Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32986 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32986 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
Oggetto: imposta giochi scommesse
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 33597/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore entrambe rappresentate e difese in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME (con indirizzo PEC: EMAIL), NOME COGNOME (con indirizzo PEC: EMAILordineavvocatiromaEMAIL), prof. NOME COGNOME (con indirizzo PEC: EMAIL e NOME COGNOME (con indirizzo PEC: EMAIL
-ricorrenti –
Contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’avvocatura generale dello Stato con domicilio in Roma, INDIRIZZO (con indirizzo PEC: EMAIL;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 909/02/2018 depositata in data 12/09/2018;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 26/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
–RAGIONE_SOCIALE quale centro trasmissione dati e RAGIONE_SOCIALE quale bookmaker ricorrevano avverso l’avviso di accertamento notificato loro con il quale l’Ufficio recuperava tributi, sanzioni e interessi dovuti per operazioni di gioco realizzate negli anni 2011 e 2012;
-la CTP rigettava i ricorsi;
-appellavano in contribuenti;
-la CTR con la sentenza qui gravata ha confermato la decisione di primo grado;
-ricorrono a questa Corte i contribuenti con atto affidato a otto motivi;
-l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso;
Considerato che:
-va preliminarmente disattesa l’istanza di conciliazione in atti;
-il d. Lgs. n. 220 del 2023, recante disposizioni in materia di processo tributario, emesso in attuazione della legge delega per la riforma fiscale n. 111 del 2023, è entrato in vigore, giusta l’art. 4, primo comma, del medesimo, il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, il 4 gennaio 2024. In particolare, l’art. 1, comma 1, lett. u) del ridetto dispone che nell’articolo 48, del decreto legislativo n. 546 del 1992, rubricato «Conciliazione fuori udienza», dopo il comma 4 è inserito il seguente: « 4-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche alle controversie pendenti davanti alla Corte di Cassazione » e l’art. 1, comma 1, lett. z) dispone che, nell’art. 48 ter del decreto legislativo n. 546 del 1992, rubricato «definizione e pagamento delle somme dovute», al comma 1 sono aggiunte, infine, le seguenti parole: « e nella
misura del sessanta per cento del minimo previsto dalla legge in caso di perfezionamento della conciliazione nel corso del giudizio di Cassazione »;
-indipendentemente dalla considerazione che l’art. 48 del d. Lgs. n. 546 del 1992 disciplina solo la conciliazione fuori udienza e non quella in udienza come previsto dalla norma richiamata dalla società ricorrente (art. 48 bis del decreto ridetto) che, in effetti, prevede il differimento di udienza per il tentativo di conciliazione, norma la cui applicazione non è però stata estesa ai giudizi di cassazione, per i quali permane quindi il divieto di mero rinvio di udienza, va osservato che, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d. Lgs. n. 220 del 2023 «le disposizioni del presente decreto si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024, fatta eccezione per quelle di cui all’articolo 1, comma 1, lettere d), e), f), i), n), o), p), q), s), t), u), v), z), aa), bb), cc) e dd) che si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal giorno successivo all’entrata in vigore del presente decreto»;
-l’interpretazione letterale della norma, dunque, è nel senso che la disposizione di cui all’art. 48 del d. Lgs. o n. 546 del 1992, come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. u), del d. Lgs. n. 220 del 2023, si applica ai giudizi instaurati a partire dal 4 gennaio 2024 e non anche, dunque, al presente giudizio, instauratosi come è evidente ben prima;
-venendo ai motivi di impugnazione, va sottolineato come tutte le questioni poste in ricorso per cassazione riguardino profili che sono già stati oggetto di approfondito esame da parte di questa Corte che in questa sede si richiama anche ex art. 118 disp. att. ne. c.p.c. (da ultimo: Cass., Sez. 5^, 31 marzo 2021, nn. 8907, 8908, 8809 e 8910; Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2021, nn. 9080 e 9081; Cass., Sez. 5^, 2 aprile 2021, nn. 9144, 9145, 9146, 9147, 9148, 9149, 9151, 9152, 9153, 9160, 9162 e 9168; Cass., Sez.
