Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33838 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33838 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19748/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE MALTA LIMITED, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIASEZ.DIST. LATINA n. 865/2021 depositata il 12/02/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Dalla sentenza in epigrafe si evince che l ‘Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per il Lazio, in data 12 ottobre 2015, aveva notificato a RAGIONE_SOCIALE , che esercita la funzione di gestione di scommesse sul territorio europeo e nazionale, l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo all’anno 2010, in qualità di coobbligata in solido con il centro di trasmissione dati (CTD) COGNOME NOME. Con tale atto era stato chiesto il pagamento, a titolo di imposta unica sulle scommesse, per la suddetta annualità, della somma di € 26.713,99, oltre interessi per € 5.032,48 e sanzioni pari ad € 32.056,79.
La contribuente proponeva impugnazione nanti alla CTP di Latina, deducendo, ‘ -in via preliminare, la nullità dell’avviso, in quanto emesso nei confronti di Stanleybet, per mancata traduzione e notifica dello stesso in lingua inglese; – l’insussistenza dei presupposti soggettivi e territoriali di applicazione del tributo, nonché la contrarietà delle norme nazionali, poste alla base dell’Imposta Unica, al diritto dell’Unione e al diritto costituzionale; la non applicabilità delle sanzioni irrogate dall’Ufficio, in ragione del ricorrere di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni violate’.
La CTP, con sentenza n. 642/2018, respingeva il ricorso.
La contribuente proponeva appello.
Nella resistenza di ADM, la CTR del Lazio, che, ad avviso della contribuente ‘ha illegittimamente celebrato l’udienza nelle
forme di cui all’art 27 DL 137/2020, nonostante Parte ricorrente nel ricorso in appello formulato richiesta di trattazione in pubblica udienza, con evidente lesione del diritto di difesa costituzionalmente garantito’ (così p. 19 ric.), con la sentenza in epigrafe, lo respingeva.
La contribuente propone ricorso per cassazione con sei motivi. Resiste ADM con articolato controricorso.
Considerato che:
1. Il ricorso propone i seguenti letterali
MOTIVI IN VIA PREGIUDIZIALE
Questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 DL 137/2020 in relazione agli art. 3, 24 e 111 Cost, art. 35 D.Lgs. 546/92, anche con riferimento all’art. 6 della CEDU e all’art. 117 Cost.
Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 56 ss. TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento all’art. 3 del d.lgs. n. 504/98, come interpretato dall’art. 1, commi 64 e 66, della legge di stabilità 2011, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) cpc.
Proposta o sollevazione d’ufficio di rinvio di interpretazione pregiudiziale ex art. 267, terzo comma, TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e/o rinvio interpretativo alla grande sezione ex art. 104, terzo comma, del reg. proc. della Corte di Giustizia, in combinato disposto con l’art. 158 del predetto regolamento, e dell’art. 16 dello statuto della Corte di Giustizia, per l’interpretazione degli artt. 56, 57 e 52 del TFUE.
2. Dopo ampia analisi di detti motivi, il ricorso deduce:
IN INDIRIZZO
Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, l. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., in merito all’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di Stanleybet per mancata traduzione dell’atto impositivo in lingua inglese.
3. Ulteriormente, il ricorso deduce:
NEL MERITO
Primo motivo: nullità della sentenza – errore in procedendo omessa pronuncia in violazione e falsa applicazione dell’art. 3 d.lgs. n. 504/1998, come interpretato dall’art. 1 comma 66 l. n. 220/2010 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 27/2018, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c.
Secondo motivo: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. 504/1998, come interpretato dall’art. 1, comma 66, lett. b), della l. 220/2010, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3) c.p.c., in merito al presupposto soggettivo dell’imposta.
Terzo motivo: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, lett. b), l. 288/1998 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1, n. 3) c.p.c., in merito al presupposto territoriale dell’imposta.
Quarto motivo: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE, e dei principi del diritto dell’unione di parità di trattamento e non discriminazione, nonché del principio di legittimo affidamento con riferimento all’art. 1, comma 66, della legge di stabilità 2011 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1, n. 3).
Quinto motivo: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 401 della direttiva 2006/112/ce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c.
Sesto motivo: violazione degli artt. 8 del d.lgs. 546/1992, 5, comma 1 e 6, comma 2, l. 472/1997 e 10, comma 4, l. 212/2000, in relazione all’art. 360 co. 1, n. 3) c.p.c. per non avere la Commissione Tributaria Regionale applicato l’esimente dell’obiettiva condizione d’incertezza.
In una prospettiva di graduazione logico -giuridica delle questioni sottese ai motivi, verrà data priorità, nell’ordine, al primo motivo pregiudiziale (relativo alla ‘questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 DL 137/2020’) ed al motivo preliminare (relativo all’omessa traduzione dell’avviso), per poi passare ad esaminare unitariamente tutti gli altri motivi (pregiudiziali e di merito), siccome suscettivi di trattazione congiunta per la sovrapponibilità e comunque l’intima correlazione delle censure.
