Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16863 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16863 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8974/2017 R.G. proposto da : CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE e dall’ Avv. NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE SESTO SAN GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sede di MILANO n. 5112/2016 depositata il 05/10/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE quale concessionaria del Comune di Sesto San Giovanni per l’accertamento e la riscossione della imposta sulle pubblicità e le pubbliche affissioni, ha emesso e notificato all’odierno ricorrente gli avvisi di accertamento n. 016742.A (rgr n. 9360/13) e n. 016743.A (rgr n. 9361/13), rispettivamente per gli anni d’imposta 2012 e 2013, per il mancato assolvimento dell’imposta in relazione ad una serie di mezzi pubblicitari esposti in vari punti del centro commerciale denominato “Centro Sarca”.
Tali atti sono stati impugnati dal Consorzio presso la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, eccependo il difetto di legittimatio ad processum della Dogre, nonché la mancanza dei presupposti d’imposta, sia sotto il profilo soggettivo sia sotto il profilo oggettivo; nonché il difetto di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, riuniti i ricorsi ha respinto integralmente le eccezioni del consorzio e confermato gli atti impugnati, con sentenza n.2397/03/2015.
Il RAGIONE_SOCIALE ha interposto appello, chiedendo la riforma della sentenza emessa ·dalla CTP di Milano, riproponendo, in sostanza, le eccezioni svolte in primo grado. Si sono costituiti anche il Comune di Sesto San Giovanni e la Dogre.
La Commissione Tributaria Regionale di Milano, con la sentenza n. 5112/16, ha respinto l’appello proposto dal Consorzio,
condannandolo al pagamento delle spese di lite in favore sia del Concessionario che dell’ente civico.
Contro la sentenza della Commissione Regionale, ha proposto ricorso per la cassazione il Consorzio RAGIONE_SOCIALE sulla base di cinque distinti motivi di impugnazione, cui hanno contro dedotto sia la concessionaria che il comune.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza d’appello e del procedimento ex art. 360, comma l, n. 4), c.p.c. per violazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 546/92 e dell’art. 182 c.p.c., in rag ione dell’errata valutazione dell’assenza di abilitazione tecnica del patrocinante in giudizio della concessionaria, con conseguente rilevabilità d’ufficio e inammissibilità del giudizio.
1.1. Il Consorzio eccepisce la mancanza di abilitazione del patrocinante presente, ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 546/92, il quale richiede che le parti diverse dall’Ufficio del Ministero delle Finanze o dall’ente locale siano assistite in giudizio da un difensore abilitato, rappresentando che la Commissione Tributaria Regionale aveva respinto l’eccezione, ritenendo che l’iscrizione di RAGIONE_SOCIALE all’albo previsto dall’art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997 fosse sufficiente, interpretazione contestata dal ricorrente.
1.2. Va premesso, in punto di fatto, che la RAGIONE_SOCIALE aveva in realtà un difensore, in persona dell’avv. COGNOME e che il dipendente è stato solo presente in udienza, quindi la parte era assistita da un difensore.
Il giudice avrebbe dovuto perciò rinviare, invitando la parte ad essere presente con un legittimato alla difesa.
1.3. Per la semplice presenza in udienza, tuttavia, la ricorrente non specifica il pregiudizio che avrebbe subito: la discussione in
udienza non avrebbe dovuto aggiungere niente di quanto già scritto negli atti a firma del difensore.
Il motivo non merita quindi accoglimento sotto questo aspetto.
1.4. Ciò chiarito, sotto altro profilo va osservato che il motivo è anche inammissibile, per come formulato.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’errore in procedendo , in sé considerato, non assume rilievo, posto che l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire, deve essere individuato in un interesse giuridicamente tutelato, identificabile nella possibilità di conseguire una concreta utilità o un risultato giuridicamente apprezzabile, attraverso la rimozione della statuizione censurata, non prospettandosi, perciò, sufficiente al riguardo la configurabilità di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica non suscettibile di produrre riflessi pratici sulla soluzione adottata (Cass. 04/06/2007, n. 12952 (Rv. 597587 – 01)).
1.5. Nella fattispecie si prospetta l’assenza di un titolo abilitativo idoneo alla difesa del controricorrente, ma non viene esplicitato in alcun modo quale sarebbe la conseguenza favorevole per il contribuente dalla eventuale invalidità della presenza in giudizio della (sola) concessionaria, nell’ambito del giudizio di prime cure.
