Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5128 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5128 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 16621/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’ avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso (PEC: EMAIL), elettivamente domiciliata presso l’ Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle dogane e dei monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3918/09/2020, depositata il 9.12.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Roma rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in qualità di coobbligato in solido con la società RAGIONE_SOCIALE
Oggetto: Tributi – Imposta unica sulle scommesse
avverso gli avvisi di accertamento per imposta unica sul gioco, relativi agli anni 2009, 2010 e 2011;
con la sentenza in epigrafe indicata, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dalla contribuente, osservando, per quanto qui ancora rileva, che:
la traduzione in lingua inglese degli avvisi di accertamento non era prevista da alcuna norma e la contribuente aveva dimostrato di avere pienamente compreso il contenuto dell’accertamento;
non sussistevano i presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in quanto, da un lato, la disciplina di cui al d.lgs. n. 504 del 1998 era applicabile a tutti gli operatori del settore e, quindi, non era discriminatoria e, dall’altro lato, la stessa Corte di Giustizia UE aveva recentemente stabilito che l’art. 56 TFUE doveva essere interpretato nel senso che ‘non osta ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i Centri di Trasmissione di Dati stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro, indipendentemente dall’ubicazione della sede di tali operatori e dall’assenza di concessione per l’organizzazione delle scommesse “;
il settore dei giochi e delle scommesse rientrava fra quelli non armonizzati, tanto che la stessa Corte di Giustizia UE aveva escluso l’esistenza di un obbligo di mutuo riconoscimento delle autorizzazioni rilasciate in altri Stati membri, per cui questi erano liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo, purchè le restrizioni imposte alle libertà fondamentali fossero proporzionali e giustificate sulla base di motivi imperativi di interesse generale;
non sussistevano neppure i profili di incostituzionalità della normativa interna di settore, prospettati dalla ricorrente, essendo state tutte le questioni già compiutamente affrontate dalla sentenza n. 27 del 2018 della Corte costituzionale;
il motivo di appello riguardante la soggettività passiva del CTD era inammissibile per carenza di interesse, se riferito unicamente alla posizione del CTD, in quanto nel giudizio era presenta unitamente il bookmaker , ed era infondato se esaminato per gli effetti sulla responsabilità solidale d i quest’ultimo, atteso che l’art. 1, comma 66, lett. b) della l. n. 220 del 2010 si riferisce al CTD, la cui soggettività passiva era stata espressamente ritenuta compatibile con il diritto unionale dalla Corte di Giustizia UE e la questione di legittimità costituzionale era stata accolta limitatamente alle annualità antecedenti al 2011 per l’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta in relazione a gli esercizi anteriori a quell’annualità;
la responsabilità solidale del bookmaker estero è espressamente affermata dall’art. 1, comma 66, lett. b) della l. cit. ed era configurabile anche per i periodi antecedenti alla l. n. 220 del 2010;
infondati erano anche i motivi sulla asserita carenza del presupposto territoriale, sulla richiesta di disapplicazione della disciplina interna di cui al d.lgs. n. 504 del 1998, per contrarietà con la Direttiva IVA, sull’assenza degli elementi soggettivi per l’applicazione della sanzione e sulla regolamentazione delle spese;
la Stanleybet impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a nove motivi;
l ‘A DM resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso (indicato come motivo in via pregiudiziale), la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 56 ss. del TFUE e dei principi del diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, 3 del d.lgs. n. 504 del 1998, come interpretato dall’art. 1, commi 64 e 66, della legge di stabilità 2011, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., e chiede il rinvio pregiudiziale ex art. 267, comma 3, TFUE e/o rinvio