In riferimento al primo motivo pregiudiziale, argomenta, in particolare, la contribuente che ‘occorre rilevare la manifesta
violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost., del contraddittorio ex art. 111 Cost., nonché dell’art. 6 CEDU per avere la Commissione deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 27 del DL 137 2020, nonostante Parte ricorrente nel ricorso in appello ha formulato esplicita richiesta di trattazione in pubblica udienza. Più segnatamente, con avviso di trattazione del 29.09.2020 la Commissione Regionale Tributaria comunicava la trattazione della causa alla pubblica udienza del 05.11.2020. Tuttavia, in data 03.11.2021 , appena due giorni prima dalla data fissata per la trattazione orale, la CTR con ordinanza disponeva inopinatamente che ”udienza si terrà in camera di consiglio ai sensi dell’art. 27 D.L. 137/2020 senza la presenza dei difensori’. Risulta evidente che il ‘modus operandi’ della Commissione Tributaria e la conseguente decisione adottata si pongono in netta violazione dei principi posti a tutela del diritto di difesa sanciti a livello interno ed eurounitario. Pertanto, in questa sede ed in via assolutamente pregiudiziale, Parte ricorrente solleva questione di legittimità Costituzionale dell’art. 27 DL 137/2020 con riferimento agli art. 3, 24 e 111 Cost, art. 35 D.Lgs. 546/92 e all’art. 6 della CEDU, questione che può essere eccepita dalle parti in causa ovvero rilevata d’ufficio dal Giudice in ogni stato e grado del processo, senza peraltro essere subordinata alla deduzione di uno specifico motivo di ricorso, trattandosi di incompatibilità Costituzionale e Convenzionale di una norma -nel caso di specie del citato art. 27 DL 137/2020′. L’art. 27 d.l. n. 137 del 2020 ‘introduce una deroga ai principi cardine del nostro ordinamento nazionale, oltre che ai principi sanciti a livello europeo. Invero, la suindicata disposizione rappresenta una palese violazione del diritto di difesa e del precetto del ‘giusto processo’ di
impronta costituzionale’. ‘L’assenza di contraddittorio orale comporta una violazione dei diritti costituzionali posti a garanzia della difesa. Tale tutela risulta fortemente elusa soprattutto nell’ambito del processo tributario che -si svolge in unica udienza, -non ammette la prova testimoniale, -non svolge fase istruttoria (eccetto rari casi in cui vengono nominati CTU)’. ‘Nell’ordinanza n. 2539 del 21 aprile 2020’, in riferimento all’art. 84 d.l. n. 18 del 2020, ‘una interpretazione conforme alla Costituzione attraverso un’azione ermeneutica ed in particolare ha ritenuto che in casi di giudizi particolarmente complessi, laddove una delle parti presenti istanza di rinvio per discussione orale, tale richiesta deve essere accolta, laddove il rinvio operi in un termine ragionevole, realizzando così il giusto contemperamento degli interessi delle parti e la salvaguardia del diritto alla difesa’.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Trova applicazione l’art. 27, d.l. 28 ottobre 2020 n. 137 (recante ‘Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid -19’), convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020 n. 176, secondo cui, ‘fino alla cessazione degli effetti della dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da Covid -19, ove sussistano divieti, limiti, impossibilità di circolazione su tutto o parte del territorio nazionale conseguenti al predetto stato di emergenza ovvero altre situazioni di pericolo per l’incolumità pubblica o dei soggetti a vario titolo interessati nel processo tributario, lo svolgimento delle udienze pubbliche e camerali e delle camere di consiglio con collegamento da remoto è autorizzato, secondo la rispettiva competenza, con decreto motivato del presidente della Commissione tributaria provinciale o regionale da comunicarsi almeno cinque giorni prima
della data fissata per un’udienza pubblica o una camera di consiglio ‘ (comma 1). Il successivo comma 2 stabilisce che, ‘in alternativa alla discussione con collegamento da remoto, le controversie fissate per la trattazione in udienza pubblica, passano in decisione sulla base degli atti, salvo che almeno una delle parti non insista per la discussione, con apposita istanza da notificare alle altre parti costituite e da depositare almeno due giorni liberi anteriori alla data fissata per la trattazione. I difensori sono comunque considerati presenti a tutti gli effetti. Nel caso in cui sia chiesta la discussione e non sia possibile procedere mediante collegamento da remoto, si procede mediante trattazione scritta, con fissazione di un termine non inferiore a dieci giorni prima dell’udienza per deposito di memorie conclusionali e di cinque giorni prima dell’udienza per memorie di replica. Nel caso in cui non sia possibile garantire il rispetto dei termini di cui al periodo precedente, la controversia è rinviata a nuovo ruolo con possibilità di prevedere la trattazione scritta nel rispetto dei medesimi termini. In caso di trattazione scritta le parti sono considerate presenti e i provvedimenti si intendono comunque assunti presso la sede dell’ufficio’.
