Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4453 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4453 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21084/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
REGIONE LAZIO, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 1033/2020 depositata il 21/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
Sentite le conclusioni del P.G. che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentite le parti presenti;
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1033/07/2020, depositata in data 21 febbraio 2020 e non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, rigettava l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 10380/26/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma che aveva integralmente rigettato l’impugnazione della società contribuente avverso un atto di accertamento emesso dalla regione Lazio, per l’imposta regionale anno 2014 relativa alla concessione del demanio rilasciata dall’RAGIONE_SOCIALE portuale, dichiarando compensate le spese di lite.
1.1. La Commissione Tributaria Regionale, premesso che erano prive di fondamento le questioni relative a presunti vizi formali della notifica, richiamata la normativa di riferimento, riteneva che la pretesa impositiva della regione Lazio era pienamente legittima, dovendo trovare applicazione i pacifici principi giurisprudenziali secondo cui le differenze fra le concessioni marittime rilasciate alla regione e quelle rilasciate dalla autorità portuale riguardano i titolari del potere di rilascio ed i criteri di determinazione del canone concessorio e non anche la titolarità del diritto dominicale demaniale sul bene concesso che è sempre statale o la finalità della concessione che è sempre funzionale al perseguimento di un interesse pubblicistico.
Rilevava che, nel caso in esame, era la legge a fissare gli elementi essenziali del tributo: i soggetti passivi (i concessionari dei beni dello Stato), il presupposto dell’imposta (esistenza di un canone di concessione), la base imponibile (il canone concessorio), la aliquota da applicare e gli interessi moratori, restando unicamente demandata all’ RAGIONE_SOCIALE portuale di determinare, con normativa secondaria, la base imponibile, nel rispetto del principio della riserva di legge, sulla scorta di criteri prestabiliti.
Avverso la suindicata sentenza la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La regione Lazio resiste con controricorso.
la RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società contribuente denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 60 d.P.R. n. 600 del 1973 ( ratione temporis vigente) e 14 della legge 890/1982 nonché dell’art. 26 del d.P.R. n. 602/1973 ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Ad avviso di parte ricorrente la sentenza impugnata risulta viziata per violazione e/o errata applicazione delle menzionate disposizioni normative per avere i giudici di appello confermato la validità dell’atto di accertamento benché viziato da un difetto di notificazione di tale gravità tale da determinarne l’inesistenza giuridica in quanto la notifica non era avvenuta nel rispetto dell ‘ art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 il quale stabiliva, all’ epoca dei fatti , la notificazione nelle forme di cui agli artt. 139 e segg. del cod. proc. civ. bensì a mezzo PEC modalità prevista solamente in epoca successiva, con decorrenza 1 luglio 2017.
Con il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., dell’art.
118, primo comma, delle disp. att. cod. proc. civ., e dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 546/1992 ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Lamenta che la sentenza impugnata era contraddistinta da motivazione apparente, o comunque perplessa ed incomprensibile, ed in ogni caso perché caratterizzata da un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ , avendo i giudici di appello richiamato disposizioni di legge (l’ art. 26 del d.P.R. 602/1973) non applicabili alla fattispecie in esame.
Con il terzo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ., per non essersi i giudici di appello pronunciati in ordine all’eccepito difetto motivazionale dell’atto di accertamento.
Con il quarto motivo lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della legge reg. Lazio n. 2 del 2013, dell’art. 8 del d.lgs. 68 del 2011, nonché degli artt. 23 e 119 Cost. ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Assume che i giudici di appello non avevano considerato che, sulla scorta della normativa vigente, nessuna imposta regionale era dovuta in quanto nella specie trattavasi di concessione-contratto e non di concessione ‘pura’ per la quale il canone è stabilito direttamente dalla legge, assumendo che una interpretazione di segno contrario si poneva in contrasto con gli artt. 23 e 119, secondo comma, Cost.
Il ricorso deve essere respinto per le ragioni appresso specificate.
Il primo ed il secondo motivo, da esaminare, congiuntamente in quanto fra loro connessi, sono manifestamente infondati.
6.1. Va premesso, trattandosi di questione avente carattere preliminare, che nel caso in esame non può certamente parlarsi di una motivazione meramente apparente ovvero del tutto
incomprensibile in ordine all’ eccezione preliminare afferente la notifica dell’ atto impugnato .
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da ” error in procedendo “, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (così Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019).
