Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3771 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 3771 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
Oggetto:
Tributi – Avviso di
pagamento – I.R.B.A.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17577/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale allegata al controricorso (PEC: EMAIL; EMAIL);
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle dogane e dei monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 1258/13/2022, depositata l’1 .02.2022.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 14.01.2025;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Sentiti, per la RAGIONE_SOCIALE, l’avvocato NOME COGNOME e, per l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, l’avvocato dello Stato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La CTP di Napoli accoglieva il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’atto di contestazione ed irrogazione di sanzioni n. 281100/305/2019, emesso dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM), per omesso versamento dell’Imposta Regionale sulla Benzina per Autotrazione (IRBA) per l’anno 2016, per un totale di € 4.005,97 , e per errata compilazione della relativa dichiarazione.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la CTR della Campania accoglieva l’appello proposto dall ‘ADM , osservando, per quello che qui ancora interessa, che:
la RAGIONE_SOCIALE era rimasta titolare del rapporto tributario, pur in presenza di delega di pagamento conferita alla RAGIONE_SOCIALE, in quanto, come si evinceva dal contratto di mandato senza rappresentanza al pagamento dell’IRBA, stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE in data 5.01.2005, la RAGIONE_SOCIALE si era impegnata ad effettuare il versamento dell’imposta in nome proprio, ma per conto del delegante che rimaneva soggetto passivo invariato dell’imposta e che avrebbe dovuto controllare l’avvenuto versamento dell’imposta;
la normativa non prevedeva nemmeno in via sussidiaria la responsabilità in capo al gestore di fatto che non fosse anche titolare della licenza o concessionario;
era irrilevante la circostanza che la ERG aveva provveduto negli anni precedenti ad effettuare i versamenti e non era ravvisabile alcuna situazione di obiettiva incertezza della normativa;
le argomentazioni contenute in altra sentenza della stessa CTR erano prive di rilievo, in quanto non riguardavano la questione della legittimità delle sanzioni, ma quella della legittimità del tributo, non sollevata nel primo grado del giudizio.
Contro la suddetta decisione la SAP proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L ‘ADM resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente RAGIONE_SOCIALE deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 17 del d.lgs. n. 398 del 1990, 1, par. 2, della Direttiva 2008/118/CE, recepita con d.lgs. n. 48 del 2010, 1 della l. n. 178 del 2020, 3 e 25 del d.lgs. n. 472 del 1997, per avere la CTR errato nel non disapplicare la disciplina normativa in materia di IRBA, abrogata dall’art. 1, comma 628, della l. n. 178 del 2020, ma ancora vigente in relazione alle obbligazioni tributarie già sorte, per contrasto con il diritto unionale e in applicazione del principio di effettività, e nel non dichiarare la conseguente illegittimità delle sanzioni alla medesima connesse, anche in virtù del principio del ‘favor rei’ e di legalità, essendo irrilevante che la relativa censura non sia stata sollevata nel giudizio di primo grado, atteso che la sua abrogazione è intervenuta dopo la sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo, si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione de ll’ art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997, per non avere la CTR considerato che, avendo la RAGIONE_SOCIALE delegato il fornitore RAGIONE_SOCIALE ad effettuare il versamento dell’IRBA ed essendo stata questa sempre versata negli 11 anni precedenti, non poteva essere a conoscenza dei quantitativi di carburante erogato e del mancato pagamento dell’imposta, per cui la violazione contestata è conseguenza di un errore di fatto, non
determinato da colpa, e comunque è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni relative a detta violazione.
Con il terzo motivo, si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di motivare o per avere motivato in modo apparente o perplesso, nella parte in cui ha rigettato il gravame, in quanto la legittimità del tributo non era stata sollevata nel primo grado del giudizio, senza considerare la stretta connessione esistente fra il tributo e la sanzione.
Il terzo motivo, che per ragioni di priorità logica va esaminato per primo, è infondato.
4.1 Come hanno sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’e sistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sot to l’aspetto materiale e grafico, ma anche nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, non essendo più ammissibili mere censure di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale (Cass. n. 23940 del 12/10/2017).
4.2 Solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo” , in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi
lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232).
4.3 La sentenza impugnata non è affetta da tale grave vizio, neppure nella parte evidenziata dalla ricorrente, in quanto presenta una motivazione che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno ritenuto inammissibile la censura sulla illegittimità del tributo, in quanto non proposta nel primo grado del giudizio. Le argomentazioni svolte esplicitano le ragioni della decisione, per cui eventuali profili di insufficienza della motivazione, anche se sussistenti, non la viziano in modo così radicale da renderla meramente apparente, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053).