La contribuente non allega avere, una volta ricevuto, pur solo ‘in data 03.11.202, appena due giorni prima dalla data fissata per la trattazione orale’, l’avviso secondo cui ”udienza si terrà in camera di consiglio ai sensi dell’art. 27 D.L. 137/2020 senza la presenza dei difensori’, formulato istanza per insistere nella discussione previo rinvio dell’udienza onde assicurarsi la possibilità del rispetto del termine per il deposito di ‘almeno due giorni liberi anteriori alla data fissata per la trattazione’ ai sensi del comma 2 del predetto art. 27.
Conseguentemente, la ricorrente, avendo omesso di attivare il meccanismo legislativo finalizzato ad assicurare il contraddittorio, non ha interesse a proporre questione di legittimità costituzionale, oltretutto in termini assolutamente generici, senza indicazione di alcun pregiudizio effettivamente sofferto, delle previsioni che proprio quel meccanismo prevede onde dare attuazione agli att. 24 e 111 Cost. ed ossequiare l’art. 6 Conv. EDU in guise compatibili con l’emergenza pandemica.
In riferimento al motivo preliminare, eccepisce la contribuente la mancata traduzione in inglese dell’avviso.
6.1. Il motivo è infondato.
Sulla premessa che nessuna disposizione prevede la traduzione degli atti amministrativi in ambito tributario, giacché il regolamento CE n. 1393 del 2007, il cui art. 4 si occupa della ‘traduzione dell’atto’ da notificarsi o comunicarsi in diverso Stato membro dell’Unione europea, ‘non concerne la materia fiscale’ (art. 1, par. 1), il motivo, al fine di dimostrare la sussistenza della solo astrattamente affermata violazione del principio generale di cui all’art. 7 St. contr., non allega avere la contribuente chiesto all’Amministrazione emittente la traduzione dell’atto, unico diritto che ‘in limine’ le sarebbe derivato da detto regolamento con conseguente proroga del termine per impugnare, proponendo invece in termini valida impugnazione. D’altronde -valga aggiungere – la tempestiva e valida impugnazione è coerente con la circostanza che la contribuente da tempo è operativa in Italia: ciò che necessariamente presuppone che la medesima – e per essa (se direttamente non i suoi organi amministrativi, quantomeno) i suoi responsabili territoriali) – abbiano conoscenza della lingua italiana. A fronte di ciò, il motivo, sul presupposto che la contribuente ‘non ha né sede legale né domicilio fiscale in Italia’, si
limita ad opporre che ‘nei confronti di un soggetto straniero, l’Ufficio deve obbligatoriamente provvedere alla traduzione e alla notifica dell’atto impositivo nella lingua del destinatario, così da consentire a quest’ultimo una piena ed effettiva conoscenza e, conseguentemente, garantire efficacemente il diritto di difesa’: trattasi, all’evidenza, di un’affermazione meramente astratta, siccome del tutto mancante dell’allegazione e dimostrazione di alcun concreto pregiudizio realmente patito, tanto più in ragione dell’avere invece la contribuente ritualmente conferito i poteri di rappresentanza in giudizio a difensori operanti in Italia, i quali altrettanto ritualmente, come detto, hanno radicato il giudizio che ne occupa, in guisa da trovare positiva dimostrazione l’effettivo e pieno esercizio, da parte della medesima, del diritto di difesa.
Come anticipato, gli ulteriori motivi possono essere tutti, per comunanza di censure, trattati congiuntamente.
Essi, ad eccezione del sesto (sulle sanzioni), sono infondati per le ragioni che subito in appresso si passerà ad illustrare, dovendosi tuttavia preliminarmente evidenziare, per la loro portata potenzialmente decisiva,
-in riferimento al primo, che nessuna ‘omessa pronuncia’ il relativo sviluppo argomentativo è, finanche graficamente, volto a denunciare, atteso che, dopo i riferimenti a C. cost. n. 27 del 2018 ed all’art. 1, co. 66, lett. b), l. n. 220 del 2010, si limita a scrivere: ‘È evidente che l’Agenzia, ritenendo SBM responsabile per il pagamento dell’imposta unica, tenta surrettiziamente di modificare i presupposti soggettivi della pretesa impositiva. Ne consegue che la sentenza, affermando la responsabilità per il pagamento dell’imposta, in via principale, di SBM, di fatto, modifica, con riferimento al presupposto soggettivo, la pretesa impositiva contenuta nell’avviso di accertamento. Il ‘decisum’ sul punto del
Giudice di secondo grado è, pertanto, manifestamente infondato ‘, indi, qualche riga oltre, così conclude: ‘La pretesa deve essere, dunque, valutata alla luce dei contenuti riportati nell’atto, non essendo, occorre ribadire, suscettibile di successive modificazioni (Cass., 4 marzo 2016, n. 4327). Alla luce di tali chiarissimi principi è evidente che l’assunto sostenuto dall’Agenzia e dalla CTP, ove modifica il presupposto soggettivo dell’imposta, affermando, in maniera inedita, la soggettività di SBM quale obbligato principale, è manifestamente infondato’;
-in riferimento al quarto, che del pari non sussiste affatto il denunciato vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., avendo invece la CTR reso una pronuncia finanche esplicita sulla questione dei pretesi effetti discriminatori, in danno della contribuente, della disciplina italiana, semplicemente escludendoli (scrive infatti chiarissimamente la CTR: ‘ Ad avviso del Col1egio, la condizione della società non è minimamente discriminata da tale norma, atteso che, a seguito della sua applicazione, la stessa finisce semplicemente con l’essere sottoposta alla medesima disciplina delle altre imprese operanti in Italia. In altri termini. la circostanza di aver stabilito all’estero la propria sede legale e di non essere munita di un titolo concessorio per la gestione delle scommesse non esclude la società dagli obblighi fiscali ai quali sono assoggettati tutti gli altri operatori del settore. La discriminazione, invero, si realizzerebbe proprio ove fosse consentita tale esclusione; infatti1 gli altri operatori dovrebbero scontare, nel corso della propria attività imprenditoriale, una imposizione fiscale che non toccherebbe invece un altro operatore’; ancora qualche pagina oltre: ‘Il Collegio non ravvisa gli estremi di un caso di discriminazione fiscale, che pregiudica nei confronti di Stanleybet e del CTD, la libertà di
prestazione dei servizi riconosciuta dagli arti. 56 segg. TFUE. Infatti, la disposizione normativa nazionale che assoggetta ad imposta l’attività di raccolta e gestione delle scommesse effettuate nel territorio nazionale, lungi dal costituire una norma discriminatoria, costituisce espressione della regola generale dell’ordinamento italiano per cui i fatti che siano manifestazione di ricchezza debbano essere sottoposti ad imposizione fiscale’).
Detto ciò, può procedersi ‘funditus’ all’analisi di tutti i restanti motivi, fermo restando che al sesto (ed ultimo) sarà riservata ‘in fine’ una disamina a parte.
Le questioni in essi agitate sono già state oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Suprema Corte, a partire dalla fondamentale sentenza n. 8757 del 2021, pedissequamente seguita da numerose altre pronunce (cfr., tra le tante, Cass. n. 26203 del 2021, con ampio riferimento ai precedenti), le cui motivazioni sono qui da intendersi espressamente richiamate e condivise ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.
10.1. In via di premessa, v’è da rilevare che il quadro normativo di riferimento è già stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e con il diritto unionale prospettate negli odierni ricorso e controricorso.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2018, rispetto all’ambito soggettivo dell’imposta, ha dato atto dell’incertezza correlata all’art. 3 D.Lgs. n. 504 del 1998 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa di cui all’art. 1, co. 66, lett. b), l. n. 220 del 2010, nel senso che era incerto se la pretesa impositiva potesse rivolgersi anche nei confronti dei soggetti che
operavano al di fuori del sistema concessorio; ma, in generale, ha riconosciuto avere il legislatore, con la suddetta disposizione interpretativa, stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio ed ha esplicitato la configurabilità dell’obbligo, anche nel caso (come quello in esame) di ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione, del versamento del tributo e delle eventuali relative sanzioni, svolgendo anche esse, unitamente ai bookmakers, un’attività gestoria, che costituisce il presupposto dell’imposizione.
A questo riguardo, la Corte costituzionale ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole. L’attività consiste, infatti, nella raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale.
Ciò che viene in conto è che, secondo la Corte costituzionale, entrambi i soggetti partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse, soggetta ad imposizione. In particolare, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, occupandosi altresì della trasmissione al bookmaker della scommessa, dell’incasso e delle somme giocate, nonché, e decisivamente, del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal medesimo.
10.2. Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti da nesso di solidarietà per conseguenza paritetica e non dipendente – non dubita la giurisprudenza civile di questa Corte (cfr. Cass. n. 15731 del 2015), la quale insegna che il rapporto tra bookmaker e ricevitore sfugge allo schema della solidarietà dipendente perché questo ricorre, invece, quando uno dei coobbligati, pur non avendo di per sé realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con lo stesso o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (cfr. da ultimo Cass. n. 26489 del 2020).
In definitiva, nel rapporto tra bookmaker e ricevitore, la solidarietà è paritetica perché entrambi, come detto, partecipano all’attività di esercizio delle scommesse.
10.3. Né -riprendendo nuovamente la Corte costituzionale -viola il principio della capacità contributiva la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi ed il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria è in grado di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera, assolvendo la possibile rivalsa funzione applicativa del principio di capacità contributiva.
10.4. In forza di tale articolato percorso, la Corte costituzionale ha bensì dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 D.Lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. b), l. n. 220 del 2010, ma nella sola parte in cui essi prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie, e solo
queste, operanti per conto di soggetti privi di concessione, in quanto, relativamente a tali annualità, resta definitivamente preclusa la possibilità, per la già cristallizzata determinazione dell’entità delle commissioni tra ricevitorie e bookmakers, di procedere alla traslazione dell’imposta. Per tali annualità, dunque, non rispondono le ricevitorie ma solamente i bookmakers, con o senza concessione, in base al combinato disposto dell’art. 3 D.Lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. a), l. n. 220 del 2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale.
La suddetta ragione di incostituzionalità non è stata invece ravvisata per i “rapporti successivi al 2011”: quindi, non solo per i rapporti negoziali perfezionatisi dopo l’entrata in vigore della novella del 2010, ma anche per i rapporti che, seppur sorti antecedentemente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima. In entrambi i casi, invero, la novella costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti: sia in caso di rapporti sorti successivamente che in caso di rapporti già sorti e destinati a protrarsi, potendo comunque le parti, in relazione a questi secondi, alla luce (e tenendo conto proprio) della scelta normativa di esplicitare l’assoggettamento a tributo anche dei titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale la singola ricevitoria opera. La solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati nel tempo, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della l. n.
220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità ed adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto. In buona sostanza, ai fini della costituzionalità del combinato disposto dell’art. 3 D.Lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, in riferimento così ai rapporti sorti dopo l’entrata in vigore di quest’ultimo come a quelli sorti prima ma destinati a protrarsi oltre, è sufficiente la possibilità in sé della negoziazione della traslazione dell’imposta, irrilevante essendo il concreto esito di detta negoziazione, segnatamente nel segno dell’effettiva traslazione.
In ragione di quanto innanzi, il bookmaker, già prima della disposizione di interpretazione autentica, era soggetto obbligato al versamento dell’imposta; la circostanza che, per le annualità ‘ante’ 2011, sia l’unico obbligato costituisce una mera conseguenza dell’inconfigurabilità, per effetto della citata sentenza della Corte costituzionale, dell’obbligazione del CTD in relazione a tali annualità: ciò fermo restando, invece, che anche il CTD, oltre al bookmaker, è obbligato per le annualità successive.
10.5. Va rilevato, inoltre, ai fini della territorialità dell’imposizione, negata dalla contribuente, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa, poiché il fatto imponibile non è tale evento, bensì la pura e semplice prestazione di servizi consistenti nell’organizzazione del gioco e nella raccolta delle scommesse, ossia, in breve, nella ‘gestione’ di queste. Trattasi di attività che coinvolgono in via immediata e diretta, non solo il bookmaker, ma altresì il ricevitore in Italia, consistendo, in relazione a ciascun scommettitore, nella predisposizione di un apparato idoneo ad assicurare la valida registrazione della scommessa e di poi l’eventuale pagamento della vincita. In effetti, non è un caso che la scommessa sia documentata unicamente dalla
ricevuta fisicamente rilasciata all’utente dalla ricevitoria (così Cass. n. 15731 del 2015, cit.), ricevuta che sola costituisce il titolo legittimante alla riscossione dell’eventuale vincita (così Cass. n. 8757 del 2021, cit.). Tali attività, dunque, sono svolte tutte in Italia, per il tramite dell’indispensabile intervento materiale della ricevitoria: per l’effetto, sono suscettive di fondare l’esercizio della potestà impositiva dello Stato italiano.
10.6. Quanto alle prospettate, medesimamente dalla contribuente, frizioni con il diritto unionale, premesso che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata, sicché rileva l’art. 56 del TFUE, la Corte di giustizia, nella sentenza 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle medesime questioni oggetto del presente giudizio ed ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che ‘gestiscono’ scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”.
In particolare, a ‘gestire’ le scommesse è non solo il bookmaker, pur privo di concessione, ma anche la ricevitoria. Scrive con chiarezza la Corte di giustizia che, ‘per quanto riguarda la Stanleyparma , essa esercita, in qualità di intermediario della Stanleybet Malta e in cambio di una remunerazione, un’attività di offerta e di raccolta di scommesse’ (punto 25) e pertanto ‘esercita’, ‘allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali, un’attività di gestione di
scommesse, la quale costituisce una condizione necessaria ai fini dell’assoggettamento all’imposta unica. Per tale ragione, in forza dell’articolo 1, comma 66, lettera b), della legge di stabilità 2011, la Stanleyparma è soggetta, in solido con la Stanleybet Malta, al pagamento di tale imposta’ (punto 26).