interpretativo alla grande sezione ex artt. 104, comma 3, 158 del reg. proc. della Corte di Giustizia e 16 dello statuto della Corte di Giustizia, per l’interpretazione degli artt. 56, 57 e 52 TFUE, anche a seguito della sentenza della Corte di Giustizia del 26 febbraio 2020 sui quesiti di cui alle pagine 57, 58 e 59 del ricorso per cassazione («1) se la sentenza della Corte di Giustizia Stanleyparma e Stanleybet Malta (26.02.2020, Causa C-788/18) debba essere interpretata nel senso che il diritto dell’Unione di cui agli artt. 56, 57 e 52 del TFUE, come interpretato nelle sentenze COGNOME (causa C 243/01), COGNOME (Causa C 338/04), COGNOME (cause riunite C-72/10 e C 77/10) e COGNOME (causa C375/14), e i principi di diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, osta a una normativa nazionale, del tipo di quella contenuta negli artt. 1-3 del D.Lgs. 23.12.1998 n. 504, come modificati dall’art. 1 co. 64 e 66 lett. b), della Legge di Stabilità 2011, nel caso in cui tale normativa, sia pure formalmente indistintamente applicabile, abbia per effetto di vietare, ostacolare o rendere meno attraente soltanto l’attività dei CTD collegati a un bookmaker di un altro Stato membro, in particolare avente le caratteristiche, la storia e la giurisprudenza dell’Unione della società Stanleybet Malta; 2) se la sentenza della Corte di Giustizia Stanleyparma e Stanleybet Malta (26.02.2020, Causa C-788/18) debba essere interpretata nel senso che il diritto dell’Unione di cui agli artt. 56, 57 e 52 del TFUE, come interpretato nelle sentenze COGNOME (causa C 243/01), COGNOME (Causa C 338/04), COGNOME (cause riunite C-72/10 e C 77/10) e COGNOME (causa C375/14), e i principi di diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, osta a una normativa nazionale, del tipo di quella contenuta negli artt. 1-3 del D.Lgs. 23.12.1998 n. 504, come modificati dall’art. 1 co. 64 e 66 lett. b), della Legge di Stabilità 2011, nel caso in cui tale normativa, sia pure formalmente indistintamente applicabile, non riconosce che i CTD affiliati a un bookmaker di un altro Stato membro, come ad esempio Stanley, esercitano l’attività allo stesso titolo delle ricevitorie dei concessionari nazionali, oppure nel senso di non riconoscere che tali CTD si trovano in una situazione diversa da quella dei concessionari
nazionali; 3) se la sentenza della Corte di Giustizia Stanleyparma e Stanleybet Malta (26.02.2020, Causa C-788/18) debba essere interpretata nel senso che il diritto dell’Unione di cui agli artt. 56, 57 e 52 del TFUE, come interpretato nelle sentenze COGNOME (causa C 243/01), COGNOME (Causa C 338/04), COGNOME (cause riunite C-72/10 e C 77/10) e COGNOME (causa C375/14), e i principi di diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, osta a una normativa nazionale, del tipo di quella contenuta negli artt. 1-3 del D.Lgs. 23.12.1998 n. 504, come modificati dall’art. 1 co. 64 e 66 lett. b), della Legge di Stabilità 2011, nel caso in cui tale normativa, sia pure formalmente indistintamente applicabile, debba essere interpretata nel senso di ritenere legittima, e compatibile con il diritto dell’Unione, una normativa nazionale che vieta l’attività di prestazione di servizi di un bookmaker comunitario e dei suoi CTD, pur essendo stato reso loro impossibile acquisire i prescritti titoli abilitanti (concessioni e autorizzazioni), come riconosciuto dalle sentenze COGNOME (06.11.2003, Causa C-243/01), RAGIONE_SOCIALE e altri (06.03.2007, Cause Riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04), Costa e Cifone (16.02.2012, Cause Riunite C-72/10 e C-77/10), e Laezza (28.01.2016, Causa C-375/14), e che, al tempo stesso, richiede il pagamento da parte loro dell’Imposta Unica sulle Scommesse di cui al D.Lgs. 504/1998 nelle circostanze della causa principale; 4) se la sentenza della Corte di Giustizia Stanleyparma e Stanleybet Malta (26.02.2020, Causa C-788/18) debba essere interpretata nel senso che il diritto dell’Unione di cui agli artt. 56, 57 e 52 del TFUE, come interpretato nelle sentenze COGNOME (causa C 243/01), Placanica (Causa C 338/04), COGNOME (cause riunite C-72/10 e C 77/10) e COGNOME (causa C375/14), e i principi di diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, osta a una normativa nazionale, del tipo di quella contenuta negli artt. 1-3 del D.Lgs. 23.12.1998 n. 504, come modificati dall’art. 1 co. 64 e 66 lett. b), della Legge di Stabilità 2011, nel caso in cui tale normativa, sia pure formalmente indistintamente applicabile, debba essere interpretata nel senso che i suoi effetti si producono solamente a partire dal momento della sua pubblicazione, sia perché la sua applicazione in via retroattiva produrrebbe gravi ripercussioni economiche su un numero
elevato di CTD, sia perché il mancato pagamento dell’Imposta unica da parte di questi ultimi è da ascriversi ad una obiettiva e rilevante incertezza sulla portata del diritto dell’Unione’ );
con il secondo motivo (indicato nel ricorso come motivo in via preliminare), deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato l’illegittimità degli avvisi di accertamento, emessi nei confronti della Stanleybet, per la mancata traduzione degli stessi nella lingua inglese;