Il primo motivo è fondato.
5.1 Deve premettersi che l’IRBA è stata istituita dall’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 398 del 1990, che in attuazione della delega di cui all’art. 6, comma 1, lett. c), della legge n. 158 del 1990, ha disposto che « Le regioni a statuto ordinario hanno facoltà di istituire con proprie leggi un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva, in misura non eccedente lire 30 al litro ». Lo stesso art. 17 cit. ha stabilito, al comma 2, che « Le regioni, possono, con successive leggi, fissare l’aliquota dell’imposta in misura diversa da quella precedentemente prevista, purché non eccedente lire 30 al litro, sulla benzina erogata successivamente alla data di entrata in vigore della legge che dispone la variazione ». L’art. 18 dello stesso decreto legislativo ha previsto che « L’imposta eventualmente istituita è dovuta dal soggetto consumatore della benzina ed è riscossa dal soggetto erogatore che deve versarlo
alla regione sulla base dei quantitativi erogati risultanti dal registro di carico e scarico di cui all’art. 3 del decreto-legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474 » e l’art. 19 ha disposto che « Le modalità di accertamento, i termini per il versamento dell’imposta nelle casse regionali, le sanzioni, da determinare in misura compresa tra il 50 per cento ed il 100 per cento del tributo evaso, le indennità di mora e gli interessi sono disposti da ciascuna regione con propria legge, con l’osservanza dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato ».
5.2 La disciplina in esame è stata poi modificata dalla legge n. 549 del 1995, il cui art. 3, al comma 14, ha abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 1996, gli artt. 18 e 19 del citato d.lgs. n. 398 del 1990 e, al comma 13, da un lato, ha inciso sulla struttura d ell’IRBA ponendone la corresponsione a carico del concessionario dell’impianto di distribuzione (e non più del soggetto consumatore della benzina, con riscossione da parte del soggetto erogatore, tenuto a versarne l’importo alla Regione, come previsto dall’art. 18 dello stesso d.lgs. n. 398 del 1990) nella misura determinata sulla base dei quantitativi erogati e contabilizzati nei registri di carico e scarico; dall’altro, nel dettare disposizioni sull’accertamento e sulla riscossione del tributo, in c ontinuità con l’abrogato art. 19 del d.lgs. n. 398 del 1990, ha precisato che « le modalità ed i termini di versamento, anche di eventuali rate di acconto, le sanzioni, da stabilire in misura compresa tra il 50 e il 100 per cento dell’imposta evasa, sono s tabiliti da ciascuna regione con propria legge ».
5.3 La Regione Campania, avvalendosi della facoltà attribuitale, con l’art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 28, ha istituito (a decorrere dal 1° gennaio 2004) « l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione di cui al decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, articolo 17 » che si configura come un tributo regionale proprio
derivato, avente struttura analoga a quella dell’accisa, in quanto, al pari di questa, colpisce la vendita della benzina per autotrazione in base alla quantità, e non al valore, e diviene esigibile nel momento e nel luogo in cui avviene l’immissione al con sumo del prodotto energetico.
5.4 Detta imposta, da ultimo, è stata soppressa tanto dal legislatore nazionale, che, con l’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020 (Legge di bilancio 2021), ha disposto che « L’articolo 6, comma 1, lettera c), della legge 14 giugno 1990, n. 158, l’articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, l’articolo 3, comma 13, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, l’articolo 1, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e l’articolo 1, commi 670, lettera a), e 671, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recanti disposizioni in materia di imposta regionale sulla benzina per autotrazione, sono abrogati. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte. », quanto dalla stessa Regione Campania che, in attuazione del disposto dell’art. 1, comma 629, della legge di bilancio 2021, con l’art. 54 della legge 29 giugno 2021, n. 5, nel disporre l’abrogazione delle disposizioni normative che, per il passato, avevano regolato il prelievo tributario in questione (art. 54, comma 2), ha espressamente previsto che « A decorrere dal periodo d’imposta 2021 è soppressa l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte » (art. 54, comma 1).
5.5 Come, dunque, reso esplicito dalla successione normativa sopra richiamata, l’IRBA non può trovare più applicazione nella Regione Campania a decorrere dal periodo d’imposta 2021, ciò non di meno rimanendo « salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte » durante il periodo di vigenza del tributo.
