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Imposta unica scommesse: chi paga tra CDT e bookmaker?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11716/2024, ha respinto il ricorso di un bookmaker estero e del suo intermediario italiano (Centro Trasmissione Dati), confermando la loro soggezione all’imposta unica scommesse. La Corte ha stabilito che anche gli operatori privi di concessione statale sono tenuti al pagamento del tributo se raccolgono scommesse sul territorio italiano. Per le annualità successive al 2011, il CDT è obbligato principale e il bookmaker è coobbligato in solido. Questa imposizione, secondo i giudici, non viola il diritto dell’Unione Europea, ma garantisce la parità di trattamento fiscale ed evita vantaggi competitivi indebiti per gli operatori non autorizzati.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Unica Scommesse: La Cassazione Conferma la Responsabilità di CDT e Bookmaker Esteri

Con la recente ordinanza n. 11716 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale per il settore del gioco: la responsabilità fiscale legata all’imposta unica scommesse per gli operatori privi di concessione. La decisione chiarisce in modo definitivo che né i bookmaker esteri né i loro intermediari sul territorio italiano, i Centri Trasmissione Dati (CTD), possono sottrarsi al prelievo erariale. Questo principio mira a garantire equità fiscale e a prevenire distorsioni della concorrenza.

I Fatti del Caso: la Controversia Fiscale

La vicenda trae origine da una serie di avvisi di accertamento notificati dall’Amministrazione Finanziaria a una società di scommesse con sede all’estero e al titolare di un ditta individuale che operava in Italia come suo intermediario (CTD). Le contestazioni riguardavano il mancato versamento dell’imposta unica sulle scommesse per l’anno 2009 (a carico del solo bookmaker) e per gli anni 2012-2013 (a carico di entrambi i soggetti).

I ricorrenti avevano impugnato gli atti impositivi sostenendo, tra le altre cose, l’incompatibilità della normativa nazionale con il diritto dell’Unione Europea e una presunta violazione del principio di legittimo affidamento. Dopo i giudizi di primo e secondo grado, la questione è giunta all’esame della Suprema Corte.

L’evoluzione normativa e la questione di legittimità

Il fulcro della controversia risiede nell’interpretazione dell’articolo 3 del D.Lgs. 504/1998, come modificato dalla Legge n. 220/2010. Questa normativa ha stabilito che l’imposta unica è dovuta da chiunque, anche in assenza di concessione, gestisca la raccolta di scommesse in Italia. La legge ha inoltre introdotto una responsabilità solidale tra il gestore del punto di raccolta (il CTD) e il bookmaker per conto del quale opera.

Questo impianto normativo è stato oggetto di un’importante pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 27/2018), che ha svolto un ruolo chiave nella decisione della Cassazione. La Consulta ha dichiarato l’illegittimità della norma solo per il periodo antecedente al 2011, in quanto prima di tale data i CTD non avevano la possibilità contrattuale di riversare l’onere fiscale sul bookmaker. Per gli anni successivi, invece, ha confermato la piena legittimità del sistema, ritenendolo uno strumento idoneo a garantire il principio di capacità contributiva e a evitare che operatori non concessionari godano di un’ingiusta esenzione.

Imposta unica scommesse e compatibilità con il Diritto Europeo

Uno degli argomenti principali dei ricorrenti era la presunta violazione dei principi UE di libera prestazione dei servizi e di non discriminazione. La Corte di Cassazione, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha respinto categoricamente questa tesi. È stato chiarito che il settore dei giochi d’azzardo non è armonizzato a livello europeo, lasciando agli Stati membri la facoltà di definire le proprie politiche fiscali per tutelare l’ordine pubblico e i consumatori.

La normativa italiana, applicandosi indistintamente a tutti gli operatori che raccolgono gioco sul territorio nazionale, non crea alcuna discriminazione tra soggetti nazionali ed esteri. Al contrario, assoggettare anche gli operatori privi di licenza all’imposta unica scommesse serve proprio a eliminare un vantaggio competitivo che sarebbe altrimenti irragionevole e distorsivo del mercato.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso, basando la propria decisione su alcuni pilastri fondamentali. In primo luogo, ha ribadito che il presupposto dell’imposta non è la giocata in sé, ma la prestazione del servizio di organizzazione e raccolta delle scommesse sul territorio italiano. Entrambi i soggetti, il CTD e il bookmaker, partecipano a questa attività di gestione e sono quindi correttamente identificati come soggetti passivi del tributo.

Per le annualità 2012 e 2013, successive all’entrata in vigore della legge interpretativa, non sussisteva alcuna incertezza normativa. Il titolare del CTD era chiaramente designato come obbligato principale, mentre il bookmaker estero figurava come obbligato in solido. Questa solidarietà, secondo la Corte, non è gerarchica ma paritetica, derivando dal concorso di entrambi i soggetti alla realizzazione del presupposto impositivo. La possibilità per il CTD di rinegoziare le commissioni con il bookmaker alla luce del nuovo carico fiscale garantisce il rispetto del principio di capacità contributiva.

Infine, la Corte ha escluso la violazione del legittimo affidamento, poiché la responsabilità del bookmaker estero era già desumibile dal quadro normativo precedente, e la legge del 2010 ha solo esplicitato un principio già esistente, eliminando ogni incertezza interpretativa per il futuro.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Corte di Cassazione consolida un orientamento giurisprudenziale ormai granitico: chiunque operi nel mercato italiano delle scommesse, con o senza licenza, è tenuto a contribuire al fisco. La decisione rafforza la legittimità dell’imposta unica scommesse come strumento di equità fiscale e di regolamentazione del mercato, confermando la piena responsabilità sia degli intermediari locali (CTD) sia dei bookmaker esteri che si avvalgono della loro rete per raccogliere gioco in Italia. Si tratta di un principio fondamentale per la tutela della concorrenza leale e degli interessi erariali dello Stato.

Un bookmaker estero senza concessione italiana è tenuto a pagare l’imposta unica sulle scommesse in Italia?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che chiunque gestisca, anche per conto terzi e dall’estero, la raccolta di scommesse sul territorio italiano è soggetto passivo dell’imposta, indipendentemente dal possesso di una concessione.

Il titolare di un Centro Trasmissione Dati (CTD) che opera per un bookmaker estero è responsabile per il pagamento delle tasse?
Sì. Per le annualità successive al 2011, il titolare del CTD è considerato obbligato principale al pagamento dell’imposta, mentre il bookmaker estero è obbligato in solido. Questo perché il CTD svolge un’attività di gestione e organizzazione della raccolta scommesse.

La normativa italiana sull’imposta unica per gli operatori senza concessione viola il diritto dell’Unione Europea?
No. Secondo la Corte, la normativa non è discriminatoria né viola i principi di libera prestazione dei servizi, in quanto si applica a tutti gli operatori che raccolgono scommesse in Italia. Anzi, serve a evitare che gli operatori non concessionari godano di un vantaggio fiscale ingiustificato rispetto a quelli autorizzati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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