con il terzo motivo (indicato nel ricorso come primo motivo), deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 5 04 del 1998, come interpretato dall’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220 del 2010 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2018, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in merito al presupposto soggettivo dell’imposta;
con il quarto motivo (indicato nel ricorso come secondo motivo), deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 5 04 del 1998, come interpretato dall’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220 del 2010 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2018, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., sempre in merito al presupposto soggettivo dell’imposta;
con il quinto motivo (indicato nel ricorso come terzo motivo), deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, lett. b), della l. n. 288 del 1998 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in merito al presupposto territoriale dell’imposta;
con il sesto motivo (indicato nel ricorso come quarto motivo), deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE e dei principi del diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, nonché del principio di legittimo affidamento con
riferimento all’art. 1, comma 66, della legge di stabilità 2011 e dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR disapplicato la normativa sulla soggettività passiva dell’imposta unica nonostante la sua manifesta incompatibilità con il diritto comunitario; sollecita, a tal fine, un nuovo rinvio alla CGUE ai sensi dell’art. 267, comma 3, del TFUE e/o un rinvio interpretativo alla Grande Sezione ai sensi degli artt. 104, comma 2, 158 del Reg. Proc. della Corte di Giustizia e 16 dello Statuto della Corte di Giustizia, per l’interpretazione degli artt. 56, 57 e 52 del TFUE, alla luce delle sentenze COGNOME (causa C.243/01), Placanica (Causa C 338/04), COGNOME (cause riunite C-72/10 e C 77/10) e COGNOME (causa C375/14), e in materia di discriminazione fiscale, di cui, in particolare alla sentenza COGNOME (causa C-42/02), Commissione c. Spagna (causa C-153/08) e COGNOME e COGNOME (cause riunite C344/13 e C 367/13) ed i principi di diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, in relazione ad una normativa nazionale del tipo di quella italiana in causa, che prevede l’assoggettamento all’imposta unica sulle scommesse di cui all’art. 1 -3 del D.lgs. 23.12.1998 n. 504, come modificato dall’art. 1 co. 66 lett. b) della Legge di Stabilità 2011;
con il settimo motivo (indicato nel ricorso come quinto motivo), deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 401 della direttiva 2006/112/CE, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in ragione della contrarietà della normativa sull’imposta unica sulle scommesse al divieto di mantenere o introdurre imposte sul volume d’affari diverse dall’imposta sul valore aggiunto; sollecita, in via subordinata, un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sulla questione dell’applicabilità del diritto interno;
il primo, il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo, che vanno esaminati unitariamente, per connessione, sono infondati;
– come è stato già precisato da questa Corte, il quadro normativo di riferimento (art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998; art. 3 del decreto legislativo n. 504/88; art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010; art. 16 del D.M. 1 marzo 2006 n. 111; art. 1, comma 644, lett. g), della legge n. 190 del 2014) è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia dell’UE, che ne hanno compiutamente esaminato la compatibilità, rispettivamente, con la Costituzione e con il diritto unionale (cfr. Cass., 31 marzo 2021, nn. 8907-8911; Cass., 1 aprile 2021, nn. 9079-9081; Cass., 2 aprile 2021, nn. 9144-9153; Cass., 2 aprile 2021, n. 9160; Cass., 2 aprile 2021, n. 9176; Cass., 2 aprile 2021, n. 9184, Cass., 12 aprile 2021, nn. 9528 e 9537 e, più di recente, Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761);
– in particolare, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2018, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio), riconoscendo che l’art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010 ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e che le ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione sono obbligate al versamento del tributo e delle relative sanzioni; a questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del «gestore per conto terzi» (ossia del titolare di ricevitoria) al «gestore per conto proprio» (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, secondo la Corte costituzionale, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di
«organizzazione ed esercizio» delle scommesse soggette a imposizione;