Le superiori considerazioni votano dunque alla manifesta infondatezza le richieste di disapplicazione del diritto interno e in subordine di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Dette richieste trovano precisa ed esauriente risposta in entrambe le sentenze della Corte costituzionale e della Corte di giustizia -oggetto, in specie quest’ultima, di non condivisibile critica per asserito contrasto con la stessa giurisprudenza unionale -le quali si compenetrano e completano vicendevolmente, a descrivere un solido quadro unitario, in perfetta linea di coerenza con i principi dei due ordinamenti: ragion per cui v’è spazio neppure per alcun ulteriore dubbio di legittimità costituzionale sull’assetto disciplinare interno siccome già conformato proprio dall’intervento parzialmente correttivo della Corte costituzionale.
10.7. Fermo quanto precede, deve aggiungersi che, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale (perciò, a differenza di quanto dedotto in ricorso, ‘funditus’ ossequiata dalla sentenza della Corte di giustizia), gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione
implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (cfr., per tutte, Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C -440/12, RAGIONE_SOCIALE, punto 47).
Il legislatore nazionale ha proceduto a tale valutazione, dichiarando, nell’art. 1, comma 64, l. n. 220 del 2010, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco’, in uno al recupero di ‘base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”.
La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta -come rilevato da Corte giust., 26 febbraio 2020, punto 23 -che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale.
10.8. In ragione di ciò, come detto, la Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri: anzi -come sottolineato dalla Corte costituzionale nella più volte evocata sentenza n. 27 del 2018 -ad opinare diversamente si giungerebbe ad un’inammissibile discriminazione ‘a contrario’; la scelta legislativa, invero, “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione”.
Ed ancora, in linea con quanto detto, Corte giust., 26 febbraio 2020, ai punti 17, 26 e 28, in un coerente sviluppo logico, esclude alcun effetto discriminatorio della normativa italiana. Al punto 17, in relazione al bookmaker, stabilisce in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro; ma, al punto 24, specifica, in concreto, che, “la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”; sicché, conclude, “rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”. Quanto poi al CTD, il punto 26 ribadisce che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il CTD che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b), l. n. 220 del 2010; ma ciò non toglie – punto 28 – che la situazione del CTD che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del CTD che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro.
La diversità della situazione è ‘in re ipsa’, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “… un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo
scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti”; e ciò in conformità agli obiettivi, di cui innanzi, esplicitamente perseguiti dal legislatore italiano, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata da Corte giust., 26 febbraio 2020, punto 18). Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del CTD, di qualsiasi restrizione discriminatoria.
10.9. Rispetto al quadro sin qui delineato, valga esplicitare che non sussiste alcuna violazione del principio dell’affidamento in riferimento ad una paventata portata innovativa della disposizione interpretativa del 2010. In riferimento alla posizione delle sole ricevitorie, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, si è già espressa nel senso dell’incostituzionalità, relativamente, però, come ricordato, alle sole annualità antecedenti alla sua entrata in vigore. Quanto invece alla distinta posizione del bookmaker, la medesima Corte non ha minimamente posto in discussione il fatto che questi, pur privo di concessione ma presente in Italia per il tramite della propria rete di ricevitorie, dovesse essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica già prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa. Essa ha infatti affermato che, anche alla luce della disciplina previgente, soggetto passivo dell’imposta era chi svolgeva l’attività di gestione delle scommesse, irrilevante essendo che lo stesso fosse privo di concessione: sicché, sia per le annualità ‘post’ che per le annualità ‘ante’ 2011, sussiste sempre la responsabilità tributaria del bookmaker che, mediante un proprio intermediario, svolge in Italia attività di gestione delle scommesse in assenza di titolo amministrativo.
Tutto ciò esclude un legittimo affidamento, che, rispetto al bookmaker, nell’impianto della sentenza della Corte costituzionale, non si configura in radice.
10.10. Per completezza, vale la pena di aggiungere che, alla luce dei ricordati insegnamenti sia della Corte costituzionale che della Corte di giustizia, è da escludersi che l’art. 1, comma 66, lett. b), l. n. 220 del 2010 abbia natura anche solo ‘lato sensu’ sanzionatoria: la Corte costituzionale ne ha sancito (in riferimento, segnatamente, alla posizione del bookmaker) la natura interpretativa e la Corte di giustizia ne ha confermato la legittimità unionale. Oggetto dell’esercizio da parte dello Stato è la pretesa impositiva, non già quella sanzionatoria.
