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Imposta unica scommesse: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9046/2024, ha rigettato il ricorso di una società di scommesse estera, confermando la sua soggettività passiva ai fini dell’imposta unica sulle scommesse per le giocate raccolte in Italia tramite un centro trasmissione dati (CTD). La Corte ha stabilito che la normativa italiana non viola i principi dell’Unione Europea, in quanto la tassa si applica a tutti gli operatori che raccolgono scommesse sul territorio nazionale, senza discriminazioni basate sulla sede legale. Viene quindi confermata la piena responsabilità fiscale del bookmaker estero, anche per periodi d’imposta precedenti alle norme di interpretazione autentica.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Unica Scommesse: La Cassazione Conferma la Tassazione dei Bookmaker Esteri

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale nel settore del gioco: anche i bookmaker con sede all’estero, che operano in Italia tramite intermediari come i Centri di Trasmissione Dati (CTD) e senza una concessione statale, sono pienamente soggetti al pagamento dell’imposta unica sulle scommesse. Questa decisione chiarisce definitivamente la responsabilità fiscale degli operatori stranieri, confermando la legittimità della normativa nazionale rispetto ai principi dell’Unione Europea.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a una società di scommesse con sede a Malta. L’Agenzia riteneva la società estera coobbligata in solido con il titolare di un CTD italiano per il versamento dell’imposta unica relativa alle scommesse raccolte nell’anno 2009. La società ha impugnato l’atto, sostenendo che la pretesa fiscale violasse il principio europeo della libera prestazione di servizi e che, in ogni caso, la sua responsabilità non potesse essere affermata per un periodo d’imposta antecedente a specifiche norme chiarificatrici del 2010.

La questione dell’Imposta Unica Scommesse e i Principi Europei

Il cuore della controversia risiedeva nel presunto conflitto tra la normativa fiscale italiana e il diritto dell’Unione Europea. La società ricorrente sosteneva che l’imposizione fiscale rappresentasse una restrizione ingiustificata alla libera prestazione di servizi, garantita dall’articolo 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Secondo la sua tesi, tassare un operatore estero privo di concessione creava una discriminazione e un ostacolo al mercato unico. Tuttavia, la giurisprudenza, sia nazionale che europea, ha costantemente bilanciato questo principio con l’esigenza degli Stati membri di regolamentare il settore del gioco per motivi di interesse generale, come la tutela dei consumatori, la prevenzione delle frodi e la lotta alla criminalità.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della società estera. Gli Ermellini hanno ritenuto la questione già ampiamente chiarita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, senza quindi la necessità di un nuovo rinvio pregiudiziale. La decisione si fonda su consolidati principi giuridici che affermano la piena compatibilità della normativa italiana con il diritto unionale.

Nessuna Discriminazione secondo la Cassazione

Il punto centrale della motivazione risiede nell’assenza di qualsiasi profilo discriminatorio. L’imposta unica sulle scommesse si applica a tutti gli operatori che gestiscono la raccolta di scommesse sul territorio italiano, indipendentemente dal luogo in cui sono stabiliti. La legge non distingue tra operatori nazionali con concessione e operatori esteri che ne sono privi. Anzi, esentare questi ultimi creerebbe una discriminazione “al contrario”, favorendo chi opera al di fuori del sistema concessorio e vanificando gli sforzi di regolamentazione e controllo del settore. La tassazione è quindi legata all’attività economica svolta in Italia, non alla nazionalità o alla sede dell’operatore.

L’Irrilevanza della Mancata Traduzione dell’Atto

La Corte ha anche respinto la doglianza relativa alla mancata traduzione dell’avviso di accertamento in lingua inglese. Non esiste una norma specifica che imponga tale obbligo. Si presume che un soggetto che opera stabilmente sul territorio nazionale, anche tramite intermediari, sia in grado di comprendere gli atti impositivi. Inoltre, la società aveva dimostrato di aver compreso perfettamente il contenuto dell’atto, avendo articolato una difesa complessa e dettagliata in ogni grado di giudizio.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si radicano nella necessità di garantire l’effettività del principio di lealtà fiscale e di prevenire fenomeni di evasione in un settore delicato come quello del gioco. La Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia Europea hanno già riconosciuto che le restrizioni alla libera prestazione di servizi sono giustificate da motivi imperativi di interesse generale. La normativa italiana, assoggettando all’imposta unica anche gli operatori esteri senza concessione, persegue proprio tali obiettivi. La responsabilità fiscale non sorge dalla titolarità di una concessione, ma dallo svolgimento dell’attività di organizzazione e raccolta di scommesse sul territorio italiano. La pronuncia della Corte Costituzionale che aveva dichiarato parzialmente illegittima la norma per le annualità precedenti al 2011 riguardava la sola responsabilità delle ricevitorie, ma non ha mai messo in discussione quella, originaria e autonoma, del bookmaker estero.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida un orientamento ormai granitico: qualsiasi operatore, anche straniero e privo di licenza, che raccolga scommesse in Italia è soggetto passivo d’imposta. Questa decisione rafforza la potestà impositiva dello Stato sulle attività economiche svolte entro i propri confini e chiude la porta a tentativi di elusione basati sulla delocalizzazione della sede legale. Per le società di scommesse estere, ciò significa che l’operatività in Italia, diretta o indiretta, comporta inequivocabilmente l’obbligo di conformarsi alla normativa fiscale nazionale, pena l’accertamento del debito tributario e delle relative sanzioni.

Un bookmaker estero che opera in Italia senza concessione deve pagare l’imposta unica sulle scommesse?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte nel territorio italiano, a prescindere dal luogo in cui sono stabiliti e dalla titolarità di una concessione statale.

La tassazione di un bookmaker estero viola il principio europeo della libera prestazione di servizi?
No. Secondo la Corte, la normativa italiana non è discriminatoria perché si applica a tutti gli operatori sul territorio. Le restrizioni sono giustificate da motivi imperativi di interesse generale, come la tutela dei consumatori, la lotta al gioco illegale e la prevenzione di infiltrazioni criminali.

Un avviso di accertamento fiscale notificato a una società estera deve essere tradotto nella sua lingua?
No. L’ordinanza stabilisce che non esiste una norma che imponga la traduzione dell’atto impositivo. Si presume che un soggetto passivo che opera nel territorio nazionale sia in grado di comprenderne il contenuto, e in ogni caso la società ha dimostrato di averlo compreso appieno presentando un’articolata difesa legale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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