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Imposta Unica Scommesse: CTD Obbligati al Pagamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19131/2024, ha rigettato il ricorso di un Centro Trasmissione Dati, confermando il suo obbligo di versare l’imposta unica scommesse per l’attività di raccolta gioco svolta in Italia per conto di un bookmaker estero privo di concessione. La Corte ha stabilito la piena compatibilità della normativa nazionale con il diritto dell’Unione Europea, chiarendo che il presupposto del tributo è la raccolta delle scommesse sul territorio italiano, indipendentemente dalla sede del bookmaker.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Unica Scommesse: la Cassazione conferma l’obbligo anche per i CTD

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha messo un punto fermo su una questione a lungo dibattuta nel settore del gioco: i Centri Trasmissione Dati (CTD) che operano per conto di bookmaker esteri senza concessione sono tenuti a versare l’imposta unica scommesse? La risposta della Suprema Corte è stata un chiaro e inequivocabile sì, consolidando un orientamento giurisprudenziale ormai granitico e allineato sia alla normativa nazionale che a quella europea.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dal ricorso presentato dalla titolare di una ditta individuale, operante come Centro Trasmissione Dati (CTD), contro un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. L’Agenzia contestava il mancato versamento dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse per gli anni dal 2008 al 2012.

La Commissione Tributaria Regionale aveva parzialmente respinto le ragioni della contribuente, confermando la pretesa fiscale per gli anni 2011 e 2012. La titolare del CTD ha quindi deciso di portare il caso davanti alla Corte di Cassazione, sollevando quattro distinti motivi di ricorso, incentrati sulla presunta violazione di norme nazionali ed europee.

Analisi dei motivi di ricorso e l’Imposta Unica Scommesse

Il ricorrente basava la propria difesa su diverse argomentazioni:
1. Presupposto soggettivo: Si sosteneva che il CTD non dovesse essere considerato soggetto passivo dell’imposta, in quanto semplice intermediario.
2. Presupposto territoriale: Si eccepiva che il tributo non fosse dovuto, poiché l’organizzazione del gioco faceva capo a un bookmaker con sede all’estero.
3. Violazione del diritto UE: Si lamentava una discriminazione contraria ai principi di parità di trattamento e libera prestazione dei servizi, sanciti dai Trattati sul Funzionamento dell’Unione Europea.
4. Natura del tributo: Si contestava che l’imposta unica avesse le caratteristiche di un’imposta sul volume d’affari, in violazione della direttiva IVA.

La Corte di Cassazione ha esaminato congiuntamente i primi tre motivi, ritenendoli infondati sulla base di una giurisprudenza ormai consolidata, e ha rigettato anche il quarto motivo, chiarendo la natura specifica del tributo in questione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo una spiegazione dettagliata e basata su precedenti sentenze sia della Corte stessa, sia della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Innanzitutto, i giudici hanno ribadito che la legge italiana (in particolare la Legge n. 220/2010) ha esplicitamente esteso l’obbligo di versamento dell’imposta unica scommesse anche ai soggetti che raccolgono gioco al di fuori del sistema concessorio. Questo significa che sia il bookmaker estero sia il CTD che opera in Italia partecipano all’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse e sono quindi entrambi tenuti al pagamento. La Corte ha richiamato la sentenza n. 27/2018 della Corte Costituzionale, la quale ha ritenuto la norma legittima per i rapporti sorti dopo il 2011, poiché da quel momento i CTD avevano la possibilità di regolare i propri accordi commerciali con i bookmaker tenendo conto del nuovo carico fiscale.

In secondo luogo, è stato chiarito che il presupposto territoriale dell’imposta non è la sede del bookmaker, ma il luogo in cui avviene la raccolta delle scommesse. Poiché il CTD svolge la sua attività in Italia, fornendo i locali, ricevendo le proposte, trasmettendo i dati e pagando le vincite, il fatto imponibile si realizza pienamente sul territorio nazionale.

Per quanto riguarda la presunta violazione del diritto europeo, la Corte ha fatto riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (in particolare la causa C-788/18), la quale ha escluso qualsiasi discriminazione. L’imposta si applica a tutti gli operatori che raccolgono scommesse in Italia, senza distinzione basata sul luogo di stabilimento. Gli Stati membri, inoltre, hanno il diritto di regolamentare il settore del gioco d’azzardo per tutelare l’ordine pubblico e i consumatori.

Infine, è stato respinto l’ultimo motivo relativo alla presunta natura di imposta sul volume d’affari. La Corte ha sottolineato che la Direttiva IVA (art. 401) consente esplicitamente agli Stati membri di mantenere o introdurre imposte specifiche sui giochi e sulle scommesse, a condizione che non abbiano le caratteristiche dell’IVA. L’imposta unica è un tributo speciale, calcolato sull’importo scommesso e non sul valore aggiunto, e le operazioni di scommessa sono peraltro esenti da IVA proprio per evitare una doppia imposizione.

Conclusioni

L’ordinanza della Corte di Cassazione conferma in modo definitivo un principio fondamentale: chiunque raccolga scommesse sul territorio italiano è tenuto al pagamento dell’imposta unica scommesse, anche se agisce come intermediario di un operatore estero privo di concessione statale. La decisione rafforza la legittimità del quadro normativo italiano, ritenuto pienamente conforme ai principi del diritto dell’Unione Europea. Per i gestori di CTD, ciò significa che non vi sono più margini per contestare la debenza del tributo per le annualità successive al 2010, consolidando la posizione dell’erario e garantendo parità di condizioni fiscali tra tutti gli operatori del settore.

Un Centro Trasmissione Dati (CTD) che opera per un bookmaker estero deve pagare l’imposta unica sulle scommesse in Italia?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la legge italiana prevede esplicitamente che anche i soggetti operanti al di fuori del sistema di concessione, come i CTD, sono tenuti al versamento dell’imposta per l’attività di raccolta scommesse svolta sul territorio nazionale.

La legge italiana che tassa i CTD viola i principi di non discriminazione dell’Unione Europea?
No. Secondo la Corte di Giustizia UE, richiamata dalla Cassazione, la normativa non è discriminatoria perché l’imposta si applica a tutti gli operatori che raccolgono scommesse in Italia, indipendentemente dal fatto che siano nazionali o esteri. Gli Stati membri possono imporre regole specifiche per il settore del gioco a tutela dell’ordine pubblico e dei consumatori.

L’imposta unica sulle scommesse è una tassa illegittima simile all’IVA?
No. La Direttiva europea sull’IVA permette espressamente agli Stati membri di istituire tasse speciali sui giochi e sulle scommesse. L’imposta unica non è un’imposta sul valore aggiunto, ma un tributo specifico calcolato sull’ammontare delle giocate, e pertanto è pienamente legittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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