5^, 12 aprile 2021, nn. 9516, 9528, 9529, 9530, 9531, 9532, 9533 e 9534; Cass., Sez. 5^, 14 aprile 2021, nn. 9728, 9729, 9730, 9731, 9732, 9733, 9734 e 9735; Cass., Sez. 5^, 21 aprile 2021, nn. 10472 e 10473);
-più analiticamente, basterà qui osservare che la Corte costituzionale (con la sentenza 23 gennaio 2018, n. 27) ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. 3 del d. Lgs. 504 del 98 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio), ma ha riconosciuto che il legislatore con l’art. 1, comma 66, della L. n. 220 del 2010 da un canto ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni. A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker ) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato quella Corte, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, ha rimarcato, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker . Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori -che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza
paritetica, e non già dipendente- non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale, sia pure con riguardo al gioco del lotto, ha chiarito, appunto, che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass. 27 luglio 2015, n. 15731). La stessa giurisprudenza penale (ossia Cass. 9 luglio 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza del ruolo del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella «raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite». Sicché, ha concluso la Corte costituzionale, quanto al ricevitore l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Né, ha aggiunto, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò perché attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. La rivalsa svolge quindi funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque realizzato, sia pure in vario modo, il presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione. Per conseguenza la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del d. Lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b),
della L. n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011 (che non sono oggetto del presente giudizio) siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si è già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 10. Quella Corte ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della L. n. 220 del 2010, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore. Ne consegue anzitutto che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 (qui non rilievo, trattandosi di operazioni di gioco realizzate nel 2011 e nel 2012) non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker , con o senza concessione, in base alla combinazione degli artt. 3 del d. Lgs. n. 504 del 1998 e 1, comma 66, lett. a), della I. n. 220 del 10, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale. Ferma restando dunque per tutti i periodi d’imposta la responsabilità del bookmaker , in relazione al ricevitore a tale conclusione deve pervenirsi per le annualità a decorrere dal 2011. Invero, va osservato che l’incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte «in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011» con conseguente violazione dell’art. 53, Cost., «giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010» (Ibid. punto 4. A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della
ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker. La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i «rapporti successivi al 2011» (Ibid. punto 4.4.);
-in entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti in- variati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della legge n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto;
-può ancora precisarsi che l’art. 3 del suddetto d. Lgs. n. 504 del 1988, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che «soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse»; a norma dell’art. 1, comma 66, della I. n. 220/10 «a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia
della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) l’art. 3 del d. Lgs. si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni»; il solo riferimento è alla concessione rilasciata dall’Amministrazione Finanziaria -che peraltro anche ove assente, in presenza dell’attività di gioco, non impedisce la debenza del tributo -e non alla autorizzazione di cui all’art. 88 TULPS, la cui assenza è a questi fini del tutto priva di rilievo;
-in forza di tutte tali sopra esposte considerazioni non vi sono quindi i presupposti per alcuna remissione delle questioni alla Corte costituzionale;
-con riguardo al primo motivo, incentrato sulla violazione del contraddittorio endoprocedimentale, lo stesso è manifestamente infondato;
-in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass. Sez.
