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Imposta registro concordato: 0,5% per cessione crediti

Una società ha contestato l’applicazione dell’imposta di registro al 3% su un concordato fallimentare con assuntore. La Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso, stabilendo che se l’attivo trasferito consiste in crediti, l’aliquota corretta non è quella fissa del 3%, ma quella dello 0,5% prevista per la cessione dei crediti. La sentenza chiarisce un importante principio sull’imposta registro concordato, differenziando la tassazione in base alla natura dei beni ceduti.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Registro Concordato: la Cassazione fa chiarezza sull’aliquota per la cessione di crediti

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale in materia di imposta registro concordato fallimentare con assuntore. La Corte ha chiarito che, quando l’attivo trasferito è composto prevalentemente da crediti, l’aliquota da applicare non è quella generica, ma quella specifica, e più favorevole, prevista per la cessione di crediti. Questa decisione rappresenta una vittoria significativa per i contribuenti e offre importanti spunti sulla corretta tassazione di queste operazioni complesse.

I Fatti di Causa

Una società, nell’ambito di un concordato fallimentare come assuntore, si era vista applicare dall’Agenzia delle Entrate l’imposta di registro con un’aliquota del 3%. L’avviso di liquidazione si basava sull’omologa del concordato che prevedeva il trasferimento dell’attivo fallimentare. La società ha impugnato l’atto, sostenendo che, essendo l’attivo composto da crediti e azioni giudiziarie, l’aliquota corretta fosse quella dello 0,50%, come previsto per i trasferimenti di crediti.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate, confermando l’aliquota del 3%. Di conseguenza, la società ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando sia un vizio di procedura (per presunta pronuncia oltre i limiti della domanda) sia una violazione di legge nella scelta dell’aliquota. L’Agenzia delle Entrate ha risposto con un controricorso, proponendo a sua volta un ricorso incidentale per sostenere le proprie ragioni.

L’applicazione dell’imposta registro concordato

Il cuore della controversia verteva sull’interpretazione dell’articolo 8 della tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1986, che disciplina l’imposta di registro sugli atti giudiziari.

* La lettera a) dell’articolo prevede che per gli atti recanti trasferimento di beni e diritti si applichino “le stesse imposte stabilite per i corrispondenti atti”.
* La lettera b) prevede invece criteri specifici per altri tipi di atti.

L’Agenzia delle Entrate sosteneva una lettura che portava all’applicazione di un’aliquota fissa del 3%, mentre la contribuente insisteva sulla necessità di guardare alla natura specifica dei beni trasferiti, applicando quindi l’aliquota propria della cessione dei crediti.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso incidentale dell’Agenzia e ha accolto parzialmente il ricorso principale della società. I giudici hanno chiarito che la lettera a) dell’art. 8 è la norma di riferimento. Questa disposizione impone un’analisi della natura dei beni oggetto di trasferimento per determinare l’aliquota corretta.

Il principio chiave enunciato dalla Corte è che la tassazione deve seguire la natura dei beni trasferiti. Se l’attivo fallimentare ceduto è costituito da crediti, si deve applicare l’aliquota prevista per la cessione dei crediti, ovvero lo 0,5% (art. 6 della tariffa), e non un’aliquota fissa e indifferenziata. La Corte ha specificato che la norma non contiene un “criterio secco” del 3%, ma rinvia alla tassazione propria dell’atto corrispondente.

Inoltre, la Corte ha ribadito un orientamento consolidato: ai fini del calcolo della base imponibile, non si deve tener conto del debito accollato dall’assuntore, ma solo del valore dei beni e dei diritti trasferiti.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un criterio di giustizia sostanziale e di coerenza sistematica. L’imposta registro concordato non può essere applicata in modo monolitico, ma deve essere modulata in base alla reale natura dell’operazione. Il trasferimento di un portafoglio crediti è economicamente e giuridicamente diverso dal trasferimento di beni immobili. Di conseguenza, è corretto che anche il trattamento fiscale sia differente.

Questa pronuncia offre una maggiore certezza del diritto per le imprese che operano come assuntori in procedure concorsuali, confermando che la tassazione deve essere aderente alla sostanza economica degli atti. Per i contribuenti, ciò significa poter contare su un’aliquota notevolmente inferiore (0,5% anziché 3%) quando l’attivo acquisito è composto da crediti, con un evidente e significativo risparmio fiscale.

Quale aliquota dell’imposta di registro si applica al concordato fallimentare con assuntore se i beni trasferiti sono principalmente crediti?
Si applica l’aliquota dello 0,5%, ovvero quella specificamente prevista per la cessione dei crediti dall’art. 6 della tariffa allegata al d.P.R. 131/1986.

Perché la Cassazione ha ritenuto applicabile l’aliquota dello 0,5% invece del 3%?
Perché l’art. 8, lettera a), della tariffa prevede che la tassazione degli atti giudiziari di trasferimento segua quella dei “corrispondenti atti”. Poiché l’attivo trasferito consisteva in crediti, l’atto corrispondente è la cessione di crediti, tassata allo 0,5%, e non un trasferimento generico tassabile al 3%.

L’importo dei debiti accollati dall’assuntore rileva per il calcolo della base imponibile dell’imposta di registro?
No, la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, confermata in questa ordinanza, stabilisce che la base imponibile è costituita esclusivamente dal valore dei beni e dei diritti trasferiti, escludendo l’importo dei debiti accollati dall’assuntore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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