1.6. La censura va dunque dichiarata inammissibile.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta l’errata v alutazione della sentenza impugnata in ordine al difetto di legitimatio ad processum del concessionario del servizio di accertamento e riscossione, con violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e 10 del d.lgs. n. 546/92 e conseguente nullità della sentenza ex art. 360, comma l, punti 3) e 4), c.p.c., per errores in procedendo e in iudicando .
2.1. La Commissione Tributaria Regionale aveva stabilito che, in base a una clausola del capitolato speciale, il concessionario doveva
stare in giudizio al posto del Comune di Sesto San Giovanni nelle controversie sull’imposta sulla pubblicità. Tuttavia, il ricorrente (il Consorzio) contesta questa decisione, evidenziando che i giudici riconoscono che il soggetto legittimato è il Comune, ma poi contraddittoriamente affermano che la legittimazione del concessionario è solo processuale. Inoltre, il Consorzio sostiene che il capitolato speciale avrebbe potuto essere disapplicato dal giudice, se ritenuto illegittimo, in base all’articolo 7, comma 5, del D.Lgs. n. 546/92, e che vi è stata violazione dell’articolo 10 del D.Lgs. n. 546/92, che definisce le parti del processo tributario, sottolineando che nessuna norma attribuisce espressamente ai concessionari la capacità processuale esclusiva. Critica infine la Circolare del Ministero delle Finanze n. 98/E del 1996, ritenendo che il subentro nei diritti e obblighi di gestione non implichi automaticamente la legittimazione esclusiva in giudizio.
2.2. Il motivo è infondato.
2.3. La CTR ha fatto applicazione del consolidato principio di diritto stabilito da questa Corte, secondo cui in tema di imposta comunale sulla pubblicità, qualora il Comune affidi il servizio di accertamento e di riscossione ad uno dei soggetti iscritti nell’apposito albo nazionale, il concessionario, subentrando in tutti i diritti e gli obblighi inerenti alla relativa gestione, e quindi anche nelle contestazioni riguardanti gli accertamenti da esso operati, è legittimato a resistere in giudizio, ai sensi degli artt. 25, 32 e 52 del d.lgs. n. 507 del 1993 ed in deroga all’art. 10 del d.lgs. n. 546 del 1992, non solo se l’impugnazione concerne vizi propri della cartella o del procedimento esecutivo, ma anche quando i motivi di ricorso attengono alla debenza del tributo. (…) (Cass. 04/11/2009, n. 23382 (Rv. 610485 – 01)).
2.4. Quanto alle disposizioni del capitolato speciale che obbligherebbero il concessionario a stare in giudizio in luogo del comune, la CTR ha anche evidenziato che tale clausola non è stata
impugnata dal Consorzio entro il termine di impugnativa che decorre dall’ultimo giorno utile – il quindicesimo – per la pubblicazione all’albo pretorio del Comune che ha avviato la procedura selettiva (1′.A.R. Roma, (Lazio), sez. Il, n. 10778/28.12.2012).
2.5. Anche in questo caso, come nel motivo che precede, non è specificato, in ogni caso, quale sarebbe la conseguenza favorevole per il ricorrente nel caso la regola processuale, che si assume violata, fosse stata rispettata.
2.6. La censura va quindi disattesa.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 5 e 6 del d.lgs. n. 507/93 ex art. 360, comma l, punto 3), c.p.c., per errata valutazione della sentenza sulla qualifica economica del consorzio, ed esclusione dei mezzi pubblicitari dall’assoggettamento ad imposta.
3.1. L’effettuazione di campagne pubblicitarie con l’utilizzo dei segni distintivi del Centro non sarebbe un elemento dirimente per attribuire natura lucrativa al Consorzio, con conseguente esclusione dei mezzi pubblicitari dall’assoggettamento all’imposta comunale sulla pubblicità. La Circolare del Ministero delle Finanze del 17 marzo 1994 n. 10 precisa difatti che l’imposta si applica ai messaggi pubblicitari in senso stretto, escludendo comunicazioni prive di contenuto pubblicitario o non ricollegabili ad alcun interesse economico.
3.2. La censura è inammissibile perché non si può prospettare una censura di violazione di legge sulla base di accertamenti in fatto (in tesi) erronei: come ripetutamente rimarcato dalla Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece,
esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità.
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., 27 luglio 2023, n. 22938; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499).