10.11. Sotto altro ma collegato profilo, neppure rileva la riconosciuta, in specie dalle Sezioni Penali di questa medesima Suprema Corte, ‘peculiare posizione’ (su cui insiste il ricorso) della contribuente e delle ricevitorie legate al gruppo Stanleybet in funzione della discriminazione subita nell’accesso al sistema concessorio.
Invero, il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dalla contribuente non implica affatto la sottrazione della stessa dall’ambito della disciplina dell’imposta unica; anzi, tutt’al contrario, postula proprio la realizzazione del presupposto d’imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nell’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, che, come visto, ha disposto che “ai soli fini tributari: a) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze Amministrazione autonoma dei
monopoli di Stato; b) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanzeAmministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”.
10.12. L’applicabilità in sé e per sé delle suddette previsioni esclude poi che possa porsi una questione di violazione dei principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento basata, segnatamente, sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta.
A parte il rilievo che la contribuente non individua alcun pregiudizio concretamente subito, quel che rileva, come detto, è il fatto in sé che essa, per il tramite della ricevitoria, ha realizzato in Italia l’attività di gestione delle scommesse, sicché, per il proprio ambito, ha pienamente integrato il presupposto d’imposta: sotto tale profilo, va fatto richiamo alla sentenza della Corte di giustizia, che ha escluso ogni violazione dei suddetti principi unionali (punti 28, 29 e 30, che testualmente recitano: ‘ differenza dei CTD che trasmettono i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali, la RAGIONE_SOCIALE raccoglie scommesse per conto della Stanleybet RAGIONE_SOCIALE, che ha sede in un altro Stato membro. Essa non si trova quindi, alla luce degli obiettivi della legge di stabilità 2011, in una situazione analoga a quella degli operatori nazionali. Di conseguenza, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non comporta alcuna restrizione
discriminatoria nei confronti della Stanleybet Malta e della Stanleyparma e non pregiudica, per quanto le riguarda, la libera prestazione dei servizi. Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che l’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i CTD stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro, indipendentemente dall’ubicazione della sede di tali operatori e dall’assenza di concessione per l’organizzazione delle scommesse’).
10.13. Da ultimo, le superiori considerazioni altresì votano alla manifesta infondatezza la tesi della contribuente imperniata sull’assunto dell’assimilabilità dell’imposta unica ad un’imposta sulla cifra d’affari. Invero detto assunto è erroneo, atteso che, come già rammentato da questa Suprema Corte (Cass. n. 27260 del 2023, cit.), il tributo che qui rileva è differente da una imposta sulla cifra di affari per plurime ragioni: riguarda unicamente operazioni relative all’esercizio delle scommesse, irrilevanti a fini IVA; non tiene conto del valore aggiunto di ciascuna, difettando nel sistema il meccanismo della detrazione I.V.A. e applicandosi il tributo all’importo scommesso; è calcolato senza alcun riconoscimento di deduzione degli acquisti di beni e servizi inerenti effettuati nel periodo in cui sono poste in essere le operazioni di scommessa. Effetto del tutto risolutivo e dirimente peraltro ha, sul punto, il chiaro ‘dictum’ del Giudice unionale (CGUE, sent. n. 24 ottobre 2013 in causa n. C -440/2012, Metropol Spielstatten Unternehmergesellschaft(haftungsbeschrankt) secondo il quale ‘in forza dell’art. 401 della direttiva IVA «le disposizioni di (tale) direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte (…) sui giochi e sulle scommesse, (…) e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari (…)». La formulazione di
tale articolo non osta, pertanto, a che gli Stati membri assoggettino un’operazione all’IVA, nonché, in modo cumulativo, a un tributo speciale non avente il carattere d’imposta sul volume d’affari (v., in tal senso, la sentenza dell’8 luglio 1986, K., 73/85, Racc. pag. 2219, punto 22)’. Secondo siffatta pronuncia, quindi, l’art. 401 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con l’art. 135, paragrafo 1, lett. i) della stessa, deve essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e un tributo speciale nazionale sui giochi d’azzardo possono essere riscossi in modo cumulativo, a condizione che siffatto ultimo tributo non abbia il carattere di un’imposta sul volume d’affari; inoltre, sempre secondo tale sentenza, l’art. 1, paragrafo 2, prima frase, e l’art. 73 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una disposizione o a una prassi nazionale secondo cui, per la gestione di apparecchi per giochi d’azzardo con possibilità di vincita, l’importo dei proventi di cassa di tali apparecchi dopo che è trascorso un determinato periodo di tempo viene considerato come base imponibile (le suesposte considerazioni consentono, altresì, di disattendere, all’evidenza, la richiesta di rinvio pregiudiziale pure avanzata, in proposito, dalla ricorrente).
