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Imposta unica scommesse: chi paga tra CTD e bookmaker?

Una società estera di scommesse ha contestato un avviso di accertamento per l’imposta unica scommesse relativa a giocate raccolte in Italia. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che il bookmaker estero è il soggetto passivo d’imposta per le scommesse gestite sul territorio nazionale tramite i suoi centri di trasmissione dati (CTD). La Corte ha chiarito che l’obbligo fiscale sussiste indipendentemente dal possesso di una concessione statale e che la normativa italiana non viola i principi UE di non discriminazione, poiché la tassa si applica a tutti gli operatori che raccolgono scommesse in Italia.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Unica Scommesse: La Cassazione sulla Responsabilità del Bookmaker Estero

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema centrale nel settore del gioco: la responsabilità per il pagamento dell’imposta unica scommesse quando l’attività è gestita da un bookmaker estero tramite Centri di Trasmissione Dati (CTD) sul territorio italiano. La decisione chiarisce definitivamente i confini della soggettività passiva del tributo, respingendo le tesi difensive basate su una presunta violazione del diritto europeo.

I Fatti del Contenzioso

Il caso trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione Finanziaria nei confronti di una nota società di scommesse con sede a Malta e di un suo CTD situato in Italia. L’amministrazione richiedeva il pagamento dell’imposta unica sulle scommesse a quota fissa raccolte nell’anno 2010, ritenendo i due soggetti obbligati in solido.

Dopo un primo e un secondo grado di giudizio che avevano sostanzialmente confermato la pretesa fiscale, la società estera ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’errata interpretazione dei principi sanciti dalla Corte Costituzionale e la violazione delle norme dell’Unione Europea in materia di non discriminazione e libertà di prestazione di servizi.

L’Imposta Unica Scommesse e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo un’analisi dettagliata del quadro normativo e giurisprudenziale. Il fulcro della decisione risiede nell’affermazione che chiunque gestisca la raccolta di scommesse in Italia realizza il presupposto impositivo, indipendentemente dal fatto che operi all’interno o all’esterno del sistema concessorio nazionale.

La Territorialità dell’Imposta

Il primo punto chiave è la territorialità. La Cassazione ribadisce che il fatto imponibile non è la conclusione del contratto di scommessa in sé, ma l’attività di organizzazione e raccolta del gioco che avviene in Italia. I CTD, operando sul territorio nazionale, costituiscono il tramite attraverso cui il bookmaker estero esercita la propria attività e realizza il presupposto dell’imposta.

Responsabilità Solidale: Bookmaker e CTD

La Corte chiarisce la natura del rapporto tra bookmaker e CTD ai fini fiscali. Entrambi partecipano all’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse: il CTD svolge un’attività gestoria fondamentale (raccolta, trasmissione dati, gestione dei flussi di denaro), mentre il bookmaker ne è l’organizzatore finale. Questo configura una solidarietà paritetica, in cui entrambi i soggetti sono direttamente responsabili per il pagamento del tributo.

L’Impatto della Sentenza della Corte Costituzionale

La società ricorrente aveva invocato la sentenza n. 27/2018 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato l’illegittimità dell’imposizione a carico dei soli CTD per le annualità antecedenti al 2011. La Cassazione spiega che tale pronuncia mirava a tutelare la capacità contributiva dei CTD, i quali non potevano rinegoziare le commissioni per trasferire l’onere fiscale. Tuttavia, quella sentenza non ha mai esonerato il bookmaker dalla sua responsabilità. Pertanto, per i periodi ante-2011, il soggetto passivo principale resta l’organizzatore del gioco, ossia il bookmaker estero.

Imposta Unica Scommesse e Diritto dell’Unione Europea

Un altro argomento centrale del ricorso era la presunta violazione dei principi UE, in particolare quello di non discriminazione. La società sosteneva che, essendo stata illegittimamente esclusa in passato dalle gare per le concessioni, l’imposizione fiscale costituiva un trattamento discriminatorio.

L’Assenza di Discriminazione

La Cassazione, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (in particolare la causa C-788/18), smonta completamente questa tesi. L’imposta unica scommesse si applica a tutti gli operatori che raccolgono gioco in Italia, siano essi nazionali o esteri, concessionari o meno. La normativa non è discriminatoria perché non crea svantaggi per gli operatori esteri; al contrario, esentarli creerebbe una disparità di trattamento a danno degli operatori concessionari, i quali sarebbero tassati mentre i soggetti privi di titolo opererebbero in un regime di vantaggio fiscale.

Il fatto che l’attività del bookmaker non sia stata considerata penalmente illecita non ne determina l’esenzione fiscale. La liceità penale e l’obbligo tributario operano su piani distinti: se il presupposto impositivo (la raccolta di scommesse) si è verificato, l’imposta è dovuta.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di effettività e lealtà fiscale. Permettere a operatori esteri, privi di concessione, di raccogliere scommesse in Italia senza pagare la relativa imposta creerebbe un’irragionevole zona franca, favorendo proprio i soggetti che operano al di fuori del sistema regolamentato. La normativa fiscale italiana, applicando il tributo a chiunque realizzi il presupposto sul territorio, mira a prevenire l’evasione e a tutelare l’ordine pubblico e i consumatori, obiettivi riconosciuti come legittimi anche dal diritto europeo.

Le Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza consolida un orientamento ormai granitico: il bookmaker estero che organizza la raccolta di scommesse in Italia è soggetto passivo dell’imposta unica, anche se opera senza concessione. La sua responsabilità non è esclusa né dalla liceità penale della sua attività, né dai principi del diritto dell’Unione Europea, i quali non tollerano discriminazioni ma neppure avallano regimi fiscali di privilegio che altererebbero la concorrenza nel mercato del gioco.

Chi è tenuto a pagare l’imposta unica sulle scommesse raccolte in Italia da un operatore estero?
L’imposta è dovuta da chiunque gestisce la raccolta di scommesse sul territorio italiano, quindi sia dal bookmaker estero, in qualità di organizzatore, sia dal Centro di Trasmissione Dati (CTD) che opera per suo conto. La loro responsabilità è solidale e paritetica.

Un bookmaker estero che opera in Italia tramite CTD è soggetto all’imposta unica anche se non ha una concessione statale?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il presupposto per l’applicazione dell’imposta è lo svolgimento dell’attività di raccolta scommesse in Italia, a prescindere dal possesso di una concessione. L’obiettivo è evitare che gli operatori non concessionari godano di un vantaggio fiscale indebito.

La normativa italiana sull’imposta unica sulle scommesse viola i principi di non discriminazione e libertà di prestazione dei servizi dell’Unione Europea?
No. Secondo la Corte, supportata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, la normativa non è discriminatoria perché l’imposta si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzioni basate sulla loro sede o nazionalità. Anzi, esentare gli operatori esteri creerebbe una discriminazione al contrario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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