3.3. Nel caso di specie si sta invece, inammissibilmente chiedendo al giudice di legittimità di verificare quale fosse la natura dei messaggi e se fossero prive di contenuto pubblicitario o comunque non ricollegabili ad alcun interesse economico, al fine, solo successivamente, di verificare la ipotetica violazione di legge.
3.4. Il motivo è quindi inammissibile.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 7, 10 e 12 della legge n. 212/2000, la carenza assoluta della procedura istruttoria e l’inesistenza di alcun processo verbale di constatazione, ai sensi dell’art. 360, comma l, punto 3), c. p.c.
4.1. La CTR ha rilevato che gli avvisi di accertamento contenevano la descrizione e il numero dei mezzi pubblicitari rilevati, la tipologia e la superficie imponibile, il loro contenuto, il luogo e la data di esposizione, la tariffa applicata e l’imposta richiesta, nonché i dettagli su interessi e sanzioni, ritenendoli quindi chiari e congruamente motivati. Parte ricorrente contesta che l’Ufficio accertatore avrebbe indicato delle “date di rilevazione” senza mai comunicare o consegnare al rappresentante del Consorzio un regolare
processo verbale di constatazione, da cui si potessero desumere anche le modalità delle presunte “misurazioni”, e dunque tale operato sarebbe illegittimo e lesivo dei principi di collaborazione tra fisco e contribuente (articolo 10 della Legge n. 212/2000) e del diritto di difesa (articolo 24 della Costituzione).
4.2. Il motivo è infondato.
4.3. Questa Corte, con la sentenza n. 10806 del 25/05/2016, in materia di accertamento della imposta di pubblicità, ha precisato che “non esiste normativa ordinaria che a pena di nullità imponga di far partecipare il contribuente al sopralluogo e deve essere altresì sottolineato che l’art. 111 Cost. è posto a tutela del contraddittorio processuale e non extraprocessuale e come del resto così è anche per l’art. 24 Cost. (…) In effetti, in attualità, il preventivo contraddittorio amministrativo è piuttosto ancora confinato all’interno di una elastica indicazione di buona prassi amministrativa ex art. 97 Cost. senza carattere immediatamente precettivo. Nemmeno una tale regola, almeno al di fuori dei tributi cosiddetti armonizzati, emerge dalla giurisprudenza co munitaria (Corte giust. UE n. 349 del 2008)’.
4.4. In termini generali si sono espresse anche le Sezioni Unite: in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass. 09/12/2015, n. 24823 (Rv. 637604 – 01)).
4.5. Non sussiste dunque un obbligo ci contraddittorio preventivo con riferimento alla fattispecie in analisi.
4.5. Il motivo va dunque rigettato.
Con il quinto motivo di ricorso, viene contestata, ai sensi dell’art. 360, comma l, punti 3) e 5), c.p.c., l’omessa valutazione da parte della sentenza impugnata in merito alla violazione dell’articolo 5 del d.lgs. n. 507/93 e l’errata interpretazione degli art t. 12 e 17 del d.lgs. n. 507/93, con duplicazione nonché esclusione d’imposta per presenza di iscrizioni senza finalità pubblicitarie e di meri messaggi informativi
5.1. In particolare, il giudice del gravame avrebbe omesso la valutazione della doglianza relativa alla natura e alla finalità dei messaggi rilevati, che porterebbero naturalmente all’esclusione dall’imposta sulla pubblicità nel caso in esame, in quanto mancherebbe del tutto il presupposto impositivo dettato dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 507/93, che subordina l’imposta alla diffusione di messaggi pubblicitari effettuata nell’esercizio di un’attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi o migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato.
5.2. Anche con il presente motivo si chiede, in realtà, una valutazione di fatto. Si rinvia quindi a quanto già osservato con riferimento al motivo n. 3. La censura, sotto il profilo della violazione di legge, è perciò inammissibile, per come formulata.
5.3. In ogni caso, ci si trova di fronte ad un motivo c.d. ‘misto’ -deducendosi sia il l’omesso esame di fatto decisivo sia la violazione o falsa applicazione di legge – con conseguente applicazione del principio per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, e ciò in quanto una simile formulazione mira a rimettere
al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011) (Cass. 06/02/2024, n.3397).
5.4. Dalla incompatibilità dei due diversi profili censurati nel corpo del medesimo motivo deriva la inammissibilità.
5.6. Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2410,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 13/06/2025.