Occorre pure considerare che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. (Sez. 1 – , Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022, Rv. 664120 – 01).
Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto, sia pure con ragionamento, in parte, viziato laddove ha affermato che alla fattispecie in esame si applicava il disposto di cui all’ art. 26, secondo comma, d.P.R. 602/1973 (riguardante la cartella esattoriale e non già gli atti di accertamento quale quello in esame), comunque infondata l’ eccezione di ‘ inesistenza ‘ della notifica in ragione della
intervenuta sanatoria ex art. 156 cod. proc. civ., ratio decidendi idonea, di per sé, a sorreggere la soluzione adottata.
Ciò premesso va rilevato che, in effetti, la possibilità di una notifica a mezzo EMAIL per gli atti impositivi (quale quello in esame notificato in data 17 novembre 2016) è stata introdotta solamente a decorrere dal primo luglio 2017, a seguito dell’aggiunta al d.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, del comma 6, ad opera del D.L. n. 193 del 2016, art. 7quater , comma 6.
Occorre, tuttavia, osservare che la norma da ultimo indicata, nel testo ratione temporis vigente, stabiliva che gli avvisi di accertamento andavano notificati secondo le modalità previste per la notificazione degli atti processuali dagli artt. 137 e segg. del cod. proc. civ. Era, dunque, la stessa legge a richiamare la disciplina notificatoria propria del codice di rito e ad estenderla espressamente all’atto di accertamento. Sennonchè, il richiamo e l’estensione alla disciplina della notificazione degli atti processuali fa sì che debba ritenersi anche in materia applicabile l’articolo 156 del codice di rito (richiamato dai giudici di appello), integrante causa di sanatoria della nullità della notificazione per raggiungimento dello scopo. Nel caso di specie, l’atto di accertamento non è stato portato a conoscenza della società attraverso una delle modalità previste dagli articoli 137 segg. cod. proc. civ. (in quanto comunicato via EMAIL), e tuttavia questa inosservanza non ha comportato l’inesistenza giuridica dell’atto de quo quanto, a tutto concedere, la nullità della sua notificazione. Ciò va detto sia perché la notificazione non è un elemento costitutivo essenziale intrinseco all’atto, quanto una condizione della sua efficacia recettizia, sia perché la comunicazione è, comunque, nel caso in esame avvenuta attraverso una modalità che, comunque, ha pacificamente consentito alla società sia di ricevere e conoscere appieno l’atto di accertamento, sia di ritualmente impugnarlo mediante il ricorso al giudice tributario, con conseguente sua piena tutela.
Il terzo motivo è infondato, se non inammissibile.
6.1. Si deve qui ricordare che secondo quanto ripetutamente affermato da questa Corte (tra le altre, Cass. n. 24155/2017; Cass. n. n. 29191/2017; Cass. n. 15255/2019), non ricorre il vizio di omessa pronuncia ove la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto, e che non è configurabile il vizio di omessa pronuncia quando una domanda, pur non espressamente esaminata, debba ritenersi – anche con pronuncia implicita – rigettata perché indissolubilmente avvinta ad altra domanda, che ne costituisce il presupposto e il necessario antecedente logico – giuridico, decisa e rigettata dal giudice (Cass. n. 17580 del 04/08/2014).
Osserva questa Corte che, nel caso in esame, non può revocarsi in dubbio che i giudici di appello, nel ritenere fondata nel merito la pretesa tributaria de qua , hanno implicitamente ritenuto l’ atto impugnato privo di ogni vizio formale.
A prescindere da tale considerazione, il motivo deve ritenersi, in ogni caso, inammissibile per difetto di specificità, ex art. 366 cod. proc. civ.
Va, invero, dato seguito al condivisibile principio di diritto secondo il quale «in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta
congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo» (cfr. Cass. nn. 16147/2017, 2928/2015, 8312/2013).
Tale condizione di ammissibilità del mezzo non è stata concretizzata dalla società ricorrente nella sua formulazione, non essendo stata affatto riportata, quanto meno per estratto nei punti rilevanti, la motivazione dell’atto impositivo impugnato, ritenuto, peraltro, adeguatamente motivato dal giudice di primo grado.
Anche l’ ultimo motivo è infondato.
7.1. Prima di procedere all’ esame delle specifiche censure formulate da parte ricorrente con tale motivo appare necessario muovere dalla disamina della normativa di riferimento.
