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Imposta sostitutiva familiari: serve la convivenza?

Un padre e un figlio chiedevano il rimborso dell’imposta sostitutiva versata su quote di fondi immobiliari, sostenendo che le loro partecipazioni non dovessero essere sommate in quanto non conviventi. Le corti di merito accoglievano la loro tesi. La Corte di Cassazione, riscontrando un contrasto giurisprudenziale sulla necessità della convivenza per applicare l’imposta sostitutiva familiari, ha sospeso la decisione e ha trasmesso gli atti alle Sezioni Unite per un verdetto definitivo.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Sostitutiva Familiari: La Cassazione alle Sezioni Unite

L’applicazione dell’imposta sostitutiva familiari sulle partecipazioni qualificate in fondi immobiliari è da tempo oggetto di dibattito. Una recente ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione ha messo in luce un contrasto interpretativo fondamentale: per sommare le quote detenute dai familiari è necessario che questi siano conviventi? In attesa di una risposta definitiva, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di rimborso presentata da due contribuenti, padre e figlio, in relazione all’imposta sostitutiva versata ai sensi del D.L. 78/2010. L’Amministrazione Finanziaria aveva implicitamente negato il rimborso tramite il meccanismo del silenzio-rifiuto, sostenendo che le quote dei due, sommate, superavano la soglia del 5% di partecipazione qualificata, facendo scattare l’obbligo fiscale. I contribuenti, tuttavia, sostenevano che, pur essendo padre e figlio, appartenevano a nuclei familiari diversi e avevano residenze distinte, motivo per cui le loro partecipazioni non avrebbero dovuto essere aggregate.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione ai contribuenti, affermando che la mancanza di convivenza escludeva la possibilità di considerare le partecipazioni come un unicum ai fini fiscali. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione.

L’imposta sostitutiva familiari e il nodo della convivenza

La normativa di riferimento (art. 32, comma 4-bis, D.L. 78/2010) impone un’imposta sostitutiva del 5% a chi, al 31 dicembre 2010, deteneva una quota di partecipazione in fondi immobiliari superiore al 5%. Per la verifica di tale soglia, la legge stabilisce che si deve tener conto anche delle partecipazioni intestate ai “familiari”, così come definiti dall’art. 5 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR).

Quest’ultima norma individua come familiari il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo, senza fare alcun riferimento al requisito della convivenza. Proprio su questo punto si basa il ricorso dell’Agenzia delle Entrate: secondo un’interpretazione letterale della legge, il semplice vincolo di parentela sarebbe sufficiente per procedere alla somma delle quote, indipendentemente dalla residenza o dall’appartenenza a diversi nuclei familiari.

Il contrasto in Cassazione e il rinvio alle Sezioni Unite

La Corte di Cassazione, nell’esaminare il caso, ha rilevato l’esistenza di un “contrasto oggettivo inconsapevole” nella propria giurisprudenza.

Da un lato, un orientamento (sent. n. 19739/2022) suggerisce un’interpretazione costituzionalmente orientata: l’aggregazione delle quote familiari sarebbe una presunzione relativa di elusione fiscale. In quest’ottica, il contribuente potrebbe superare tale presunzione dimostrando che l’intestazione delle quote a diversi familiari è reale e non fittizia, finalizzata a disaggregare un unico patrimonio. In questo scenario, la non convivenza potrebbe essere un elemento di prova a favore del contribuente.

Dall’altro lato, pronunce più recenti sembrano aderire a un’interpretazione più rigorosa e letterale, che non lascia spazio alla valutazione della convivenza o di altre circostanze concrete.

Dato questo conflitto interpretativo e la rilevanza della questione, che tocca anche potenziali profili di incostituzionalità legati alla natura retroattiva dell’imposta, la Quinta Sezione ha ritenuto opportuno non decidere il caso e trasmettere gli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Le Motivazioni

La principale motivazione dietro il rinvio risiede nella necessità di garantire certezza e uniformità del diritto su un tema delicato. La Corte ha riconosciuto che la questione non è di facile soluzione. Da una parte, vi è il tenore letterale della norma che non menziona la convivenza. Dall’altra, sorge il dubbio se una norma così formulata, che aggrega automaticamente patrimoni di soggetti economicamente e socialmente distinti solo per un vincolo di parentela, sia compatibile con i principi costituzionali di capacità contributiva. La Corte ha quindi evidenziato l’opportunità di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite per stabilire se l’interpretazione debba essere strettamente letterale o se debba aprirsi a una valutazione caso per caso, volta a smascherare solo le reali finalità elusive.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza interlocutoria, la Corte di Cassazione lascia la questione aperta. La palla passa ora alle Sezioni Unite, il cui verdetto avrà un impatto decisivo non solo per il caso specifico, ma per tutti i contribuenti che si trovano in situazioni analoghe. La decisione finale stabilirà un principio fondamentale: se il vincolo di parentela è una presunzione assoluta che impone la tassazione congiunta, o se, invece, elementi come la non convivenza possono essere utilizzati per dimostrare l’autonomia patrimoniale e finanziaria dei singoli familiari, escludendo così l’applicazione dell’imposta sostitutiva familiari.

Per applicare l’imposta sostitutiva, le quote di fondi immobiliari detenute da familiari devono essere sommate anche se non vivono insieme?
L’ordinanza non fornisce una risposta definitiva, ma evidenzia un contrasto interpretativo. Le corti di merito avevano escluso la somma in assenza di convivenza, ma la legge non menziona tale requisito. La Corte di Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite proprio per ottenere un chiarimento finale su questo punto.

Qual è la definizione di “familiari” ai fini di questa imposta?
Il provvedimento richiama l’articolo 5, comma 5, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (D.P.R. 917/1986). Secondo tale norma, si intendono per familiari il coniuge, i parenti entro il terzo grado (es. genitori, figli, nonni, nipoti, fratelli, zii) e gli affini entro il secondo grado (es. suoceri, generi, nuore, cognati).

Perché la Corte di Cassazione non ha deciso subito il caso?
La Corte non ha deciso perché ha riscontrato un “contrasto oggettivo inconsapevole” all’interno delle sue stesse precedenti sentenze. Per evitare decisioni discordanti e garantire l’uniformità dell’interpretazione della legge su una questione così importante e dibattuta, ha ritenuto necessario demandare la decisione alle Sezioni Unite, l’organo supremo di composizione della Corte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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