Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20160 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20160 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 7817/2020 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio legale dell’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, come da procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 2241/02/2019, depositata il 19.07.2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 14 febbraio 2024.
RILEVATO CHE
La CTP di Bari accoglieva parzialmente i ricorsi riuniti proposti dalla RAGIONE_SOCIALE avverso distinti avvisi di accertamento, con i
Oggetto:
Imposta unica sulle
scommesse
quali l’RAGIONE_SOCIALE aveva recuperato nei confronti della predetta società, quale obbligato principale, l’imposta unica sulle scommesse, per gli anni 2009 e 2010, già accertata nei confronti del CTD di cui era titolare COGNOME NOME, ritenendo non dovute solo le sanzioni irrogate con gli atti impugnati; – con la sentenza in epigrafe indicata, la CTR della Puglia rigettava sia l’appello principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE sia quello incidentale proposto dall’RAGIONE_SOCIALE, osservando, per quanto qui ancora rileva, che la sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 e 1, comma 66 lett. b) della l. n. 220 del 2010, per le annualità antecedenti al 2011, riguardava solo le ricevitorie (CTD) e non anche le società estere che svolgevano la propria attività di bookmaker in Italia senza titolo concessorio;
la RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi;
-l’RAGIONE_SOCIALE resisteva all’impugnazione con controricorso .
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso (indicato come primo motivo in via preliminare), la contribuente deduce la errata valutazione dei principi sanciti dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27/2018, con riferimento ai periodi di imposta antecedenti al 2011; violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della l. n. 241 del 1990 e 7 della l. n. 212 del 2000, perchè la CTR, nel ritenere il bookmaker estero unico obbligato al pagamento del tributo relativamente alle annualità 2009 e 2010, ha modificato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche, posti a fondamento degli atti impositivi impugnati, nei quali la società estera era stata considerata solo responsabile in via solidale;
con il secondo motivo (indicato come secondo motivo in via preliminare), deduce la nullità della sentenza impugnata -errore in
procedendo -omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato l’illegittimità degli avvisi di accertamento, emessi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, per la mancata traduzione degli stessi nella lingua inglese;
con il terzo motivo (indicato come terzo motivo in via preliminare), deduce la nullità della sentenza impugnata -errore in procedendo -omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 111 e 24 Cost., 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 118 disp. att. cod. proc. civ. e 7 della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sul vizio di nullità degli avvisi di accertamento per carenza di motivazione;
con il quarto motivo (indicato come primo motivo nel merito), deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 594 del 1998, come interpretato dall’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220 del 2010, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in merito al presupposto soggettivo dell’imposta ;
con il quinto motivo (indicato come secondo motivo nel merito), denuncia la nullità della sentenza impugnata -errore in procedendo -omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., con riferimento alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, lett. b), della l. n. 288 del 1998 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., in merito al presupposto territoriale dell’imposta;
con il sesto motivo (indicato come terzo motivo nel merito), deduce la nullità della sentenza impugnata -errore in procedendo -omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., con riferimento alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE e dei
principi di diritto dell’Unione, di parità di trattamento e non discriminazione, nonché del principio di legittimo affidamento con riferimento all’art. 1, comma 66, della legge di stabilità 2011, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per non avere la CTR disapplicato le rilevanti disposizioni di cui al d.lgs. n. 504 del 1998 per manifesta incompatibilità con il diritto unionale, e sollecita, in via subordinata, un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sulla questione dell’applicabilità del diritto interno;
