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Imposta unica scommesse: chi paga prima del 2011?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20160/2024, ha chiarito la responsabilità fiscale in materia di imposta unica sulle scommesse per gli anni 2009 e 2010. Una società di scommesse estera, operante in Italia tramite centri di trasmissione dati senza concessione, aveva impugnato gli avvisi di accertamento. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che, in base alla sentenza n. 27/2018 della Corte Costituzionale, per le annualità antecedenti al 2011 la responsabilità del pagamento del tributo ricade esclusivamente sul bookmaker estero e non sulla ricevitoria locale.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta unica scommesse: la Cassazione chiarisce la responsabilità pre-2011

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha messo un punto fermo su una questione a lungo dibattuta: chi è tenuto a versare l’imposta unica scommesse per gli anni antecedenti al 2011 nel caso di operatori esteri che raccolgono gioco in Italia tramite Centri Trasmissione Dati (CTD) privi di concessione? La Suprema Corte ha confermato che l’obbligazione tributaria ricade esclusivamente sul bookmaker estero.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dal ricorso di una nota società di scommesse con sede a Malta contro l’Agenzia delle dogane e dei monopoli. La società aveva ricevuto diversi avvisi di accertamento per il mancato versamento dell’imposta unica sulle scommesse per le annualità 2009 e 2010, relative a gioco raccolto sul territorio italiano attraverso una rete di CTD.

La Commissione Tributaria Regionale della Puglia aveva già respinto gli appelli della società, la quale ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione, sollevando una serie di motivi di natura sia procedurale che sostanziale, tra cui la violazione del diritto dell’Unione Europea e l’errata individuazione del soggetto passivo del tributo.

La Decisione della Corte e l’Impatto sull’Imposta Unica Scommesse

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20160 del 22 luglio 2024, ha rigettato integralmente il ricorso della società, condannandola al pagamento delle spese processuali. La decisione si fonda su un’analisi approfondita della normativa nazionale ed europea, consolidando un orientamento giurisprudenziale ormai chiaro.

Le Motivazioni

Le argomentazioni della Suprema Corte sono articolate e toccano tutti i punti sollevati dalla ricorrente.

La Responsabilità Fiscale prima del 2011: Bookmaker vs. Ricevitoria

Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione della sentenza n. 27/2018 della Corte Costituzionale. I giudici costituzionali avevano dichiarato illegittimo l’assoggettamento all’imposta unica scommesse delle ricevitorie (CTD) per le annualità precedenti al 2011. La ragione era l’impossibilità per queste ultime di ‘traslare’ il carico fiscale sul bookmaker, poiché i loro rapporti contrattuali e le relative commissioni si erano già cristallizzati prima dell’entrata in vigore della legge interpretativa del 2010.

La Cassazione sottolinea che questa declaratoria di incostituzionalità, se da un lato libera la ricevitoria, dall’altro lascia intatta (e anzi, rafforza) la responsabilità del bookmaker. È quest’ultimo, infatti, il soggetto che organizza ed esercita l’attività di scommessa e che beneficia economicamente del gioco. Pertanto, per il periodo 2009-2010, l’unico soggetto tenuto al versamento del tributo è proprio il bookmaker estero.

Compatibilità con il Diritto dell’Unione Europea

La società ricorrente lamentava una presunta discriminazione e violazione dell’art. 56 TFUE (libera prestazione di servizi). La Corte ha respinto questa censura, richiamando una precedente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-788/18) che aveva già esaminato la compatibilità della normativa italiana.

La CGUE aveva stabilito che l’imposta unica scommesse non è discriminatoria, in quanto si applica a tutti gli operatori che raccolgono scommesse in Italia, indipendentemente dal loro Stato di stabilimento o dal possesso di una concessione. Le restrizioni alla libera prestazione di servizi nel settore del gioco d’azzardo sono giustificate da motivi imperativi di interesse generale, come la tutela dei consumatori, la prevenzione delle frodi e la lotta alla criminalità.

Questioni Procedurali Respinte

La Corte ha inoltre rigettato le eccezioni procedurali sollevate:
* Mancata traduzione dell’avviso: Non esiste alcuna norma che imponga la traduzione dell’atto impositivo nella lingua del destinatario estero. La società, avendo ampiamente articolato le proprie difese sin dal primo grado, ha dimostrato di aver compreso pienamente il contenuto dell’atto.
* Carenza di motivazione: La censura è stata ritenuta inammissibile perché rivolta direttamente contro l’atto impositivo e non contro la sentenza impugnata.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione consolida un principio fondamentale in materia di fiscalità del gioco: per le scommesse raccolte in Italia prima del 2011 da operatori esteri senza concessione, la responsabilità per il pagamento dell’imposta unica scommesse è da attribuire unicamente al bookmaker. La decisione chiarisce che la tutela offerta dalla Corte Costituzionale alle ricevitorie non si estende agli operatori esteri, che rimangono i principali soggetti passivi del tributo. Viene inoltre ribadita la piena compatibilità di questo sistema impositivo con i principi del diritto dell’Unione Europea, chiudendo la porta a ulteriori contestazioni su questo fronte.

Per gli anni d’imposta prima del 2011, chi deve pagare l’imposta unica sulle scommesse tra il bookmaker estero e la ricevitoria (CTD) in Italia?
Secondo la Corte, in base alla sentenza n. 27/2018 della Corte Costituzionale, per le annualità antecedenti al 2011 la responsabilità del pagamento ricade esclusivamente sul bookmaker (l’organizzatore delle scommesse) e non sulla ricevitoria che si limita a raccogliere il gioco.

La normativa italiana sull’imposta unica sulle scommesse è discriminatoria nei confronti degli operatori esteri secondo il diritto dell’Unione Europea?
No. La Corte di Cassazione, richiamando una precedente sentenza della Corte di Giustizia UE, ha confermato che la normativa non è discriminatoria. L’imposta si applica a tutti gli operatori che raccolgono scommesse sul territorio italiano, siano essi nazionali o esteri, con o senza concessione.

L’avviso di accertamento fiscale notificato a una società estera deve essere obbligatoriamente tradotto nella sua lingua?
No. La Corte ha stabilito che non esiste alcuna norma specifica che imponga la traduzione dell’atto impositivo. Si presume che un soggetto passivo operante sul territorio nazionale sia in grado di comprenderlo. L’onere di provare l’impossibilità di comprensione spetta al contribuente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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