Un., n. 24823 del 09/12/2015; Cass. Sez. 6-5, n. 27421 del 29/10/2018; Cass. Sez. 6-5, n. 11560 dell’11/05/2018);
-il motivo si duole poi della mancata notifica del PVC al soggetto corresponsabile in solido: anche tale profilo dedotto è infondato;
-invero, ritiene questa Corte che la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento perché è in esso che si esterna poi ciò che si è constatato prima; per quanto la L. n. 4 del 1929, art. 24 preveda che “le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”, tal onere di redazione, anche ove non sia assolto in forza della disposizione sopra richiamata, non impedisce in nessun caso l’emissione di avvisi di accertamento in base all’autonoma valutazione dell’amministrazione finanziaria alla luce del disposto della disposizione invocata dal ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 31120 del 29/12/2017, e precedentemente Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27711 del 11/12/2013); del resto il processo verbale previsto dall’art. 24 cit. può avere una molteplicità e complessità di contenuti e la legge non discrimina tra diversi mezzi di rappresentazione e differenti realtà rappresentate, così come tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazione. Sicché, quale documento extraprocessuale, esso può sia un contenuto ricognitivo, sia un contenuto valutativo liberamente valutabile dall’amministrazione finanziaria; deve quindi escludersi, diversamente da quanto ritiene il ricorrente, che tal verbale abbia rilevanza esterna tale da viziare, ove non redatto o non notificato, l’atto successivo;
-il secondo motivo censura la pronuncia impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. 212 del 2000 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR mancato di ritenere l’avviso di accertamento carente di motivazione;
-il motivo è infondato;
-in tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’ an ed il quantum debeatur ( ex multis , Cass. 30 dicembre 2019, n. 27800; Cass., ord., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass. 25 luglio 2012, n. 13110);
-è qui evidente che il contribuente è stato posto nella condizione di poter esperire un’adeguata difesa e deve ritenersi, pertanto, che l’apparato motivazione dell’atto impositivo fosse idoneo a consentire al contribuente di comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, poste dall’Ufficio a fondamento della ripresa erariale;
-il terzo motivo censura la gravata pronuncia per violazione e falsa applicazione dell’art. 4 d. Lgs. n. 504 del 1998 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR ritenuto corretta l’aliquota applicata dall’Ufficio;
-il motivo è infondato;
-va ricordato l’art. 24 del d.L. 98 del 2011, il cui comma 10 recita: “nel caso di scommesse comunque non affluite al totalizzatore nazionale, ovvero nel caso di sottrazione di base imponibile all’imposta unica sui concorsi pronostici o sulle scommesse, l’Ufficio dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato determina l’imposta dovuta anche utilizzando elementi documentali comunque reperiti, anche se forniti dal contribuente, da cui emerge l’ammontare delle giocate effettuate. In mancanza di tali elementi ovvero quando il contribuente si oppone all’accesso o non dà seguito agli inviti e ai questionari disposti dagli uffici, l’Ufficio dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato determina induttivamente la base imponibile utilizzando la raccolta media della provincia, ove è ubicato il punto di gioco, dei periodi oggetto di accertamento, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale. Ai fini della determinazione dell’imposta unica l’ufficio applica, nei casi di cui al presente comma, l’aliquota
massima prevista per ciascuna tipologia di scommessa dall’articolo 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504”;
-con l’art. 24, comma 10 del d.L. n. 98 del 2011 il legislatore ha introdotto una fase di liquidazione ufficiosa delle imposte dovute in base alle informazioni residenti nella banca dati in uso all’Amministrazione finanziaria. La normativa complessiva sull’accertamento dell’imposta sui giochi introdotta dal d.L. n. 98 del 2011 ricalca, in linea di massima e con le dovute precisazioni, quella dell’imposta sui redditi; inoltre, il comma 8 dell’art. 24 del citato decreto prevede, infatti, che l’Ufficio dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, anche sulla base dei fatti, atti e delle violazioni constatate dalla Guardia di finanza o rilevate da altri organi di Polizia, procede alla rettifica e all’accertamento delle basi imponibili e delle imposte rilevanti ai fini dei singoli giochi, anche utilizzando metodologie induttive di accertamento per presunzioni semplici;
-nella specie, come ha accertato la CTR, non è stato né dedotto né provato (pag. 9 della sentenza impugnata) che le scommesse raccolta dal CTR fossero relative a un numero di eventi superiore a 7; pertanto, in mancanza di documentazione fornita dal contribuente la base imponibile’ è stata determinata induttivamente «utilizzando la raccolta media della provincia, ove è ubicato il punto di gioco, dei periodi oggetto di accertamento, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale» con l’applicazione dell’aliquota massima prevista dall’art. 4 d. Lgs. n. 504 del 1998;