con il settimo motivo (indicato come quarto motivo nel merito), deduce la nullità della sentenza impugnata -errore in procedendo -omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., con riferimento alla violazione e/o falsa applicazione de ll’art. 401 della direttiva 2006/112/CE, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per non avere la CTR disapplicato la disciplina normativa di cui al d.lgs. n. 504 del 1998, in ragione della sua contrarietà al divieto di mantenere o introdurre imposte sul volume d’affari diverse dall’imposta sul valore aggiunto, limitandosi ad affermare che l’imposta unica sul gioco e sulle scommesse non era un tributo armonizzato; sollecita, in via subordinata, un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sulla questione dell’applicabilità del diritto interno;
il primo, il quarto, il quinto e il sesto motivo, che vanno esaminati congiuntamente, trattandosi di censure strettamente connesse, sono infondati;
come è stato già precisato da questa Corte, il quadro normativo di riferimento (art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998; art. 3 del decreto legislativo n. 504/88; art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010; art. 16 del D.M. 1 marzo 2006 n. 111; art. 1, comma 644, lett. g), della legge n. 190 del 2014) è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato la compatibilità, rispettivamente, con la
Costituzione e con il diritto unionale (cfr. Cass., 31 marzo 2021, nn. 8907-8911; Cass., 1 aprile 2021, nn. 9079-9081; Cass., 2 aprile 2021, nn. 9144-9153; Cass., 2 aprile 2021, n. 9160; Cass., 2 aprile 2021, n. 9176; Cass., 2 aprile 2021, n. 9184, Cass., 12 aprile 2021, nn. 9528 e 9537 e, più di recente, Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761);
– in particolare, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2018, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio), riconoscendo che l’art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010 ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e che le ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione sono obbligate al versamento del tributo e RAGIONE_SOCIALE relative sanzioni; a questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del «gestore per conto terzi» (ossia del titolare di ricevitoria) al «gestore per conto proprio» (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, secondo la Corte costituzionale, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» RAGIONE_SOCIALE scommesse soggette a imposizione;
– il giudice RAGIONE_SOCIALE leggi ha rimarcato che il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento RAGIONE_SOCIALE somme giocate,
nonché del pagamento RAGIONE_SOCIALE vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker, sicché l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta RAGIONE_SOCIALE scommesse, il volume RAGIONE_SOCIALE quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale;
la Corte costituzionale ha poi aggiunto che la scelta di assoggettare all’imposta i titolari RAGIONE_SOCIALE ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione non viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato: ciò perché attraverso la regolazione RAGIONE_SOCIALE commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. La rivalsa svolge, quindi, funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione;
sulla base RAGIONE_SOCIALE suddette considerazioni, la Corte costituzionale, nella richiamata pronuncia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In relazione a quel periodo, infatti, non si può procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità RAGIONE_SOCIALE commissioni già
pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla l. n. 220 del 2010;
– il giudice RAGIONE_SOCIALE leggi ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 (nel caso in esame rilevano gli anni 2009 e 2010), non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione in base alla combinazione dell’art. 3 decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. a), della legge n. 220 del 2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale;
-a diversa conclusione, si perviene per le annualità dal 2011 in poi e con riferimento alla posizione del ricevitore, dovendosi osservare che la incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte « in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011 » con conseguente violazione dell’art. 53, Cost., « giacchè l’entità RAGIONE_SOCIALE commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010». A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti, in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura RAGIONE_SOCIALE commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker. La
suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i «rapporti successivi al 2011», quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi RAGIONE_SOCIALE parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, proprio in considerazione della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari RAGIONE_SOCIALE ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale RAGIONE_SOCIALE commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale RAGIONE_SOCIALE commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della legge n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto (Cass. 8 febbraio 2023, n. 1184, in motivazione);