il giudice delle leggi ha rimarcato che il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker, sicché l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale;
la Corte costituzionale ha poi aggiunto che la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione non viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato: ciò perché attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. La rivalsa svolge, quindi, funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione;
sulla base delle suddette considerazioni, la Corte costituzionale, nella richiamata pronuncia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In relazione a quel periodo, infatti, non si può procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla l. n. 220 del 2010;
– il giudice delle leggi ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011, non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker , con o senza concessione in base alla combinazione dell’art. 3 decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. a), della legge n. 220 del 2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale;
-a diversa conclusione, si perviene per le annualità dal 2011 in poi e con riferimento alla posizione del ricevitore, dovendosi osservare che la incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte « in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011 » con conseguente violazione dell’art. 53, Cost., « giacchè l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010 ». A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti, in data
antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker . La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i «rapporti successivi al 2011», quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, proprio in considerazione della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della legge n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto (Cass. 8 febbraio 2023, n. 1184, in motivazione);
la Corte costituzionale ha, dunque concluso affermando che i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, comunque concorrono, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo;
con specifico riferimento, poi, al presupposto territoriale del tributo, oggetto del quinto motivo (indicato nel ricorso come terzo motivo), questa Corte ha già precisato, con le pronunce citate, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa, poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi, consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta, attività, queste, tutte svolte in Italia ( ex multis , Cass. 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione);
la CTR si è attenuta ai richiamati principi, affermando che le norme che disciplinano l’applicazione dell’imposta unica sulle scommesse non si applicavano alla sola ricevitoria (che comunque non era parte nel presente giudizio), limitatamente agli anni d’imposta anteriori al 2011, fermo restando che il presupposto di imposta è riferibile sia al bookmaker che al CTD, con la conseguenza che entrambi i soggetti sono tenuti all’adempimento dell’obbligazione impositiva in via solidale paritetica, avendo la Corte Costituzionale, diversamente da quanto affermato dalla società ricorrente, chiaramente riferito il presupposto oggettivo dell’imposta ad entrambi, con la conseguenza che entrambi i soggetti sono tenuti a rispondere solidalmente dell’obbligazione tributaria;
ciò premesso, per quanto riguarda la richiesta di rinvio pregiudiziale (e di sospensione del giudizio) avanzata sul punto dalla ricorrente, occorre considerare che la Corte di Giustizia ha deciso, con la sentenza del 26 febbraio 2020, causa C-788/18, la questione avente per oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dalla CTP di Parma, nel procedimento RAGIONE_SOCIALE contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
– la Corte di Giustizia ha stabilito con la suindicata decisione che « L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i Centri di Trasmissione di Dati stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro, indipendentemente dall’ubicazione della sede di tali operatori e dall’assenza di concessione per l’organizzazione delle scommesse »; -nel rispondere al primo e al secondo quesito (« se l’articolo 56 TFUE osti ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i CTD stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro» ), i giudici unionali hanno premesso che la libera prestazione dei servizi, di cui all’articolo 56 TFUE, esigeva non soltanto l’eliminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di qualsiasi discriminazione fondata sulla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione quando era idonea a vietare, a ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi (sentenza del 22 ottobre 2014, COGNOME e COGNOME, C -344/13 e C -367/13, EU:C:2014:2311, punto 26); la Corte aveva approvato nel settore dei giochi d’azzardo il ricorso al sistema delle concessioni, ritenendo che quest’ultimo potesse costituire un meccanismo efficace che consentisse di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti (sentenza del 19 dicembre 2018, Stanley International