La legge finanziaria n. 281 del 1970, approvata con l’istituzione delle regioni a statuto ordinario, ha previsto, all’art. 2, l’imposta regionale sulle concessioni statali per l’occupazione e l’uso dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato siti nel territorio della Regione, ad eccezione per le grandi derivazioni di acque pubbliche. La norma ha individuato il presupposto impositivo, i soggetti passivi del tributo (concessionari di beni del demanio e del patrimonio indisponibile) e la base imponibile, costituita dallo stesso canone di concessione.
In linea con la legge nazionale, l’art. 4 della legge reg. Lazio n. 1/1971 ha determinato l’ammontare dell’imposta commisurandolo all’importo della concessione.
Successivamente l’art. 01 del d.l. n. 400/1993, conv. dalla legge n. 494/1993, ha previsto, alla lett. d) tra le concessioni demaniali marittime, in relazione all’oggetto, quelle per attività di gestione di strutture ricettive ed attività ricreative e sportive. La successiva norma d’interpretazione autentica di cui all’art. 13 della legge 8 luglio 2003, n. 172 ne fa, per un verso espresso riferimento, stabilendo, per altro, con l’aggiunta di un ulteriore periodo al comma 2 del citato art. 01, che le disposizioni di detto comma, che attengono esclusivamente alla durata delle concessioni, indipendentemente
dalla natura, non si applicano alle concessioni rilasciate nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84. L’art. 03 del succitato d.l. n. 400/1993, ha poi stabilito i criteri direttivi per la determinazione dei canoni annui per concessioni con finalità turistico -ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei, per i quali si applicano le disposizioni relative alle utilizzazioni del demanio marittimo, stabilendo gli importi a mq. in ragione delle diverse categorie di beni (tra cui gli specchi acquei) ivi previste e della diversa natura degli impianti funzionali all’occupazione. L’art. 7 del decreto medesimo al primo comma ha previsto che gli enti portuali (RAGIONE_SOCIALE portuali, ai sensi della citata legge n. 84/1994, n. 84) possano adottare, per concessioni demaniali marittime rientranti nel proprio ambito territoriale, criteri diversi da quelli indicati nel decreto, “che comunque non comportino l’applicazione di canoni inferiori rispetto a quelli che deriverebbero dall’applicazione del decreto stesso”. L’art. 8, comma 1, del d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68, ha quindi previsto che, “Ferma la facoltà per le regioni di sopprimerli, a decorrere dal 10 gennaio 2013 sono trasformati in tributi propri” oltre agli altri tributi indicati dalla norma, “l’imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, l’imposta regionale sulle concessioni statali per l’occupazione e l’uso dei beni del patrimonio indisponibile”.
La legge 5 maggio 2009 nr. 42, recante norme sulla «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione» ha previsto, accanto ai tributi « propri derivati» ed a quelli «addizionali», i tributi «propri», istituiti dalle leggi regionali, in relazione a presupposti non assoggettati ad imposizione erariale.
L’ art. 8, comma 1, d.lgs. n. 68 del 2011, attuativo della delega, ha, quindi previsto che, «Ferma la facoltà per le regioni di sopprimerli, a decorrere dal 1 gennaio 2013 sono trasformati in tributi propri» oltre
agli altri tributi indicati dalla norma, «l’imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, l’imposta regionale sulle concessioni statali per l’occupazione e l’uso dei beni del patrimonio indisponibile».
L’art. 6 della legge reg. Lazio n. 2/2013, infine, ha disposto quanto segue « 1. Ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) e successive modifiche, a decorrere dal 1° gennaio 2014 l’imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, di cui all’articolo 2 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario), è istituita quale tributo proprio regionale. 2. L’imposta è dovuta alla Regione dai titolari delle concessioni e da coloro che sono tenuti al versamento delle somme corrisposte a titolo di indennizzo per le utilizzazioni senza titolo di beni demaniali marittimi, di zone di mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo, ovvero per le utilizzazioni difformi dal titolo concessorio. 3. La misura dell’imposta è pari al 15 per cento della base imponibile costituita dai canoni sulle concessioni statali, ivi comprese quelle rilasciate e gestite dalle autorità portuali, nonché dalle somme corrisposte a titolo di indennizzo di cui al comma 2».