Orbene, nel descritto contesto normativo, con specifico riferimento all’IRBA istituita dalla Regione Lazio con l’art. 3 della legge regionale n. 19 del 2011, e, dunque, in relazione ad una disciplina del
tutto omogenea a quella (ora) in esame siccome rinveniente dal medesimo fondamento normativo offerto dalla legislazione nazionale e connotata da medesimi contenuti di regolazione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è specificamente intervenuta a seg uito di rinvio pregiudiziale, in ordine al tributo qui dedotto, l’IRBA, con ordinanza del 9 novembre 2021, nella causa C-255/20, pronunciandosi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale che verteva sull’interpretazione dell’art. 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 alla luce dell’art. 1, paragrafi 1 e 2 della direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, che, dispone nei seguenti termini: « Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni ».
6.1 Ai sensi di detta disposizione, che sostanzialmente riproduce le previgenti disposizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 (cfr. CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, punto 27; CGUE, 5 marzo 2015, causa C-553/13, punto 34), gli Stati membri possono, quindi, applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette a condizione che dette imposte rispondano a finalità specifiche e che siano conformi alle norme fiscali dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’imposta sul valore aggiunto per la determinazione della base imponibile, nonché per il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta. Le due condizioni, che mirano ad evitare che le imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi, hanno carattere cumulativo e, per quanto attiene alla prima di dette condizioni, per finalità specifica, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, si deve intendere una finalità che non sia puramente
di bilancio (cfr. CGUE, 7 febbraio 2022, causa C-460/21, punti 19 e ss.; CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, punti 27 e ss.; CGUE, 25 luglio 2018, causa C-103/17, punti 34 e ss.).
6.2 La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’ordinanza del 9 novembre 2021, pronunciata nella causa C-255/20, ha affermato che: a) anche se l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE prevede che gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette, è necessario che tali imposte abbiano «finalità specifiche» e che siano conformi alle norme fiscali dell’Unione applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta; siccome qualsiasi imposta persegue necessariamente uno scopo di bilancio, la sola circostanza che un’imposta miri ad un obiettivo di bilancio non può, di per sé sola, salvo privare l’artic olo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE di qualsivoglia sostanza, essere sufficiente a escludere che l’imposta in parola possa essere considerata dotata parimenti di una «finalità specifica» ai sensi di tale disposizione; b) affinché la destinazione predeterminata del gettito di un’imposta che grava sui prodotti sottoposti ad accisa consenta di considerare che tale imposta persegue una «finalità specifica» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE, è necessario che l’imposta in questione miri, di per sé stessa, a garantire la realizzazione della finalità specifica invocata, e quindi che sussista un nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la predetta finalità specifica; c) in assenza di un meccanismo di destinazione predeterminata del gettito, un’imposta che grava sui prodotti sottoposti ad accisa può essere considerata perseguire una «finalità specifica» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 soltanto qualora tale imposta sia concepita, quanto alla sua struttura, segnatamente riguardo alla materia imponibile o all’aliquota d’imposta, in modo tale
da influenzare il comportamento dei contribuenti nel senso di consentire la realizzazione della finalità specifica invocata, ad esempio mediante una forte tassazione dei prodotti di cui trattasi al fine di scoraggiarne il consumo; d) alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che istituisce un’imposta regiona le sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che non si può ritenere che tale imposta abbia una «finalità specifica» ai sensi di tale disposizione, il suo gettito essendo inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti territoriali.
6.3 Questa Corte ha già avuto modo di rilevare, più volte, che alla disposizione di cui alla direttiva 2008/118/CE, art. 1, paragrafo 2, va riconosciuta efficacia diretta nello Stato (Cass., 15 ottobre 2020, n. 22343, in motivazione; Cass., 23 ottobre 2019, n. 27101; Cass., 4 giugno 2019, n. 15198) e che, in ragione del primato del diritto dell’Unione Europea, che impone il doveroso rispetto degli obblighi di adottare « ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione » (cd. principio di leale cooperazione; art. 4, par. 3, del TUE, già art. 10 TCE) e di realizzare il risultato prescritto da una direttiva, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi (art. 288 TFUE, già art. 249 TCE ), alla stessa, nell’interpretazione offertane dalla Corte di Giustizia, il giudice nazionale deve dare applicazione, non venendo in rilievo, per l’appunto, un rapporto esau rito (Cass., Sez. U., 16 giugno 2014, n. 13676), disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in
via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale e che la verifica della compatibilità del diritto interno con le disposizioni comunitarie vincolanti deve essere effettuata di ufficio dal giudice, tenuto all’applicazione di queste ultime, per cui il relativo controllo non è condizionato, nel giudizio di primo grado, alla proposizione di un’apposita eccezione, né, in quello di impugnazione, alla formulazione di uno specifico motivo, dovendo, altresì, esercitarsi anche in sede di legittimità, ove non siano necessari nuovi accertamenti in fatto ( cfr. Cass., 25 maggio 2023, n. 14606; Cass., 9 ottobre 2019, n. 25278; Cass, 31 ottobre 2018, n. 27822; Cass., 10 dicembre 2015, n. 24952; Cass., 2 luglio 2014, n. 15032).