RAGIONE_SOCIALE e Stanleybet Malta, C -375/17, EU:C:2018:1026, punto 66); per determinare se sussisteva una discriminazione, occorreva verificare che situazioni analoghe non fossero trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non fossero trattate in maniera uguale, a meno che una differenziazione non fosse oggettivamente giustificata (sentenza del 6 giugno 2019, P.M. e a., C -264/18, EU:C:2019:472, punto 28);
con specifico riferimento alla vicenda in esame, la Corte di Giustizia ha affermato che:
-) come risultava dagli atti di causa, l’imposta unica era relativa all’attività di raccolta di scommesse in Italia. Ai sensi dell’articolo 1, comma 66, lettere a) e b), della legge di stabilità 2011, soggetti passivi di tale imposta erano tutti gli operatori che gestivano sistemi di scommesse, indipendentemente dal fatto che operassero per proprio conto o per conto di terzi, dalla circostanza che fossero o meno titolari di una concessione o dal luogo in cui si trovava la loro sede, anche all’estero;
-) alla luce di tali elementi forniti dal giudice del rinvio, risultava che l’imposta unica si applicava a tutti gli operatori che gestivano scommesse raccolte sul territorio italiano, senza operare alcuna distinzione in funzione del luogo di stabilimento di tali operatori, cosicché l’applicazione di tale imposta alla Stanleybet Malta non poteva essere considerata discriminatoria;
-) occorre rilevare, infatti, che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevedeva un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi fosse effettuata in Italia o in altri Stati membri;
-) inoltre, per quanto riguardava l’argomento della Stanleybet Malta secondo cui, in base alla normativa italiana oggetto del procedimento principale, essa era soggetta a doppia imposizione, a Malta e in Italia,
andava rilevato che, allo stato attuale dello sviluppo del diritto dell’Unione, gli Stati membri godevano, fatto salvo il rispetto di tale diritto, di una certa autonomia in materia e che, pertanto, essi non avevano l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine, in particolare, di eliminare la doppia imposizione che risultava dal parallelo esercizio da parte di detti Stati membri della loro competenza fiscale (vedi, per analogia, sentenza del 1o dicembre 2011, Commissione/Ungheria, C -253/09, EU:C:2011:795, punto 83);
-) ne conseguiva che, rispetto a un operatore nazionale che svolgeva le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la RAGIONE_SOCIALE non subiva alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattavasi nel procedimento principale. Inoltre, detta normativa non appariva atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la RAGIONE_SOCIALE, nello Stato membro interessato;
-) per quanto riguarda la RAGIONE_SOCIALE, essa esercitava, in qualità di intermediario della RAGIONE_SOCIALE e in cambio di una remunerazione, un’attività di offerta e di raccolta di scommesse. Tale società esercitava in particolare, allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali, un’attività di gestione di scommesse, la quale costituiva una condizione necessaria ai fini dell’assoggettamento all’imposta unica. Per tale ragione, in forza dell’articolo 1, comma 66, lettera b), della legge di stabilità 2011, la Stanleyparma era soggetta, in solido con la Stanleybet Malta, al pagamento di tale imposta;
-) inoltre, dall’articolo 16 del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 1o marzo 2006, n. 111, emergeva che gli operatori titolari di una concessione per l’organizzazione delle scommesse in Italia assolvevano anch’essi l’imposta unica. Secondo il giudice del
rinvio, i loro CTD tuttavia, al contrario della RAGIONE_SOCIALE, non erano soggetti al pagamento in solido di tale imposta;
-) a tal proposito, occorreva nondimeno constatare che, a differenza dei CTD che trasmettevono i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali, la RAGIONE_SOCIALE raccoglieva scommesse per conto della Stanleybet Malta, che aveva sede in un altro Stato membro. Essa non si trovava, quindi, alla luce degli obiettivi della legge di stabilità 2011, in una situazione analoga a quella degli operatori nazionali;
-) di conseguenza, la normativa nazionale di cui trattavasi nel procedimento principale non comportava alcuna restrizione discriminatoria nei confronti della Stanleybet Malta e della Stanleyparma e non pregiudicava, per quanto le riguardava, la libera prestazione dei servizi.