-l’art. 4 del d. Lgs. n. 504 del 98 oltre a contenere il tasso d’imposta applicabile, indica i particolari meccanismi di calcolo per addivenire alla quantificazione del prelievo erariale, distinguendo i concorsi pronostici dalle scommesse (su eventi diversi dalle corse dei cavalli e sulle corse dei cavalli) e fra queste le scommesse a quota fissa e le scommesse a totalizzatore. Per le scommesse a quota fissa (diverse da quelle sui cavalli), oggetto della pretesa
che occupa, la base imponibile è costituita dalla somma giocata per ogni scommessa sulla quale viene applicata un’aliquota d’imposta che varia a seconda del movimento netto avutosi nei dodici mesi precedenti e del numero di eventi pronosticati. La base imponibile è stata quindi determinata correttamente, come prevede l’art. 24 comma 10 del d. L. n. 98 del 2011, sulla base della raccolta media della provincia, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale, nei dodici mesi precedenti;
-il quarto motivo, che si incentra sul difetto del presupposto territoriale del tributo sui giochi e sulle scommesse, è parimenti infondato;
-con esso si fa leva, in relazione al ricevitore, sulla conclusione del contratto di scommessa; in realtà il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731/15, cit.); attività, queste, tutte svolte in Italia;
-parimenti è infondato il quinto motivo relativo alla inapplicabilità delle sanzioni: va applicato il principio secondo cui in tema di sanzioni amministrative, fino alla data di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 66, L. n. 220 del 2010, la quale ha interpretato l’art. 3, d.lgs. n. 504 del 1998 prevedendo che soggetto passivo dell’imposta unica sulle scommesse è anche chi svolge l’attività di gestione delle stesse pur se privo di concessione, esisteva una condizione di obiettiva incertezza normativa, rilevante ai sensi dell’art. 6, comma 2, d. Lgs. n. 472 del 1997, in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione (Cass. 9531/2021; n. 8757/2021; n. 25450 del 21/09/2021);
-il sesto e il settimo motivo, in riferimento alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 56 TFUE e dei principi unionali di parità di trattamento e di non discriminazione, nonché del principio di legittimo affidamento con riferimento all’art. 1, comma 66, della legge di stabilità 2011, interpretativo dell’art. 3 del d. Lgs. n. 504 del 1998, sono anch’essi infondati;
-la Corte di Giustizia, 26 febbraio 2020, causa C-788/18, ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle medesime questioni sollevate con il ricorso, escludendo qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, applicandosi l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (cfr. punto 21 Corte giust. C-788/18). La normativa italiana pertanto, non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, nello Stato membro interessato (cfr. Cass. 14 luglio 2021, n. 20013);
-infine, va rigettato anche l’ottavo motivo, che censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3 del d. Lgs. N. 504 del 1998, dell’art. 1 c. 66 lett. B) della L. n. 64 del 2010, dell’art. 64 c. 3 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione agli artt. 3 c. 1 e 53 c. 1 Cost. a valle della sentenza n. 27 del 2018 della Corte Costituzionale in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.;
-il motivo è infondato;
-esso prende anzitutto le mosse da una lettura della solidarietà tra CTD e bookmaker che, come ampiamente illustrato, non può essere condivisa, né risulta che sia stata sostenuta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 27 del 2018; va infatti ribadito che la solidarietà in esame è di tipo paritetico e non dipendente, senza che da ciò possa trarsi la conclusione che in tal modo si starebbe “privilegiando una ricostruzione interamente privatistica della solidarietà, anche al di là del disposto letterale dell’art. 64, comma
3, del d.P.R. n. 600/73” (così invece parte ricorrente a pag. 45 del ricorso);
-quanto all’art. 64, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, è sufficiente osservare che esso attribuisce il diritto di rivalsa a “chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi”, così rendendo chiaro che, ove il coobbligato solidale sia obbligato al pagamento dell’imposta per un fatto o una situazione propri (e non riferibili esclusivamente all’obbligato principale), l’art. 64, comma 3, non opera e la rivalsa può essere disciplinata diversamente; in altri termini, l’art. 64, comma 3, non offre soluzione al problema del regime della solidarietà, ma richiede, onde affermare l’esistenza del diritto di rivalsa del sostituto e del responsabile d’imposta, che detto problema sia stato già risolto preventivamente;
-in conclusione, il ricorso va rigettato;
-la soccombenza regola le spese;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in euro 2.400 oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 26 giugno 2024.