7.2. Come rilevato da questa Corte con la pronunzia n. 28961/2021 -emessa in analoga fattispecie riguardante la normativa regionale del Lazio – tale normativa primaria regionale «ha … regolamentato un tributo, divenuto proprio, in un settore espressamente attribuito all’Ente territoriale regionale dall’art 8. d.lvo citato e nel pieno rispetto della cornice sistematica individuata dalla legge 42/2009, dei principi desumibili dall’ordinamento comunitario (mancanza di misure agevolative che rilevino fattori di concorrenza dannosa , proporzionalità, non discriminazione) e dei criteri di riparto e dei
principi previsti dagli artt. 23 e 53 della Costituzione. Contrariamente a quanto assunto dalla ricorrente l’intervento normativo regionale risulta coerente anche con il principio e il criterio direttivo, contenuto nell’art. 2, comma 2, lett. p. della legge 42/2009, della continenza intesa come « tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilità nell’imposizione di tributi propri» sicchè nessuna violazione della norma interposta può predicarsi …. Va, innanzitutto, precisato che il legislatore statale con l’art. 8 d.lgs. n. 68, cit., ha qualificato tributo proprio della regione l’imposta sulle concessioni statali che già era devoluta all’ente territoriale sia pur istituita e disciplinata dalla legge statale. La Regione Lazio, nell’esercizio degli autonomi poteri di politica fiscale, invece di sopprimere il tributo dal quale lo Stato è receduto, lo ha fatto rivivere, attraverso una legge regionale …. Appare, quindi, rispettato il parametro della continenza atteso che l’imposta propria sulle concessioni demaniali: a) era già un tributo regionale derivato; b) si pone in correlazione con l’ambito territoriale di applicazione; c) ha ad oggetto una materia ricompresa nell’elencazione delle materia attribuite alla competenza legislativa concorrente delle Regioni».
7.3. Come correttamente rilevato da parte resistente le disposizioni di cui all’articolo 8 d.lgs. 68/2011, sopra citato, nel disciplinare i tributi delle Regioni, operano una distinzione tra ‘ tributi propri derivati ‘ (comma 3), per i quali l’ambito di autonomia impositiva delle Regioni si realizza nelle forme e nei limiti espressamente previsti dal quadro fissato dalla normativa nazionale di riferimento, e ‘ tributi propri in senso stretto” (comma 1), tra cui il legislatore annovera anche l’ imposta regionale sul demanio marittimo.
Per tale ultima categoria concettuale di tributi, l’ autonomia impositiva regionale assume contorni più ampi rispetto a quelli relativi ai tributi propri derivati, potendo prevedere la facoltà di
operare, attraverso l’ introduzione della norma regionale di riferimento, una rimodulazione dei caratteri principali dell’imposizione (base imponibile, aliquota, soggetti esclusi o interessati dall’ imposizione), purché l’ esercizio di tale autonomia operi nel rispetto dei principi del sistema tributario e contabile dello Stato, come individuati dalla L. 42/2009 e dai successivi decreti delegati, quali: i principi riguardanti la finanza pubblica desumibili dall’ordinamento comunitario e dal l’ ordinamento internazionale (art. 117, comma 1), – come il divieto di doppia imposizione, il divieto di introdurre misure agevolative che si rivelino fattori di concorrenza dannosa; il principio di proporzionalità, il principio di non discriminazione-; i principi posti dalla Costituzione, desumibili dagli articoli 23 (riserva di legge), 53 (capacità contributiva e progressività), 81 (divieto di istituire nuovi tributi); il principio di continenza (desumibile dagli articoli 117 e 119), secondo cui le regioni hanno potestà legislativa per stabilire quelle aree imponibili che rientrano nella sfera delle proprie competenze legislative e che non superino l’ambito territoriale di competenza.
In virtù di quanto sopra, a decorrere dal 2014 il presupposto normativo sulla base del quale stabilire ed applicare l’imposta regionale alle concessioni di beni demaniali marittimi è dato dall’art. 6 della legge reg. Lazio 2/2013 che prevede l’esplicita estensione de ll’ imposta anche alle concessioni di beni demaniali marittimi rilasciate dalle RAGIONE_SOCIALE.
7.4. Quanto alle doglianze rappresentate dalla società contribuente in ordine alla presunta illegittimità dell’ imposizione regionale tenuto conto della natura ‘ contrattuale ‘ della concessione, va osservato come la circostanza che la concessione marittima su un bene sito in territorio regionale sia rilasciata non dalla Regione ma da un ente facente capo allo Stato, titolare del diritto dominicale demaniale sul bene oggetto di concessione, non può certamente rilevare ai fini della legittimità e dell’efficacia del tributo.