la Corte di Giustizia ha, dunque, escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, di modo che la normativa italiana « non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la RAGIONE_SOCIALE, nello Stato membro interessato »; ha affermato che, secondo costante giurisprudenza unionale, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi e che, di conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di
valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità; ha ritenuto che il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nel comma 64 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, i propri obiettivi, tra i quali si colloca «… l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore », in quanto la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale; ha stabilito, in relazione al bookmaker, che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro e ha specificato, in concreto, che «…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri»; sicché, ha concluso che «… rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la RAGIONE_SOCIALE non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale »; in ultimo, quanto al centro trasmissione dati, ha ribadito che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse « allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali » ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde
dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220/10, ma ciò non toglie che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali sia diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro; la diversità della situazione, pertanto, è in re ipsa per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero; nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce «… un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti » (Cass., 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione);
– alla luce di quanto sopra esposto, in relazione alle intervenute pronunce della Corte di giustizia e della Corte costituzionale, considerati anche i precedenti di questa Corte in relazione a controversie aventi il medesimo contenuto ( cfr. Cass., 31 marzo 2021, nn. 8907-8911; Cass., 1 aprile 2021, nn. 9079-9081; Cass., 2 aprile 2021, nn. 9144-9153; Cass., 2 aprile 2021, n. 9160; Cass., 2 aprile 2021, n. 9176; Cass., 2 aprile 2021, n. 9184, Cass., 12 aprile 2021, nn. 9528 e 9537 e, più di recente, Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761 ), non sussistono i presupposti nè per una disapplicazione della disciplina nazionale nè per un ulteriore rinvio pregiudiziale ex art. 267, secondo comma, TFUE, alla Corte di Giustizia o per un rinvio interpretativo alla Grande Sezione ex art. 104, secondo comma, del Reg. Proc. della Corte di Giustizia, come invece sollecitato dalla società ricorrente nel ricorso per cassazione (cfr. Cass., 16 giugno 2017, n. 15041; Cass., Sez. U., 10 settembre 2013, n. 20701);
– peraltro, come già rilevato, sulle tematiche sottese alle prime tre questioni prospettate dalla società ricorrente si è già pronunciata la Corte di Giustizia (sentenza 26 febbraio 2020, in causa C-788/18), escludendo qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, di modo che la normativa italiana « non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società… nello Stato membro interessato », mentre con riferimento alla questione posta con il quarto quesito rileva la sentenza della Corte Costituzionale n. 27 del 2018, per quanto sopra ampiamente rilevato; – anche il secondo motivo (indicato come secondo motivo in via preliminare) è infondato;
-sul punto va evidenziato come nessuna specifica previsione normativa dispone che l’atto impositivo debba essere redatto nella lingua del soggetto destinatario, dovendosi invero presumere che lo stesso, in quanto soggetto passivo nel territorio nazionale, sia in grado di comprendere il contenuto dell’atto; la questione, dunque, si sposta sul piano probatorio, essendo onere del contribuente provare di non essere stato nelle condizioni di avere potuto avere conoscenza del contenuto dell’atto, il che postula che lo stesso versi in condizioni tali, nonostante il comportamento dallo stesso esigibile, da non potere in alcun modo avere potuto ovviare alla circostanza che l’atto impositivo non era stato tradotto nella propria lingua di origine, profilo in alcun modo coltivato dalla ricorrente, che si è limitata ad una contestazione generica sul punto;
– va, altresì, precisato che identica questione è già stata esaminata da questa Corte che ha escluso che la mancata traduzione nella lingua del destinatario possa comportare una lesione del diritto di
difesa della società ricorrente, in quanto la stessa, anche se soggetto non residente privo di stabile organizzazione in Italia, ha dimostrato, avendo in concreto fatto valere nei gradi del merito le proprie ed articolate difese contestando la pretesa tributaria azionata con l’atto impugnato, di avere avuto piena conoscenza del contenuto dell’atto impositivo ad essa notificato (Cass., 19 gennaio 2021, n. 9144; Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761);
il settimo motivo (indicato come quarto motivo nel merito) è pure infondato;
-come è stato già più volte chiarito da questa Corte (Cass. 25.09.2023, n. 27260; Cass. 21.9.2021, n. 25450; Cass. 14.7.2021, n. 2013), il tributo che qui rileva è differente da una imposta sulla cifra di affari per plurime ragioni: riguarda unicamente operazioni relative all’esercizio delle scommesse, irrilevanti a fini IVA; non tiene conto del valore aggiunto di ciascuna, difettando nel sistema il meccanismo della detrazione IVA e applicandosi il tributo all’importo scommesso; è calcolato senza alcun riconoscimento di deduzione degli acquisti di beni e servizi inerenti effettuati nel periodo in cui sono poste in essere le operazioni di scommessa;
