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Imposta unica scommesse: Cassazione e operatori esteri

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7673/2025, ha rigettato il ricorso di una società di scommesse estera contro un avviso di accertamento relativo all’imposta unica scommesse per l’anno 2015. La Corte ha stabilito la piena legittimità dell’imposizione anche per gli operatori privi di concessione statale che raccolgono gioco in Italia. È stata inoltre confermata la costituzionalità del metodo di determinazione presuntiva della base imponibile, pari al triplo della media provinciale della raccolta, qualora l’operatore non abbia aderito al regime di regolarizzazione. La presunzione, secondo la Corte, non è assoluta ma relativa, consentendo al contribuente di fornire prova contraria.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Unica Scommesse: Legittima la Tassazione per Operatori Esteri

La Corte di Cassazione ha recentemente affrontato una questione cruciale per il settore del gioco, confermando la piena legittimità dell’imposta unica scommesse anche per gli operatori esteri che operano in Italia senza una concessione statale. Con l’ordinanza n. 7673 del 2025, i giudici supremi hanno respinto le argomentazioni di una nota società di betting, consolidando un principio fondamentale: la raccolta di scommesse sul territorio nazionale genera un obbligo tributario, a prescindere dalla nazionalità dell’operatore o dal possesso di una licenza.

I Fatti di Causa

Una società di scommesse con sede all’estero, operante in Italia tramite una rete di Centri Trasmissione Dati (CTD), si è vista notificare un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. L’Agenzia contestava il mancato versamento dell’imposta unica sulle scommesse per l’anno d’imposta 2015. La base imponibile era stata determinata in via presuntiva, applicando la normativa prevista per i soggetti non aderenti alla procedura di regolarizzazione fiscale, che stabilisce un calcolo forfettario pari al triplo della media della raccolta provinciale.

La società ha impugnato l’atto impositivo, ma i suoi ricorsi sono stati respinti sia in primo che in secondo grado. Di qui, la decisione di ricorrere alla Corte di Cassazione, sollevando diverse questioni di legittimità costituzionale e di contrasto con il diritto dell’Unione Europea.

I Motivi del Ricorso e la questione dell’imposta unica scommesse

La società ricorrente ha basato la sua difesa su diversi argomenti. In primo luogo, ha contestato la legittimità costituzionale della norma che prevede il calcolo forfettario della base imponibile (art. 1, comma 644, lett. g, L. 190/2014), sostenendo che introducesse una presunzione legale assoluta, in violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.).

In secondo luogo, ha lamentato la violazione dei principi del diritto dell’Unione Europea, come la non discriminazione e la libertà di prestazione dei servizi. Secondo la sua tesi, essendo stata ingiustamente esclusa in passato dalle gare per le concessioni, la sua attività doveva considerarsi lecita, e l’imposizione fiscale avrebbe assunto un carattere sanzionatorio e discriminatorio.

La Soggettività Passiva e il Territorio

Un altro punto centrale del ricorso riguardava la soggettività passiva dell’imposta. La società sosteneva che, operando dall’estero, non potesse essere considerata soggetto passivo in Italia. Tuttavia, la normativa di riferimento e la giurisprudenza consolidata individuano il presupposto impositivo nella raccolta delle scommesse sul territorio italiano, rendendo irrilevante la sede legale del bookmaker.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in ogni sua parte, ritenendo le censure manifestamente infondate. I giudici hanno chiarito che la questione della legittimità dell’imposta unica scommesse per gli operatori senza concessione è stata ampiamente vagliata e risolta sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Il riconoscimento della natura non illecita dell’attività, sotto il profilo penale, non comporta un’esenzione fiscale. L’obbligo tributario sorge dal mero fatto economico di aver organizzato e raccolto scommesse in Italia, generando ricchezza tassabile.

La Corte ha inoltre affrontato la questione cruciale del calcolo presuntivo. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la presunzione non è assoluta (iuris et de iure), ma relativa (iuris tantum). Ciò significa che il legislatore ha stabilito una modalità di determinazione standard della base imponibile per far fronte all’impossibilità di ricostruire la raccolta effettiva (a causa del mancato collegamento al totalizzatore nazionale), ma ha lasciato aperta la porta al contribuente. Quest’ultimo, infatti, ha la facoltà di fornire elementi probatori a contrario per dimostrare l’effettivo ammontare delle giocate e ottenere l’applicazione dell’imposta su una base imponibile reale. Poiché la società non ha fornito tali prove, la determinazione forfettaria è stata ritenuta legittima.

La Corte ha giudicato ragionevole la misura della triplicazione della media provinciale, poiché gli operatori non autorizzati godono di un vantaggio competitivo (mancato sostenimento degli oneri concessori, offerta di prodotti più ampi) che giustifica una stima della raccolta superiore alla media degli operatori legali.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Cassazione ha enunciato un chiaro principio di diritto: la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 644, lett. g), della L. n. 190/2014 è manifestamente infondata. La norma, che disciplina la determinazione dell’imposta unica scommesse per i soggetti che non aderiscono alla regolarizzazione, non viola gli articoli 3, 24, 53 e 97 della Costituzione.

La determinazione forfettaria dell’imponibile, basata sul triplo della raccolta media provinciale, è una presunzione relativa (iuris tantum) che non esclude la prova contraria da parte del contribuente. Questo meccanismo garantisce le esigenze di difesa, la corrispondenza tra imposizione e capacità contributiva e l’imparzialità dell’azione amministrativa. La decisione ribadisce che chiunque operi nel mercato italiano delle scommesse deve sottostare alle sue regole fiscali, promuovendo un principio di equità tra tutti gli attori del settore.

Un operatore di scommesse estero, privo di concessione italiana, è tenuto a pagare l’imposta unica sulle scommesse in Italia?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che l’imposta è dovuta da chiunque gestisca la raccolta di scommesse sul territorio italiano, indipendentemente dal fatto che possieda o meno una concessione statale e a prescindere da dove sia situata la sua sede legale.

Il metodo di calcolo che determina la base imponibile come il triplo della media provinciale è costituzionalmente legittimo?
Sì. La Corte ha dichiarato la questione di legittimità manifestamente infondata. Tale metodo costituisce una presunzione legale relativa (iuris tantum), non assoluta. Ciò significa che il contribuente ha la possibilità di fornire prove contrarie per dimostrare un ammontare di raccolta effettivo inferiore, garantendo così il diritto alla difesa e il principio di capacità contributiva.

Il fatto che l’attività di raccolta scommesse sia stata considerata lecita dalla giurisprudenza penale esonera dal pagamento delle imposte?
No. La Corte ha chiarito che il riconoscimento della natura non illecita dell’attività sotto il profilo penale (spesso dovuto a discriminazioni subite in passato nell’accesso alle concessioni) non implica un’esenzione dall’obbligo tributario. La tassazione si fonda sul presupposto economico della raccolta del gioco in Italia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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