6.4 Del resto, occorre rilevare come l’interpretazione di una norma di diritto comunitario data pregiudizialmente dalla CGUE nell’esercizio della competenza ad essa attribuita «chiarisce e precisa, quando ve ne sia il bisogno, il significato e la portata della norma, quale deve, o avrebbe dovuto, essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore »; con la conseguenza che, proprio per la sua portata interpretativa dichiarativa, essa produce effetti normalmente retroattivi sui rapporti ancora aperti e sub iudice , in modo tale che « la norma così interpretata può, e deve, essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa, se, per il resto, sono soddisfatte le condizioni che consentono di portare alla cognizione dei giudici competenti una controversia relativa all’applicazione di detta norma » (Corte di Giustizia UE, sentenza 27 marzo 1980, cause riunite nn. 66, 127 e 128/79).
6.5 Inoltre, conformemente a quanto stabilito da questa Corte, se è vero che oggetto del presente giudizio è la realizzazione di una pretesa impositiva insorta prima della soppressione del tributo e che, stante la su riportata clausola legale, dovrebbe rimanere «salva» nei suoi effetti obbligatori, tuttavia, l’accertata incompatibilità dell’imposta
con il diritto UE, secondo quanto si è già osservato, esclude che questa clausola di salvezza possa sopravvivere alla radicale espunzione del tributo, proprio per le predette considerazioni di incompatibilità, dall’ordinamento nazionale. Sicché, per le ste sse ragioni ostative già evidenziate dalla CGUE nella pronuncia menzionata, deve questo giudice nazionale disapplicare la norma interna che vorrebbe mantenere al tributo soppresso una residuale efficacia impositiva per il passato, cioè in rapporto alle obbligazioni insorte prima della soppressione stessa. Conclusione, questa, che impone di ritenere non dovuta l’imposta anche per le annualità precedenti al 2021, con ciò parimenti disapplicando la citata legge regionale che ha, a sua volta, collocato un limit e temporale di validità ed efficacia di un’imposta che si pone in già affermato totale contrasto con il diritto UE e, in particolare, con l’articolo 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE (cfr. fra le tante Cass., 6 marzo 2023, n. 6687; Cass., 8 marzo 2023, n. 6966; Cass., 19 giugno 2023, n. 17436; Cass., 19 giugno 2023, n. 17529).
6.6 Peraltro, già nell’impianto della legge di delega n. 158 del 1990 (art. 6), la « facoltà delle regioni a statuto ordinario di istituire un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle predette regioni » veniva correlata all’obiettivo di «attribuire alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia impositiva in adempimento del precetto di cui al secondo comma dell’articolo 119 della Costituzione»; e che, ivi difettando l’individuazione di u na «finalità specifica», ad un siffatto vuoto di previsione nemmeno la legge della Regione ricorrente ha mai ovviato (Cass., 25 maggio 2023, n. 14606).