anche secondo i giudici unionali (CGUE, sent. n. 24 ottobre 2013 in causa n. C-440/2012, RAGIONE_SOCIALE Spielstàtten Unternehmergesellschaft (haftungsbeschrànkt ), peraltro, “in forza dell’articolo 401 della direttiva IVA «le disposizioni di direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte (…) sui giochi e sulle scommesse, (…) e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari (…)». La formulazione di tale articolo non osta, pertanto, a che gli Stati membri assoggettino un’operazione all’IVA, nonché, in modo cumulativo, a un tributo speciale non avente il carattere d’imposta sul
volume d’affari (v., in tal senso, la sentenza dell’8 luglio 1986, Kerrutt, 73/85, Racc. pag. 2219, punto 22)’ ;
secondo la richiamata pronuncia, quindi, l’art. 401 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con l’art. 135, paragrafo 1, lettera i) della stessa, deve essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e un tributo speciale nazionale sui giochi d’azzardo possono essere riscossi in modo cumulativo, a condizione che siffatto ultimo tributo non abbia il carattere di un’imposta sul volume d’affari; inoltre, sempre secondo tale sentenza, l’art. 1, paragrafo 2, prima frase, e l’art. 73 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una disposizione o a una prassi nazionale secondo cui, per la gestione di apparecchi per giochi d’azzardo con possibilità di vincita, l’importo dei proventi di cassa di tali apparecchi, dopo che è trascorso un determinato periodo di tempo, viene considerato come base imponibile;
le richiamate considerazioni consentono di disattendere anche alla richiesta di rinvio pregiudiziale, avanzata sul punto dalla ricorrente in via subordinata;
-con l’ottavo motivo (indicato nel ricorso come sesto motivo), deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, 5, comma 1, e 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, nonché dell’art. 10, comma 4, della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR ritenuto applicabile l’esimente riguardante le obiettive condizioni di incertezza sulla portata delle disposizioni relative alle sanzioni irrogate dall’ADM;
il motivo è in parte fondato nei termini di seguito indicati;
secondo la giurisprudenza di questa Corte « l’incertezza normativa oggettiva tributaria è caratterizzata dall’impossibilità d’individuare con
sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall’amministrazione), come emerge dal d.lgs. n. 472 del 1997, art. 6, che distingue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effetti. Peraltro, il fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva può essere desunto dal giudice attraverso la rilevazione di una serie di “fatti indice”, quali ad esempio: 1) la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente» (Cass. 17 maggio 2017, n. 12301; Cass. 13 giugno 2018, n. 15452; Cass. 9 dicembre 2019, n. 32082);
-proprio con riferimento al caso di specie, questa Corte, in applicazione dei principi suesposti, ha affermato che « In tema di sanzioni amministrative, fino alla data di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, la quale ha interpretato l’art. 3, d.lgs. n. 504 del 1998 prevedendo che soggetto passivo dell’imposta unica sulle scommesse
è anche chi svolge l’attività di gestione delle stesse pur se privo di concessione, esisteva una condizione di obiettiva incertezza normativa, rilevante ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione (Cass. 12 aprile 2021, n. 9531);
– più in particolare, questa Corte, con motivazione che si condivide, ha affermato che « La sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 23 gennaio 2018, nel ricostruire l’ambito applicativo dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1988, come interpretato autenticamente dall’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, ha bensì affermato che, anche alla luce della disciplina previgente, soggetto passivo dell’imposta è anche chi svolge l’attività di gestione delle scommesse anche se privo di concessione, con conseguente responsabilità del bookmaker estero che, mediante un proprio intermediario, svolga l’attività di gestione delle scommesse pur se privo di concessione. La stessa sentenza ha tuttavia anche evidenziato che ‘il tenore letterale della disposizione consentiva anche una diversa interpretazione, nel senso che, attraverso il richiamo contenuto nell’art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1998 al rispetto della concessione e della licenza di pubblica sicurezza, essa contemplasse i soli soggetti operanti nel sistema concessorio (ad esclusione perciò dei bookmaker con sede all’estero, sforniti di titolo concessorio in Italia, e della rete delle ricevitorie di cui essi si avvalgono nel territorio italiano)’ (punto 4.1.), dando poi atto del fatto che ‘con la disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220 del 2010, il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di senso della disposizione interpretata’ e che la stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato aveva espressamente riconosciuto che la normativa in esame si prestava alla considerazione di incertezza applicativa (punto 4.1.). In sostanza,
la Corte costituzionale ha riconosciuto che la previsione contenuta nell’art. 3, d.lgs. n. 504/1998, si prestava ad un duplice opzione interpretativa in ordine alla sussistenza o meno della individuazione della soggettività passiva del bookmaker estero che, mediante una ricevitoria operante nel territorio nazionale, avesse svolta l’attività di gestione delle scommesse senza concessione e che la disposizione interpretativa del 2010 è intervenuta al fine di esplicitare il contenuto della incerta previsione, orientando la scelta interpretativa nel senso della sussistenza della soggettività passiva. La fattispecie, dunque, deve essere collocata nell’ambito della previsione di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, sussistendo, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione. Infine, non si ravvisa la necessità alcuna di promuovere un nuovo rinvio dinanzi alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte, esaustiva e completa, risolvendosi le deduzioni in una mera critica della sentenza resa nella causa C788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembra postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati, mentre la stessa Corte, ‘pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale’ (Corte giust., in causa C -375/17, cit., punto 67). Ed in