7.6. Questa Suprema Corte ha già avuto modo di affrontare, sotto diversi profili, le tematiche poste dal motivo di ricorso in trattazione, così statuendo:
ai sensi dell’art. 2, primo comma, della l. n. 281 del 1970, presupposto dell’imposta regionale sulle concessioni statali per l’occupazione e l’uso di beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato, inclusi nel territorio della Regione, sono l’occupazione e l’uso assentiti degli stessi, indipendentemente dall’RAGIONE_SOCIALE cui compete il rilascio della concessione, e non, invece, l’esistenza di una concessione rilasciata dallo Stato (Cass., 10 maggio 2021, n. 12296; Cass., 10 marzo 2020, n. 6714; Cass., 5 giugno 2015, n. 11655);
è conforme al principio della riserva relativa di legge, di cui all’art. 23 Cost., l’art. 4 del d.l. n. 400 del 1993, convertito in l. n. 494 del 1993, che demanda all’RAGIONE_SOCIALE portuale la determinazione, con normativa secondaria, dell’ammontare della base imponibile, purché ciò non comporti l’applicazione di canoni inferiori a quelli che deriverebbero dall’applicazione del decreto stesso, atteso che, in sede di normativa primaria, ex art. 2 della l. n. 281 del 1970, sono fissati presupposto impositivo, soggetti passivi, base imponibile, aliquota e sanzioni (Cass., 10 giugno 2021, n. 16279; Cass., 19 ottobre 2016, n. 21136). Alla luce di detti criteri ermeneutici, – che vanno qui ribaditi, – deve rilevarsi quanto segue.
L’ attribuzione alle Regioni (d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 59; d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 105), ed alle RAGIONE_SOCIALE portuali (l. 28 gennaio 1994, n. 84) di funzioni amministrative (anche) in materia di rilascio delle concessioni, e la conseguente devoluzione dei relativi canoni, non è di per sé idonea a far venire meno il presupposto dell’imposta in contestazione, individuato dal combinato disposto della l. n. 281 del 1970 e della normativa regionale sopra richiamato in quanto, come anticipato, il presupposto impositivo deve essere identificato nel fatto oggettivo dell’occupazione e
dell’uso assentiti dei beni demaniali o del patrimonio indisponibile, indipendentemente dall’RAGIONE_SOCIALE cui competa per legge il rilascio della relativa concessione e dallo specifico contenuto della stessa.
7.7. Avendo parte ricorrente particolarmente insistito sull’ eccezione secondo cui la imposizione in questione violerebbe il principio di legalità e, quindi, il disposto di cui all’ art. 23 Cost. in quanto, per le concessioni ex art. 18 legge n. 84/1994, è la RAGIONE_SOCIALE a determinare la misura del canone demaniale con provvedimenti amministrativi liberamente discrezionali senza incontrare alcun ‘limite di legge’ non esistendo criteri generali stabiliti per legge che non fissa i ‘limiti massimi’ alla misura dei canoni, a parte quanto sopra rilevato si rendono necessarie alcune ulteriori precisazioni.
Come chiarito dalla Corte Cost. con la pronunzia n. 157 del 1996 secondo la costante e conforme giurisprudenza costituzionale il principio della riserva di legge in tema di prestazioni imposte va inteso in senso relativo, ponendo l’obbligo per il legislatore di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa ‘tanto che la Corte ha già avuto occasione di affermare che non contrasta con tale principio l’assegnazione ad organi amministrativi non solo di compiti meramente esecutivi, bensì anche di quello di determinare elementi, presupposti o limiti, variamente individuabili, della prestazione stessa, sulla base di dati e valutazioni di ordine tecnico (sentenze n. 129 del 1969 e n. 27 del 1979). Nè tale principio può ritenersi violato, anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, dei limiti e dei controlli che delimitano l’ambito di discrezionalità della pubblica amministrazione, quando gli stessi siano desumibili dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinare la misura della prestazione di cui trattasi (sentenze n. 4 del 1957; n. 51 del 1960; n. 5 del 1963; n. 21 del 1969; e n. 67 del 1973) ovvero quando esista, per l’emanazione dei provvedimenti amministrativi concernenti la prestazione medesima,
un modulo procedimentale con il quale venga a realizzarsi la collaborazione di una pluralità di organi al fine di escludere eventuali arbitrii dell’amministrazione (sentenza n. 507 del 1988)’.
