove l’art. 10, n. 6, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, prevede un regime di esenzione nel caso della raccolta delle scommesse e, dunque, sulla prestazione del servizio del gioco. È chiara, d’altra parte, la ratio di una simile impostazione: lo Stato ha interesse, sia fiscale che extrafiscale, a che le attività di gioco che si realizzano sul proprio territorio – ossia, nel luogo dove si trova fisicamente lo scommettitore e, comunque, esse siano svolte siano soggette al proprio ordinamento.
14.Queste ragioni di ordine storico e sistematico caratterizzano il quadro normativo di riferimento, che è così articolato:
– conformemente all’art. 1 del D.L.vo 23 dicembre 1998 n. 504, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma dell’art. 1, comma 2, della Legge 3 agosto 1998 n. 288, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero; l’art. 3 del medesimo D.L.vo 23 dicembre 1998 n. 504, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce: «Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse»;
-a norma dell’art. 1, comma 66, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, «(…) a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanzeamministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) l’art. 3 del d.lgs. si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque,
ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni»;
-l’art. 16 del Decreto reso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 10 marzo 2006 n. 111 prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica;
ai sensi dell’art. 1, comma 644, lett. g), della Legge 23 dicembre 2014 n. 190, l’imposta unica si applica «su di un imponibile forfetario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato l’esercizio o il punto di raccolta, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale per il periodo d’imposta antecedente a quello di riferimento».
Il quadro normativo è stato sottoposto all’esame della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni, rispettivamente, con la Costituzione e col diritto unionale. La Corte Costituzionale, con riferimento all’ambito soggettivo dell’imposta, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. 3 del D.L.vo 23 dicembre 1998 n. 504 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); ma ha riconosciuto che il legislatore, con l’art. 1, comma 66, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, da un canto, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni. A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del «gestore per conto terzi» (ossia del titolare di ricevitoria) al «gestore per conto proprio» (ossia al
bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, secondo il giudice delle leggi, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse soggette ad imposizione.
In particolare, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.
Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente – non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale, sia pure con riguardo al gioco del lotto, ha chiarito, appunto, che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass., Sez. 3^, 27 luglio 2015, n. 15731). La stessa giurisprudenza penale (Cass., Sez. 3^, 9 luglio 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza del ruolo del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker, consistente nella «(…) raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco – con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite -(…)».
Ne deriva, secondo la Corte Costituzionale, che, quanto al ricevitore, l’attività gestoria, che costituisce il presupposto dell’imposizione, va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e, per conseguenza, il suo stesso rischio imprenditoriale. Né, ha aggiunto, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le
commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. La rivalsa svolge, pertanto, funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitore, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione.
In conseguenza di tale articolato percorso, dunque, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del D.L.vo 23 dicembre 1998 n. 504 e dell’art. 1, comma 66, lett. b, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può, difatti, procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla Legge 13 dicembre 2010 n. 220 (Corte Cost., 23 gennaio 2018, n. 27).
Il giudice delle leggi ha anche chiarito che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lett. b), della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore. Ne consegue che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 non rispondono le ricevitorie, ma solamente i bookmakers, con o senza concessione, in base alla combinazione degli art. 3 del D.L.vo 23 dicembre 1998 n. 504 e 1, comma 66, lett. b, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale. A diversa conclusione, invece, deve pervenirsi per le annualità dal 2011. L’illegittimità costituzionale della norma in esame, infatti, è stata riscontrata «in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011» con conseguente violazione dell’art. 53 Cost., «giacchè l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker
si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010». A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmakers. La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i «rapporti successivi al 2011»; quindi, non soltanto per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto.
15.Orbene, considerato che nel presente giudizio si controverte sul periodo d’imposta del 2012 e che viene in rilievo soltanto la posizione del bookmaker, le complessive censure sono infondate.
Peraltro, non può seguirsi la linea difensiva della ricorrente secondo cui l’obbligazione solidale del bookmaker privo di concessione, delineata dalla disposizione interpretativa del 2010, sarebbe da qualificarsi quale dipendente, con la conseguenza che, venendo meno la configurabilità della responsabilità principale della ricevitoria, correlativamente verrebbe meno anche quella dipendente del bookmaker. La Corte Costituzionale, infatti, ha chiarito che entrambi i soggetti (la ricevitoria e il bookmaker), partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse soggetta a imposizione, svolgendo entrambi l’attività gestoria delle scommesse, sicché la pronuncia di incostituzionalità, se da un lato ha inciso sulla parte della norma interpretativa in cui ha configurato, per il periodo precedente all’entrata in vigore, la responsabilità della ricevitoria, non ha fatto venire meno la responsabilità del bookmaker privo di concessione. Ai fini della territorialità dell’imposizione non rileva la conclusione del contratto di scommessa, poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascuno scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta, attività che sono (tutte) svolte in Italia (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9153 del 2/4/2021).
In ordine all’asserita violazione del principio dell’affidamento, prospettata in relazione alla portata innovativa della disposizione interpretativa della legge del 2010 che avrebbe introdotto, “improvvisamente e imprevedibilmente”, la responsabilità delle ricevitorie dei “bookmaker” privi di concessione, al di là dei profili di inammissibilità della censura con riferimento alla posizione del ricevitore, in ordine alla quale, peraltro, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, si è già espressa con la pronuncia di incostituzionalità relativamente alla portata innovativa retroattiva della norma, va rilevato, quanto alla posizione del “bookmaker” estero, che la stessa Corte costituzionale non ha posto in discussione il fatto che costui, anche privo di concessione, doveva essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in
vigore della disposizione interpretativa, sicché non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento. Quanto agli ulteriori profili della censura, che riguardano le prospettate frizioni col diritto unionale, l’infondatezza emerge dalla giurisprudenza unionale come sopra già illustrato.
16.Nella specie, sulla scorta della richiamata decisione della Corte Costituzionale, il giudice di appello ha fatto, dunque, corretta applicazione dei principi enunciati, avendo ritenuto l’assoggettamento ad imposta unica sulle scommesse per l’anno 2012 in via solidale del bookmaker avente sede all’estero e privo di titolo concessorio.
17.Il sesto motivo del ricorso principale è assorbito dalla declaratoria di inammissibilità dell’unico motivo del ricorso successivo (incidentale) come di seguito argomentato al punto n.20.
18.Il settimo motivo del ricorso principale è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 15, comma 2-sexies del d.lgs. n. 546/92«Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto»; la norma citata prevede la liquidazione delle spese a favore dell’ufficio tributario, se assistito da funzionari dell’amministrazione, e, a favore dell’Ente locale, se assistito da propri ccf dipendenti, a cui si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato. Lo specifico riferimento alle spese processuali ed alla riduzione percentuale dei soli onorari di avvocato conferma il diritto dell’Agenzia alla rifusione sia dei costi affrontati, sia dei compensi spettanti per l’assistenza tecnica fornita in giudizio dai propri dipendenti, che sono legittimati a svolgere attività difensiva nel processo, ai sensi dell’art. 15 cit. (v. Cass., sez. 5, n. 23055 del 2019); nella specie, i ricorrenti, in difetto del principio di autosufficienza, non hanno precisato, a fronte di una incontestata assistenza tecnica svolta in favore dell’Agenzia delle dogane dai propri funzionari, quali fossero, avuto riguardo all’importo totale delle spese
liquidato per il grado di appello (euro 6.693,75), le voci relative alle “spese vive” asseritamente non documentate; infatti come affermato da questa Corte “È peraltro onere del ricorrente in cassazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, specificare analiticamente le voci tariffarie e gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, nonché le singole spese contestate o dedotte come omesse, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass. sez. 6-3, Ordinanza n. 24635 del 19/11/2014).
19.Inammissibile è anche il profilo di censura relativo alla assunta mancata compensazione delle spese del grado di appello, avendo la CTR, nel liquidare le spese in favore dell’Agenzia, stante il rigetto dell’appello dei contribuenti, fatto corretta applicazione del generale principio della soccombenza, essendo la compensazione, in tutto o in parte, delle spese, ai sensi dell’art. 15, comma 2, cit., vigente ratione temporis , applicabile soltanto « in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate »; peraltro, « In materia di procedimento civile, il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare » (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26912 del 26/11/2020; Cass. sez. 5, n. 21724 del 2021).
20. Quanto all’ unico motivo del ricorso successivo (incidentale) dell’Agenzia lo stesso si profila inammissibile per difetto di autosufficienza.
21.Nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della
tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Sez. 2 – , Ordinanza n. 28072 del 14/10/2021).
22. Nel caso di specie, l’Agenzia ha riportato nel ricorso successivo (incidentale) lo stralcio di un atto di appello incidentale- peraltro neanche allegato- avverso una sentenza di primo grado diversa ( si legge nell’ incipit dell’atto depositato in giudizio che l’Ufficio, ‘ – appellato ed appellante incidentale -nel giudizio RGA n.519/2019 instaurato a seguito di ricorso notificato a quest’Agenzia per la riforma della Sentenza resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Ancona n. 112/2019, depositata il 14/02/2019 e CONTESTUALMENTE propone appello avverso la medesima sentenza per la parte in cui i giudici di primo grado hanno accolto la parte relativa alle sole sanzioni. ‘ , pag. 10 del ricorso).
23.In conclusione, va rigettato l’appello principale della contribuente e dichiarato inammissibile quello incidentale dell’Agenzia delle Dogane.
24. Stante la reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 28 febbraio 2025