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Imposta unica scommesse: la Cassazione conferma

Con l’ordinanza n. 12929/2024, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società di scommesse estera, confermando la sua responsabilità solidale per il pagamento dell’imposta unica scommesse. La Corte ha stabilito che l’attività di raccolta scommesse sul territorio italiano, anche tramite centri di trasmissione dati (CTD) privi di concessione, costituisce presupposto sufficiente per l’applicazione del tributo. È stata inoltre confermata la piena compatibilità della normativa nazionale con il diritto dell’Unione Europea, escludendo qualsiasi profilo di discriminazione nei confronti degli operatori stranieri.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Unica Scommesse: La Cassazione fa il punto sulla responsabilità dei Bookmaker Esteri

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 12929 del 2024, ha fornito chiarimenti cruciali in materia di imposta unica scommesse, consolidando l’orientamento sulla responsabilità fiscale degli operatori esteri che raccolgono gioco in Italia tramite reti di intermediari. La decisione conferma che operare senza una concessione nazionale non esonera dal pagamento del tributo, delineando un quadro normativo stabile e in linea con i principi europei.

I fatti del caso

La controversia nasce dal ricorso presentato da una società di scommesse con sede a Malta contro un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. L’Agenzia contestava il mancato versamento dell’imposta unica per l’anno 2010, ritenendo la società estera (il bookmaker) solidalmente responsabile con un centro di trasmissione dati (CTD) che operava in Italia per suo conto, pur essendo privo di concessione statale.

La società ricorrente ha sollevato diverse obiezioni, tra cui la violazione del diritto dell’Unione Europea per presunta discriminazione, la non applicabilità del tributo in assenza di una stabile organizzazione in Italia e l’illegittimità della pretesa fiscale basata su una normativa ritenuta non conforme ai principi di libera prestazione dei servizi.

L’imposta unica scommesse e la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria. La decisione si fonda su un’analisi approfondita della normativa nazionale e della sua coerenza con il diritto unionale, come interpretato dalla Corte di Giustizia Europea e dalla Corte Costituzionale italiana.

La responsabilità solidale del bookmaker estero

Il punto centrale della pronuncia riguarda il presupposto soggettivo dell’imposta. Secondo la Cassazione, è soggetto passivo chiunque, anche in assenza di concessione, ‘gestisce’ concorsi pronostici o scommesse. Questa attività di gestione non è limitata al solo bookmaker che fissa le quote e si assume il rischio, ma si estende anche al CTD che materialmente raccoglie le giocate sul territorio nazionale. La legge (in particolare l’art. 1, comma 66, della L. 220/2010) stabilisce chiaramente che, se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale si opera (il bookmaker) è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta. Pertanto, la presenza fisica del CTD in Italia è sufficiente a radicare la pretesa fiscale sia nei suoi confronti sia nei confronti del bookmaker estero.

Piena compatibilità con il Diritto dell’Unione Europea

La Corte ha respinto con forza la tesi della discriminazione. Citando la giurisprudenza della Corte di Giustizia (in particolare la causa C-788/18), i giudici hanno ribadito che l’imposta unica scommesse si applica a tutti gli operatori che raccolgono gioco sul territorio italiano, senza alcuna distinzione basata sulla loro sede legale. La normativa, quindi, non ostacola né rende meno attraente l’attività degli operatori esteri, ma li pone sullo stesso piano di quelli nazionali. L’obiettivo è garantire l’effettività del principio di lealtà fiscale e prevenire l’elusione da parte di chi opera al di fuori del sistema concessorio.

L’imposta unica non è una tassa sul volume d’affari

Un altro motivo di ricorso riguardava la presunta violazione della direttiva IVA, che vieta agli Stati membri di introdurre imposte sul volume d’affari diverse dall’IVA. Anche su questo punto, la Cassazione ha fatto riferimento alla giurisprudenza europea (causa C-440/12), la quale ha chiarito che i tributi speciali sui giochi e sulle scommesse non hanno il carattere di un’imposta generale sul volume d’affari e possono quindi coesistere con l’IVA.

Le motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si basano su un’interpretazione sistematica delle norme che regolano il settore del gioco. I giudici hanno sottolineato che il presupposto dell’imposizione non è la ‘giocata’ in sé, ma la ‘prestazione di un servizio di gioco’ offerto al consumatore. Entrambi i soggetti, bookmaker e CTD, partecipano a diversi livelli all’organizzazione e all’esercizio di tale servizio. Il CTD gestisce la raccolta, l’incasso e il pagamento delle vincite, mentre il bookmaker definisce le condizioni e assume il rischio d’impresa. Questa cooperazione funzionale giustifica la solidarietà nel debito d’imposta.

La Corte ha inoltre chiarito la portata della sentenza della Corte Costituzionale n. 27/2018. Tale pronuncia aveva dichiarato l’illegittimità della norma interpretativa (L. 220/2010) solo nella parte in cui rendeva retroattivamente responsabili i CTD per le annualità precedenti al 2011, poiché questi non avevano potuto rinegoziare le loro commissioni con i bookmaker. Tuttavia, quella stessa sentenza non ha mai messo in discussione la responsabilità del bookmaker estero, che era e rimane soggetto passivo dell’imposta anche per gli anni antecedenti.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione consolida un principio fondamentale: l’obbligazione tributaria relativa all’imposta unica scommesse sorge nel luogo in cui il servizio di gioco viene offerto e consumato, ovvero in Italia. Gli operatori esteri che scelgono di penetrare il mercato italiano attraverso reti di intermediari non possono sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dalla legge nazionale. La decisione riafferma la legittimità del sistema italiano, volto a tutelare l’erario, i consumatori e l’ordine pubblico, garantendo al contempo parità di trattamento tra tutti gli operatori del settore, indipendentemente dalla loro nazionalità o dal possesso di una concessione.

Un bookmaker estero senza concessione in Italia è tenuto a pagare l’imposta unica scommesse?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che chiunque gestisca scommesse sul territorio italiano, anche tramite un intermediario (CTD) privo di concessione, è soggetto passivo dell’imposta. Il bookmaker estero è considerato coobbligato solidale con il centro di raccolta.

L’imposta unica scommesse è contraria al diritto dell’Unione Europea perché discrimina gli operatori esteri?
No. Secondo la Corte, supportata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, la normativa non è discriminatoria. L’imposta si applica a tutti gli operatori che raccolgono scommesse in Italia, indipendentemente dal luogo in cui hanno sede, garantendo parità di trattamento.

Il centro di trasmissione dati (CTD) che raccoglie le scommesse è anch’esso responsabile per il pagamento dell’imposta?
Sì. Il CTD è considerato un soggetto che ‘gestisce’ l’attività di scommesse e quindi è soggetto passivo d’imposta. La legge prevede una responsabilità solidale tra il CTD e il bookmaker estero per conto del quale opera, il che significa che l’Agenzia delle Entrate può richiedere il pagamento dell’intero importo a entrambi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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