questo senso deve poi ritenersi irrilevante la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. 25439/2020) che si riferisce alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, esclusa, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni. Il fatto che quel bookmaker non risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o discommessa, previsto e punito dall’art. 4, commi 1 e 4-bis, della l. 13 dicembre 1989, n. 401 nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che l’art. 3 del d.lgs. n. 504/98 riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse » (Cass. 21 settembre 2021, n. 25450, in motivazione);
– anche con riferimento alle società estere sussiste, dunque, per quanto riguarda le sanzioni, l’esimente di cui all’art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 472 del 1997, limitatamente agli anni antecedenti al 2011 (e, quindi, nella specie, per quanto riguarda le sanzioni irrogate con riferimento agli anni 2009 e 2010), sussistendo, come già detto, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010;
con il nono motivo (indicato nel ricorso come settimo motivo), deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 12, 15 del d.lgs. n. 546 del 1992, 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per aver la CTR confermato, con riguardo al primo grado di giudizio, la liquidazione delle spese in
favore dell’ADM, rappresentata in giudizio da un proprio funzionario delegato e, in subordine, per non aver disposto la compensazione delle spese.
il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
è infondato con riferimento alla doglianza relativa alla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado in favore della controparte, ancorché costituitesi soltanto a mezzo funzionari delegati;
come ha chiarito questa Corte, in tema di contenzioso tributario, all’Amministrazione finanziaria (nella specie, l’Agenzia delle Dogane) assistita in giudizio dai propri funzionari, in caso di vittoria nella lite, spetta, ai sensi dell’art. 15, comma 2 bis, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la liquidazione delle spese, che va effettuata applicandosi la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionali medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella del difensore abilitato (Cass. n. 24675 del 23/11/2011; Cass. n. 23055 del 17/09/2019; Cass. n. 27634 del 11/10/2021);
è stato poi precisato (Cass. n. 20590 del 2021) che il tema della condanna alle spese è stata, nel tempo, specificamente affrontato con vari interventi legislativi; il decreto-legge 8 agosto 1996 n. 437 coordinato con la legge di conversione 24 ottobre 1996 n. 556 prevedeva all’art. 12. (Modifiche alla disciplina sul processo tributario) comma 1 lett. b) quanto segue: «Nella liquidazione delle spese a favore dell’ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari dell’amministrazione, e a favore dell’ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi
previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza»; con successiva modifica, a far data dal 1.1.2013, in forza della legge 24 dicembre 2012, n. 228, all’art. 1 comma 32, la disposizione veniva così precisata: «Nell’articolo 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, al comma 2-bis le parole: «si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti» sono sostituite dalle seguenti: «si applica il decreto previsto dall’articolo 9, comma 2, del decretolegge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto»;
infine, con la disposizione attualmente vigente, di cui al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, con decorrenza dall’ 1/01/2016, all’art. 9 comma 1 lett. f) n. 2-sexies, si prevede che «nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza»;
-è inammissibile, invece, la censura relativa alla violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., per non avere il giudice di appello derogato al principio della soccombenza, disponendo anche per il giudizio di primo grado la compensazione delle spese di lite;
occorre ribadire, invero, il principio secondo il quale, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è
tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. n. 18299/2022; n. 11329 del 26/04/2019; Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005);
in conclusione, va accolto parzialmente l’ottavo motivo (indicato nel ricorso come sesto motivo), nei termini di cui in motivazione, e vanno rigettati i restanti motivi;
la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito deve essere accolto il ricorso introduttivo della lite, limitatamente alla parte relativa all’irrogazione delle sanzioni nei confronti dei bookmaker esteri per gli anni antecedenti all’entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010;
il percorso evolutivo della giurisprudenza nella materia trattata, sia in ambito nazionale, che in quello unionale, e il parziale accoglimento del ricorso giustificano la compensazione delle spese processuali dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie in parte l’ottavo motivo di ricorso (indicato nel ricorso come sesto motivo), nei termini di cui in motivazione, e rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della lite limitatamente alle sanzioni come indicato nella motivazione.
Compensa fra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 3 dicembre 2024