Secondo tali indicazioni il precetto costituzionale del suddetto art. 23 deve ritenersi rispettato quando la legge che prevede l’imposizione, pur non fissandone il massimo, determini criteri, condizioni, limiti e controlli idonei a contenere la discrezionalità dell’ente impositore nell’esercizio del potere attribuitogli e ad evitare così che essa possa trasmodare in arbitrio, sicchè ‘la determinazione dei presupposti del rapporto tributario e la delimitazione del suo contenuto devono desumersi di volta in volta dalla concreta regolamentazione fatta dalla legge che prevede l’imposizione’.
La Corte Costituzionale (vedi sent. n. 83/2015) ha, poi, ribadito sin dalle sue prime pronunce, che <>, si deve interpretare <> e che questo principio <> (sentenza n. 4 del 1957).
In forza di tali principi non si ravvisano profili di criticità rispetto all’art. 23 Cost., risultando soddisfatti i requisiti costantemente sottolineati dalla Corte Costituzionale: posto che il rilascio delle concessioni marittime prevede, ex lege ai sensi del richiamato art. 18 legge 84/1994 , l’intervento nella relativa procedura amministrativa di altri soggetti pubblici e la medesima stipula della concessione con i privati presuppone una accettazione delle condizioni del concessionario tale da implicare l’ esclusione di possibili abusi, il tributo in questione deve ritenersi legittimo e conforme a detto precetto.
7.8. Giova ribadire che il giudice delle leggi ha, invero, ripetutamente statuito che detta disposizione presuppone che la fonte primaria stabilisca «sufficienti criteri direttivi e linee generali richiedendosi in particolare che la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dai pertinenti precetti legislativi», e non esclude «l’intervento complementare ed integrativo da parte della pubblica amministrazione … circoscritto alla specificazione quantitativa (e qualche volta, anche qualitativa) della prestazione medesima: senza che residui la possibilità di scelte del tutto libere e perciò eventualmente arbitrarie della stessa pubblica amministrazione, ma sussistano nella previsione legislativa -considerata nella complessiva disciplina della materia -razionali ed adeguati criteri per la concreta individuazione dell’onere imposto al soggetto nell’interesse generale» (Corte Cost. , n. 69 del 2017; v., altresì, Corte Cost., n. 115 del 2011; Corte Cost., n. 350/2007; Corte Cost., n. 190del 2007; Corte Cost., n. 105 del 2003; Corte Cost., n. 323 del 2001).
Gli elementi costitutivi dell’imposizione discendono, invero, da criteri di legge e non dalla autonomia gestionale della autorità gerente. Deve, infatti, osservarsi che la pretesa impositiva, in termini generali, si fonda e trova la sua legittimazione nella legge (art. 23 Cost.) -(vedi Cass. SS.UU. n. 10306/2016 che ha chiarito come la determinazione del canone di concessione ‘è ad altri affidata dalla legge , rimanendo, quindi, salva la riserva di legge relativa) e si giustifica in ragione della capacità contributiva del privato (art. 53 Cost.) non ponendosi, neanche, un problema di violazione del principio di uguaglianza dinanzi alla legge (art. 3), in ragione, peraltro, della possibile ricorribilità in sede giurisdizionale di quei canoni concessori che l’autorità portuale abbia fissato in violazione di tali criteri e, più in generale, dei parametri di proporzionalità e ragionevolezza.
7.9. La infondatezza delle censure proposte scaturisce, pervero, dalla considerazione che nella fattispecie la scelta sull’ an del tributo è esercitata dal legislatore (nazionale prima e regionale poi) e trova fondamento nella utilizzazione esclusiva di un bene dello Stato che crea un incremento economico nel concessionario, con correlativo sacrificio da parte del titolare del bene (lo Stato) che lo sottrae all’uso pubblico.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono il ricorso deve, dunque, essere rigettato.
In ragione del consolidarsi, nel corso del giudizio, di un orientamento di legittimità unitario in relazione alla materia dell’ l’imposta regionale relativa alla concessione del demanio rilasciata da una RAGIONE_SOCIALE portuale, sussistono i presupposti di legge per disporre la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese; visto l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto. Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data