– con specifico riferimento, poi, al presupposto territoriale del tributo, oggetto del quinto motivo (indicato come secondo motivo nel merito), questa Corte ha già precisato, con le pronunce citate, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa, poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi, consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta RAGIONE_SOCIALE scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della
relativa ricevuta, attività, queste, tutte svolte in Italia ( ex multis , Cass. 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione);
– alla luce RAGIONE_SOCIALE esposte argomentazioni, la prospettazione della ricorrente non merita accoglimento, in quanto, come già precisato, gli avvisi di accertamento riguardano gli anni di imposta 2009 e 2010 e sono stati emessi solo nei confronti del bookmaker, avendo i giudici RAGIONE_SOCIALE leggi posto a fondamento della pronuncia di incostituzionalità la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione ed hanno dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura RAGIONE_SOCIALE commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker;
– sulla base RAGIONE_SOCIALE suddette considerazioni, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo, infatti, come già precisato, non si può procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità RAGIONE_SOCIALE commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla legge n. 220 del 2010. I giudici RAGIONE_SOCIALE leggi, tuttavia, hanno chiarito che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore, con la
conseguenza che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione in base alla combinazione dell’art. 3 decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. a), della legge n. 220 del 2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale. Inoltre, i giudici RAGIONE_SOCIALE leggi, nell’affermare che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e che le ricevitorie operanti per conto di bookmaker privi di concessione hanno l’obbligo di versare il tributo e le relative sanzioni, hanno equiparato, ai fini tributari, il «gestore per conto terzi», ovvero il titolare di ricevitoria, al «gestore per conto proprio», ossia al bookmaker, ed hanno precisato che entrambi i soggetti partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» RAGIONE_SOCIALE scommesse soggetta a imposizione. In particolare, il titolare della ricevitoria svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento RAGIONE_SOCIALE somme giocate, nonché del pagamento RAGIONE_SOCIALE vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker, con l’ulteriore specificazione che l’attività gestoria del ricevitore va riferita alla raccolta RAGIONE_SOCIALE scommesse, il volume RAGIONE_SOCIALE quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale, mentre il bookmaker è quello che effettivamente gestisce il servizio RAGIONE_SOCIALE scommesse, anche attraverso il contratto stipulato con il ricevitore, e sul quale il titolare della ricevitoria, attraverso la regolazione RAGIONE_SOCIALE commissioni ha la possibilità di trasferire il carico tributario. I giudici RAGIONE_SOCIALE leggi, dunque, concludono affermando che i coobbligati,
bookmaker e ricevitoria, comunque concorrono, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo.
la CTR si è attenuta ai richiamati principi, affermando che le norme che disciplinano l’applicazione dell’imposta unica sulle scommesse non si applicavano nel caso in esame alla sola ricevitoria, venendo in rilievo gli anni d’imposta 20 09 e 2010, fermo restando che il presupposto di imposta è riferibile sia al bookmaker che al CTD, con la conseguenza che entrambi i soggetti sono tenuti all’adempimento dell’obbligazione impositiva in via solidale paritetica, avendo la Corte Costituzionale, diversamente da quanto affermato dalla società ricorrente, chiaramente riferito il presupposto oggettivo dell’imposta ad entrambi, con la conseguenza che entrambi i soggetti sono tenuti a rispondere solidalmente dell’obbligazione tributaria. Ciò che rende priva di rilievo, ai fini che qui interessano, la circostanza che la verifica fiscale, l’accertamento e le violazioni contestate abbiano avuto per oggetto le ricevitorie, tenuto anche conto, peraltro, che l’avviso di accertamento è stato notificato sia al bookmaker che al CTD;
per quanto riguarda la richiesta di rinvio pregiudiziale (e/o di sospensione del giudizio) avanzata dalla ricorrente con il sesto motivo (indicato come terzo motivo nel merito), occorre considerare la sopravvenuta sentenza della Corte di Giustizia del 26 febbraio 2020, causa C-788/18, riguardante proprio la questione avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla CTP di Parma, nel procedimento RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE;
la Corte di Giustizia ha stabilito con la suindicata decisione che « L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad
imposta sulle scommesse i Centri di Trasmissione di Dati stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro, indipendentemente dall’ubicazione della sede di tali operatori e dall’assenza di concessione per l’organizzazione RAGIONE_SOCIALE scommesse »; -nel rispondere al primo e al secondo quesito (« se l’articolo 56 TFUE osti ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i CTD stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro» ), i giudici unionali hanno premesso che la libera prestazione dei servizi, di cui all’articolo 56 TFUE, esigeva non soltanto l’eliminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di qualsiasi discriminazione fondata sulla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione quando era idonea a vietare, a ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi (sentenza del 22 ottobre 2014, COGNOME e COGNOME, C -344/13 e C -367/13, EU:C:2014:2311, punto 26); la Corte aveva approvato nel settore dei giochi d’azzardo il ricorso al sistema RAGIONE_SOCIALE concessioni, ritenendo che quest’ultimo potesse costituire un meccanismo efficace che consentisse di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti (sentenza del 19 dicembre 2018, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C -375/17, EU:C:2018:1026, punto 66); per determinare se sussisteva una discriminazione, occorreva verificare che situazioni analoghe non fossero trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non fossero trattate in maniera uguale, a meno che una differenziazione non fosse oggettivamente
giustificata (sentenza del 6 giugno 2019, RAGIONE_SOCIALE, C -264/18, EU:C:2019:472, punto 28);
– con specifico riferimento alla vicenda in esame, la Corte di Giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, di modo che la normativa italiana «non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la RAGIONE_SOCIALE, nello Stato membro interessato»; ha affermato che, secondo costante giurisprudenza unionale, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi e che, di conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità; ha ritenuto che il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nel comma 64 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, i propri obiettivi, tra i quali si colloca «… l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore », in quanto la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno
l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale; ha stabilito, in relazione al bookmaker, che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro e ha specificato, in concreto, che «…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri»; sicché, ha concluso che «… rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la RAGIONE_SOCIALE non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale »; in ultimo, quanto al centro trasmissione dati, ha ribadito che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse « allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali » ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220/10, ma ciò non toglie che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali sia diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro; la diversità della situazione, pertanto, è in re ipsa per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero; nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema RAGIONE_SOCIALE concessioni costituisce «… un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per
fini criminali o fraudolenti » (Cass., 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione);
alla luce di quanto sopra esposto, in relazione alle intervenute pronunce della Corte di giustizia e della Corte costituzionale, considerati anche i precedenti di questa Corte in relazione a controversie aventi il medesimo contenuto ( cfr. Cass., 31 marzo 2021, nn. 8907-8911; Cass., 1 aprile 2021, nn. 9079-9081; Cass., 2 aprile 2021, nn. 9144-9153; Cass., 2 aprile 2021, n. 9160; Cass., 2 aprile 2021, n. 9176; Cass., 2 aprile 2021, n. 9184, Cass., 12 aprile 2021, nn. 9528 e 9537 e, più di recente, Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761 ), non sussistono i presupposti per un ulteriore rinvio pregiudiziale ex art. 267, secondo comma, TFUE, alla Corte di Giustizia, come sollecitato nel ricorso per cassazione (cfr. Cass. 16 giugno 2017, n. 15041; Cass. Sez. U., 10 settembre 2013, n. 20701);
con riferimento specifico al primo motivo (indicato come primo motivo in via preliminare), poi, nel caso in esame la CTR non ha affatto ecceduto i confini della «causa petendi», delimitati dapprima dall’avviso di accertamento e poi dai motivi di impugnazione formulati dalla società contribuente nel ricorso introduttivo, né è stata alterata la sostanza dell’accertamento, rimanendo gli stessi i fatti sui quali l’atto impositivo è stato fondato, né sono state avanzate pretese diverse da quelle recepite nell’atto impositivo. Il giudice di appello non ha, quindi, mutato il destinatario principale della pretesa fiscale, originariamente individuato nel CTD, e ciò in quanto il bookmaker estero era stato individuato già nell’avviso di accertamento quale coobbligato in solido nei confronti del CTD; non vi è stata, dunque, alcuna «sostituzione» della motivazione sostenuta nell’avviso di accertamento, né alcuna modifica dei presupposti di fatto e RAGIONE_SOCIALE
ragioni giuridiche poste a base dell’avviso di accertamento impugnato;
anche il secondo motivo (indicato come secondo motivo in via preliminare) è infondato;
-sul punto va evidenziato come nessuna specifica previsione normativa dispone che l’atto impositivo debba essere redatto nella lingua del soggetto destinatario, dovendosi invero presumere che lo stesso, in quanto soggetto passivo nel territorio nazionale, sia in grado di comprendere il contenuto dell’atto; la questione, dunque, si sposta sul piano probatorio, essendo onere del contribuente provare di non essere stato nelle condizioni di avere potuto avere conoscenza del contenuto dell’atto, il che postula che lo stesso versi in condizioni tali, nonostante il comportamento dallo stesso esigibile, da non potere in alcun modo avere potuto ovviare alla circostanza che l’atto impositivo non era stato tradotto nella propria lingua di origine, profilo in alcun modo coltivato dalla ricorrente, che si è limitata ad una contestazione generica sul punto;
va, altresì, precisato che identica questione è già stata esaminata da questa Corte che ha escluso che la mancata traduzione nella lingua del destinatario possa comportare una lesione del diritto di difesa della società ricorrente, in quanto la stessa, anche se soggetto non residente privo di stabile organizzazione in Italia, ha dimostrato, avendo in concreto fatto valere nei gradi del merito le proprie ed articolate difese contestando la pretesa tributaria azionata con l’atto impugnato, di avere avuto piena conoscenza del contenuto dell’atto impositivo ad essa notificato (Cass., 19 gennaio 2021, n. 9144; Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761);
il terzo motivo (indicato come terzo motivo in via preliminare) è inammissibile, perché non riporta, quanto meno nelle parti rilevanti, il contenuto dell’avviso di accertamento impugnato;
il motivo è inammissibile anche nella parte in cui deduce che gli avvisi di accertamento ‘ si limitano ad un generico richiamo RAGIONE_SOCIALE norme che si assumono violate, senza spendere argomenti che giustificherebbero l’applicabilità di tali disposizioni al caso concreto ‘ , di talché, l’odierna ricorrente non sarebbe stata messa in condizione di comprendere le ragioni della pretesa, in quanto rivolge la censura direttamente al provvedimento impositivo, che non è atto del processo, bensì atto, la cui impugnazione è oggetto del processo (Cass., 27 marzo 2013, n. 7717; Cass., 7 maggio 2007, n. 10295; Cass., 13 marzo 2009, n. 6134);
con il settimo motivo (indicato come quarto motivo nel merito) è infondato;
-come è stato già più volte chiarito da questa Corte (Cass. 25.09.2023, n. 27260; Cass. 21.9.2021, n. 25450; Cass. 14.7.2021, n. 2013), il tributo che qui rileva è differente da una imposta sulla cifra di affari per plurime ragioni: riguarda unicamente operazioni relative all’esercizio RAGIONE_SOCIALE scommesse, irrilevanti a fini IVA; non tiene conto del valore aggiunto di ciascuna, difettando nel sistema il meccanismo della detrazione IVA e applicandosi il tributo all’importo scommesso; è calcolato senza alcun riconoscimento di deduzione degli acquisti di beni e servizi inerenti effettuati nel periodo in cui sono poste in essere le operazioni di scommessa;
anche secondo i giudici unionali (CGUE, sent. n. 24 ottobre 2013 in causa n. C-440/2012, RAGIONE_SOCIALE, peraltro, “in forza dell’articolo 401 della direttiva IVA «le disposizioni di direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte (…) sui giochi e
sulle scommesse, (…) e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari (…)». La formulazione di tale articolo non osta, pertanto, a che gli Stati membri assoggettino un’operazione all’IVA, nonché, in modo cumulativo, a un tributo speciale non avente il carattere d’imposta sul volume d’affari (v., in tal senso, la sentenza dell’8 luglio 1986, Kerrutt, 73/85, Racc. pag. 2219, punto 22)’ ;
secondo la richiamata pronuncia, quindi, l’art. 401 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con l’art. 135, paragrafo 1, lettera i) della stessa, deve essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e un tributo speciale nazionale sui giochi d’azzardo possono essere riscossi in modo cumulativo, a condizione che siffatto ultimo tributo non abbia il carattere di un’imposta sul volume d’affari; inoltre, sempre secondo tale sentenza, l’art. 1, paragrafo 2, prima frase, e l’art. 73 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una disposizione o a una prassi nazionale secondo cui, per la gestione di apparecchi per giochi d’azzardo con possibilità di vincita, l’importo dei proventi di cassa di tali apparecchi, dopo che è trascorso un determinato periodo di tempo, viene considerato come base imponibile;
le richiamate considerazioni consentono di disattendere anche alla richiesta di rinvio pregiudiziale, avanzata sul punto dalla ricorrente in via subordinata;
-il ricorso va, dunque, rigettato e la società contribuente va condannato al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 5.800,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 febbraio 2024.