Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21206 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21206 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21610/2023 proposti da:
Agenzia delle Entrate (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO) e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOMECOGNOME
-intimata –
-avverso la sentenza n. 3906/17/2022 emessa dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in data 14/10/2022 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Avvisi liquidazione imposta registro -Mandato di gestione di tipo germanico -Risoluzione contratto
Rilevato che
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Milano, notificava in data 7 febbraio 2020 a NOME l’avviso di liquidazione n. 2017/001/SC/000007122/0/004, con il quale recuperava a tassazione la maggiore imposta di registro che riteneva dovuta per la registrazione della sentenza n. 7122/2017 emessa dal Tribunale Civile di Milano il 24/06/2017. Riteneva infatti l’Ufficio che ricorressero i presupposti per l’assoggettamento di tale sentenza a tassazione proporzionale del 3% ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b) della Tariffa, Parte I allegata al DPR n. 131/86 e non a tassazione in misura fissa a i sensi dell’art. 8, comma 1, lett. e) della suddetta Tariffa.
Il dispositivo della sentenza, in particolare, conteneva la condanna della ricorrente, di suo marito, NOME COGNOME e della loro nuora, NOME COGNOME al pagamento nei confronti di NOME COGNOME di euro 7.339.852, oltre interessi a far data dal 13/12/2006.
In ragione di tale condanna, l’Ufficio aveva dunque proceduto alla liquidazione dell’imposta a carico della ricorrente pro quota, tenuto conto che si trattava di litisconsorzio facoltativo, per complessivi euro 43.353,00, comprensivi della tassazione della quota capitale e degli interessi.
La CTP di Milano accoglieva il ricorso, affermando che, nella specie, era evidente che trattavasi di un ristorno di somme a seguito dell’annullamento di un atto ritenuto illegittimo.
Sull’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della COGNOME rigettava il gravame, affermando che, come risultava chiaramente dalla motivazione della sentenza n. 7122/2017 pronunciata dal Tribunale di Milano, la somma di euro 7,44 milioni costituiva una somma di proprietà di NOME COGNOME COGNOME affidata in mera gestione al de cuius Avv. NOME COGNOME COGNOME con un mandato fiduciario di tipo germanistico. Pertanto, accertata la morte dell’Avv. COGNOME il tribunale aveva ritenuto risolto il contratto di mandato e, in via consequenziale, condannato i suoi eredi, ciascuno pro quota, alla restituzione all’appellata della somma (che era di sua proprietà) di euro
7,44 milioni (al netto di quanto già restituito dal mandatario), oltre agli interessi legali. Posto, dunque, che la ragione della disposta condanna di carattere restitutorio era la dichiarata caducazione del mandato fiduciario, non poteva che conseguirne l ‘applicazione dell’art. 8, comma 1, lettera e), della Tariffa Parte I del DPR n. 131/1986, con conseguente liquidazione dell’imposta di registro in misura fissa di euro 200,00.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di un solo motivo. NOME non ha svolto difese.
Considerato che
Con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’artt. 8, lett. b) ed e) Tariffa, Parte I d.P.R. n. 131/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la CTR erroneamente, a suo dire, ritenuto sussistenti, nel caso di specie, i presupposti per l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa, anziché in misura proporzionale, nonostante la natura restitutoria – condannatoria della pronuncia resa dal Tribunale di Milano.
1.1. Il motivo è infondato.
In base all’art. 8, comma 1, della Tariffa Parte I allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, gli atti dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, il giudizio, sono soggetti all’aliq uota proporzionale del 3% se <> (lett. b) e all’imposta di registro in misura fissa se <> (lett. e).
In particolare, la distinzione tra le due fattispecie è ben delineata da Cass., Sez. 5, Sentenza n. 4537 del 25/02/2009, secondo cui, mentre la lettera b) assoggetta ad imposta proporzionale i provvedimenti dell’autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento di somme o valori (comportanti, quindi, un trasferimento di ricchezza), la lettera e) del medesimo articolo, norma speciale e di stretta interpretazione, determina l’imposta in misura
fissa in relazione ai provvedimenti che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni o la risoluzione di un contratto (dunque, in funzione meramente restitutoria e di ripristino della situazione patrimoniale anteriore).
In particolare, l’applicazione dell’aliquota proporzionale si giustifica allorquando la sentenza determini l’effetto giuridico del recupero di un bene che, in precedenza, era assente, atteso che in siffatta evenienza la pronuncia è, almeno per tale capo, di condanna, così realizzando un trasferimento di ricchezza (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 24954 del 06/11/2013).
In quest’ottica, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 16814 del 07/07/2017 ha affermato che la sentenza di accoglimento della revocatoria fallimentare di un pagamento eseguito dal fallito è soggetta all’aliquota proporzionale di cui all’art. 8, comma 1, lett. b), parte prima della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, tenuto conto che non opera alcuna caducazione dell’atto impugnato, il quale resta infatti in vita, anche se privo di efficacia nei confronti del fallimento e della procedura esecutiva, e che le conseguenti restituzioni non comportano il ripristino della situazione anteriore, ma un trasferimento di ricchezza in favore del fallimento, consentendo il recupero alla procedura esecutiva di beni che ne erano in precedenza sottratti.
Nel caso di specie, non è contestato che si sia in presenza di un mandato fiduciario di ‘tipo germanico’ (avendo la mandante affidato al mandatario la gestione di una somma di denaro derivata dalla vendita di un immobile di sua proprietà) nel quale, diversamente dal mandato fiduciario di origine ‘romanistica’, si verifica una separazione tra titolarità formale del diritto e legittimazione al suo esercizio, con il mantenimento della titolarità in capo al fiduciante ed il conferimento al fiduciario della sola legittimazione ad esercitare ( recte , a gestire) il diritto. Il fiduciante, dunque, rimane titolare del patrimonio senza alcun effetto traslativo in capo al fiduciario e, conseguentemente, la morte del fiduciario fa venire meno lo scopo della fiducia con risoluzione retroattiva del mandato fiduciario.
Del resto, la stessa Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la natura del mandato fiduciario di tipo ‘germanistico’ nel momento in cui ha dedotto come la dichiarazione di successione integrativa degli eredi del mandatario fosse stata effettuata esclusivamente in funzione della esclusione dell’importo di € 7,44 milioni dall’asse ereditario del de cuius .
Ne deriva, come logico corollario, che, nel momento in cui il mandato si estingue, ai sensi dell’art. 1722, n. 4), c.c., per morte del mandatario, sorge l’obbligo a carico degli eredi di quest’ultimo di rimettere al mandante tutto quello che ha ricevuto a causa del mandato (art. 1713, primo comma, c.c.), sorgendo tale obbligo non solo a seguito della conclusione dell’attività gestoria, ma anche quando si accerti l’impossibilità di eseguirla o quando vi sia stata la revoca del mandato, poiché in entrambi questi ultimi casi il mandatario non ha più titolo per trattenere quanto gli è stato somministrato dal mandante (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10739 del 11/08/2000).
Nella fattispecie in esame, la declaratoria di risoluzione ( recte , di estinzione) del mandato ha comportato la caducazione del titolo del precedente ‘trasferimento’ e la conseguente condanna ha avuto un contenuto ed una funzione meramente restitutori, mirando a ripristinare la situazione patrimoniale precedente.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento.
Nessuna pronuncia va adottata in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo l’intimata svolto difese ; e, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater, dPR 30 maggio 2002, nr. 115 (Cass. Sez. 6 – Ordinanza nr. 1778 del 29/01/2016).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 10.4.2025.
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME