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Imposta unica scommesse: Cassazione conferma la tassa

Una società di scommesse estera ha contestato l’applicazione dell’imposta unica scommesse per l’attività di raccolta gioco svolta in Italia tramite centri affiliati. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che l’imposta è dovuta da chiunque operi sul territorio nazionale, anche senza concessione statale. La decisione si fonda su precedenti pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia UE, escludendo profili di discriminazione o violazione del diritto europeo.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Unica Scommesse: La Cassazione Conferma l’Obbligo per gli Operatori Esteri

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su una questione centrale nel settore del gioco: l’assoggettamento all’imposta unica scommesse per gli operatori esteri che raccolgono gioco in Italia senza una concessione statale. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di una società di betting, consolidando un orientamento ormai granitico che trova le sue radici nelle pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

I Fatti del Caso: Una Controversia Fiscale nel Settore del Gioco

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società di scommesse con sede legale all’estero, operante in Italia tramite una rete di Centri Trasmissione Dati (CTD). L’Amministrazione Finanziaria contestava il mancato versamento dell’imposta unica sulle scommesse per l’anno 2012. La società contribuente aveva impugnato l’atto, sostenendo diverse tesi difensive, tra cui la carenza del presupposto territoriale dell’imposta e la violazione dei principi comunitari di non discriminazione e libera prestazione dei servizi.

Dopo un esito parzialmente favorevole in primo grado, la Commissione Tributaria Regionale aveva riformato la decisione, dando piena ragione all’Agenzia Fiscale. La società ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidandosi a cinque motivi di impugnazione.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo integralmente. La decisione conferma che l’obbligazione tributaria relativa all’imposta unica scommesse sorge per il solo fatto di gestire e raccogliere scommesse sul territorio italiano, a prescindere dalla nazionalità dell’operatore, dalla sua sede legale e dal possesso di una concessione governativa italiana.

Le Motivazioni: L’imposta unica scommesse e il Diritto UE

Il nucleo della pronuncia risiede nell’analisi congiunta dei motivi di ricorso relativi alla soggettività passiva e ai presupposti applicativi del tributo. I giudici di legittimità hanno ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale, evidenziando come la questione sia già stata ampiamente definita sia a livello nazionale che europeo.

Il Principio di Territorialità

La Corte ha ribadito che il presupposto territoriale dell’imposta non è legato al luogo di conclusione formale del contratto di scommessa (che la società ricorrente collocava all’estero), ma al luogo dove avviene la prestazione del servizio, ovvero l’organizzazione e la raccolta del gioco. Questa attività, materialmente svolta in Italia tramite i CTD, costituisce il fatto imponibile che genera l’obbligo fiscale.

L’Assenza di Discriminazione secondo le Corti

Uno dei punti cardine della difesa della società era la presunta discriminazione rispetto agli operatori nazionali e la violazione dell’art. 56 TFUE (libera prestazione di servizi). La Cassazione ha smontato questa tesi richiamando la sentenza della Corte di Giustizia UE (causa C-788/18), la quale ha chiarito che la normativa italiana non è discriminatoria. L’imposta si applica indistintamente a tutti gli operatori che raccolgono scommesse in Italia. Inoltre, eventuali restrizioni sono giustificate da motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori, la prevenzione delle frodi e la lotta alla criminalità organizzata, obiettivi che ogni Stato membro ha il potere di perseguire.

Capacità Contributiva e Meccanismo di Rivalsa

La Corte ha anche affrontato la questione della solidarietà passiva tra il bookmaker e il CTD, richiamando la fondamentale sentenza n. 27/2018 della Corte Costituzionale. I giudici costituzionali avevano stabilito che l’equiparazione tra i due soggetti non è irragionevole, in quanto entrambi concorrono alla realizzazione del presupposto impositivo. Il principio di capacità contributiva è salvaguardato dalla possibilità, per il CTD, di trasferire il carico fiscale sul bookmaker attraverso la negoziazione delle commissioni (diritto di rivalsa). Per le annualità d’imposta dal 2011 in poi (come quella oggetto di causa), le parti avevano la possibilità di adeguare i loro accordi contrattuali alla luce di questo quadro normativo.

Conclusioni: Implicazioni per il Mercato delle Scommesse

L’ordinanza in esame consolida un principio chiave per il settore del gioco in Italia: la territorialità dell’imposta è legata al luogo di raccolta e non alla sede del bookmaker. Chiunque operi sul mercato italiano, anche se privo di concessione, è tenuto a contribuire al gettito fiscale. La decisione ribadisce la coerenza del sistema italiano con i principi dell’Unione Europea, bilanciando le libertà del mercato unico con le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e dei consumatori. Per gli operatori del settore, ciò significa che non è possibile eludere il fisco italiano basando la propria attività all’estero, se la raccolta delle scommesse avviene concretamente sul territorio nazionale.

Un operatore di scommesse estero, che raccoglie gioco in Italia senza concessione, è tenuto a pagare l’imposta unica sulle scommesse?
Sì. La Corte di Cassazione, richiamando precedenti sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia UE, ha confermato che l’imposta è dovuta da chiunque gestisca la raccolta di scommesse sul territorio italiano, indipendentemente dal possesso di una concessione statale o dal luogo in cui ha sede legale l’operatore.

L’applicazione dell’imposta unica sulle scommesse agli operatori esteri costituisce una discriminazione o una violazione del diritto dell’Unione Europea?
No. Secondo la Corte di Giustizia, la normativa italiana non è discriminatoria in quanto si applica a tutti gli operatori che raccolgono scommesse in Italia. Non viola la libera prestazione dei servizi, poiché è giustificata da motivi imperativi di interesse generale, come la tutela dei consumatori e la lotta alla criminalità.

Il meccanismo di solidarietà fiscale tra il centro di trasmissione dati (CTD) e il bookmaker estero è legittimo?
Sì. La Corte Costituzionale ha stabilito che l’equiparazione, ai fini fiscali, tra il gestore per conto terzi (CTD) e il gestore per conto proprio (bookmaker) non è irragionevole. Entrambi partecipano all’attività soggetta a imposta. Inoltre, la possibilità per il CTD di trasferire il carico tributario sul bookmaker tramite la regolazione delle commissioni (rivalsa) garantisce il rispetto del principio di capacità contributiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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