Ne consegue che , essendo del tutto decentrata la premessa dell’assimilabilità dell’imposta unica ad un’imposta sulla cifra d’affari, anche le richieste di disapplicazione del diritto interno e in subordine di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per contrarietà con l’art. 401 della direttiva 2006/112/CE non trovano minimamente ragion d’essere e, pertanto, non possono essere accolte.
Fermo tutto quanto innanzi, il sesto motivo, invece, è fondato nei limiti di cui alla motivazione in appresso.
11.1. Come ancora recentemente rilevato, tra le altre, da Cass. n. 10759 del 2024, in motivazione, in fattispecie identica a quella che ne occupa,
secondo la giurisprudenza di questa Corte «l’incertezza normativa oggettiva tributaria è caratterizzata dall’impossibilità d’individuare con
sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall’amministrazione), come emerge dal d.lgs. n. 472 del 1997, art. 6, che distingue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effetti. Peraltro, il fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva può essere desunto dal giudice attraverso la rilevazione di una serie di “fatti indice”, quali ad esempio: 1) la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente». (Cass. 17 maggio 2017, n. 12301; Cass. 13 giugno 2018, n. 15452, Cass. 9 dicembre 2019, n. 32082).
Proprio con riferimento al caso di specie, questa Corte, in applicazione dei principi suesposti, ha affermato che «In tema di sanzioni amministrative, fino alla data di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, la quale ha interpretato l’art. 3, d.lgs. n. 504 del 1998 prevedendo che soggetto passivo dell’imposta unica sulle scommesse è anche chi svolge l’attività di gestione delle stesse pur se privo di concessione, esisteva una condizione di obiettiva incertezza normativa, rilevante ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione (cfr. Cass., 12 aprile 2021, n. 9531).
Più in particolare, questa Corte, con motivazione che si condivide, ha affermato che «La sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 23 gennaio 2018, nel ricostruire l’ambito applicativo dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1988, come interpretato autenticamente dall’art. 1, comma 66, l. n. 220 del
2010, ha bensì affermato che, anche alla luce della disciplina previgente, soggetto passivo dell’imposta è anche chi svolge l’attività di gestione delle scommesse anche se privo di concessione, con conseguente responsabilità del bookmaker estero che, mediante un proprio intermediario, svolga l’attività di gestione delle scommesse pur se privo di concessione. La stessa sentenza ha tuttavia anche evidenziato che ‘il tenore letterale della disposizione consentiva anche una diversa interpretazione, nel senso che, attraverso il richiamo contenuto nell’art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1998 al rispetto della concessione e della licenza di pubblica sicurezza, essa contemplasse i soli soggetti operanti nel sistema concessorio (ad esclusione perciò dei bookmaker con sede all’estero, sforniti di titolo concessorio in Italia, e della rete delle ricevitorie di cui essi si avvalgono nel territorio italiano)’ (punto 4.1.), dando poi atto del fatto che ‘con la disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220 del 2010, il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di senso della disposizione interpretata’ e che la stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato aveva espressamente riconosciuto che la normativa in esame si prestava alla considerazione di incertezza applicativa (punto 4.1.). In sostanza, la Corte costituzionale ha riconosciuto che la previsione contenuta nell’art. 3, d.lgs. n. 504/1998, si prestava ad un duplice opzione interpretativa in ordine alla sussistenza o meno della individuazione della soggettività passiva del bookmaker estero che, mediante una ricevitoria operante nel territorio nazionale, avesse svolta l’attività di gestione delle scommesse senza concessione e che la disposizione interpretativa del 2010 è intervenuta al fine di esplicitare il contenuto della incerta previsione, orientando la scelta interpretativa nel senso della sussistenza della soggettività passiva. La fattispecie, dunque, deve essere collocata nell’ambito della previsione di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, sussistendo, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione» (Cass., 21 settembre 2021, n. 25450, in motivazione).
11.2. Nella specie, viene in rilievo l’a.i. 2010.
Talché sussiste la dedotta condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia mediante propri intermediari senza concessione.
Per le ragioni di cui sopra, va accolto il sesto motivo, mentre vanno rigettati tutti gli altri motivi; la sentenza impugnata va cassata in relazione e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendosi nel merito, va accolto il ricorso introduttivo della lite in relazione all’irrogazione delle sanzioni.
L’esito del giudizio, tenuto altresì conto dell’evoluzione della giurisprudenza, giustifica, ad avviso del Collegio, la compensazione delle spese di lite in riferimento a tutti i gradi di giudizio .
P.Q.M.
Accoglie il sesto motivo di ricorso, rigettati tutti gli altri; per l’effetto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della lite limitatamente alle sanzioni.
Compensa fra le parti le spese di lite in riferimento a tutti i gradi di giudizio.
Così deciso a Roma, lì 3 dicembre 2024.