6.7 Si tratta di una ricostruzione, normativa e giurisprudenziale, che è stata avvalorata anche dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 100 del 4 giugno 2024, nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della
Regione Molise 31 dicembre 2004, n. 38, come modificato dall’art. 5, comma 1, della legge della Regione Molise 30 gennaio 2018, n. 2 sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione e ai «criteri fissati dalla legge delega e da quelle applicative», ha evidenziato che « 5.3. -Anche questa Corte ha ripetutamente affermato che il giudice nazionale deve dare piena e immediata attuazione alle norme dell’Unione europea provviste di efficacia diretta e non applicare, in tutto o anche solo in parte, le norme interne ritenute con esse inconciliabili, previo -ove occorra -rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 267 TFUE per dirimere possibili dubbi riguardo all’esistenza di tale conflitto. Il contrasto con il diritto dell’Unione europea condiziona, infatti, la stessa applicabilità della disposizione censurata nel giudizio a quo -e, di conseguenza, la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale che si intendano sollevare sulla medesima -, se la norma europea è dotata di effetto diretto, salvo che sussistano i presupposti, gradualmente precisati da questa Corte a partire dalla sentenza n. 269 del 2017, per sollevare questione di legittimità costituzionale sulla base del contrasto tra la disposizione censurata e un diritto riconosciuto tanto dalla Costituzione, quanto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (da ultimo, sentenza n. 15 de l 2024, punto 7.3.3. del Considerato in diritto). In tale ultima ipotesi, ravvisabile nell’odierno giudizio, la questione di compatibilità con il diritto dell’Unione costituisce, dunque, un prius logico e giuridico rispetto alla stessa questione di legittimità costituzionale in via incidentale (sentenza n. 245 del 2019; ordinanze n. 48 e n. 2 del 2017). 6. -In conclusione, le disposizioni di diritto intertemporale che, per i rapporti in essere al 1° gennaio 2021, mantengono in vita una disciplina, quale que lla dell’IRBA, ritenuta dalla Corte di giustizia contrastante con il diritto dell’Unione, «si prestano a essere disapplicate dal giudice rimettente» (ancora, in altra materia, sentenza n. 67 del 2022)».
6.8 Con riferimento alla nozione di finalità specifica in relazione alla legge regionale della Campania n. 28 del 2003, deve rilevarsi che l’art. 1, comma 3, ha previsto una destinazione del gettito prodotto dall’IRBA, unitamente al gettito prodotto dalla tass a e dalla sopratassa automobilistica regionale (ex art. 2 della stessa legge) ad un fondo « prioritariamente utilizzato per il rafforzamento patrimoniale delle Aziende sanitarie locali o per l’incremento del capitale della società di cui all’articolo 6, comma 1 », stabilendo che « Per il finanziamento del fondo di cui al comma 1 è autorizzata la spesa di 400 milioni di euro per l’anno 2004 e di 200 milioni di euro per l’anno 2005 ».
6.9 Alla luce di quanto esposto, dunque, e contrariamente a quanto affermato dall ‘ADM , deve ritenersi che, in conformità a quanto affermato dai giudici unionali, la legge regionale n. 28 del 2003, non ha previsto una «finalità specifica» ai sensi dell’art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, atteso che il finanziamento di un fondo del bilancio regionale avente come scopi il rafforzamento patrimoniale delle Aziende sanitarie locali e l’incremento del capitale di una società destinata a sviluppare programmi per la gestione del debito sanitario regionale rappresenti una mera finalità di bilancio, peraltro finanziata anche da altre fonti di gettito (quale la sopratassa automobilistica regionale) e comunque individuata solo in relazione ai periodi 2004 e 2005 e non anche per gli anni che vengono in rilievo nella presente causa. Ed invero, la finalità specifica non è data dalla «finalità di bilancio», perché qualsiasi imposta persegue necessariamente uno scopo di bilancio, ma è anche necessario che un’imposta sia diretta, di per sé, a garantire la tutela della salute e dell’ambiente e ciò si verifica quando il gettito dell’imposta debba obbligatoriamente essere utilizzato al fine di ridurre i costi sociali e ambientali specificamente connessi al consumo del carburante su cui grava l’imposta, cosicché sussista un nesso diretto tra l’uso del gettito e la finalità dell’imposta di cui trattasi;
inoltre, deve essere esclusa la finalità specifica nel caso in cui il gettito dell’imposta sia finalizzato alle spese sanitarie in generale e non a quelle specificamente connesse al consumo del carburante (come nel caso di specie), perché spese generali che possono essere finanziate dal gettito di imposte di qualsiasi natura. Ciò conformemente ai principi statuiti dai giudici unionali che, ai fini della configurabilità della «finalità specifica», hanno ritenuto necessario che la normativa nazionale preveda meccanismi di assegnazione predeterminata a fini ambientali del gettito dell’imposta e, in mancanza di siffatta assegnazione predeterminata, che l’imposta sia concepita, quanto alla sua struttura, segnatamente riguardo alla materia imponibile o all’aliquota d’imposta, in modo tale da scoraggiare i contribuenti dall’utilizzare i prodotti i cui effetti sono meno nocivi per l’ambiente.
La sentenza impugnata non si è attenuta ai principi suesposti, essendosi limitata ad affermare che, non avendo la SAP contestato la legittimità del tributo fin dal primo grado del giudizio, la relativa censura non poteva essere proposta in appello, senza considerare che la verifica della compatibilità del diritto interno con quello unionale non è condizionata, neppure nel giudizio di cassazione, alla deduzione di uno specifico motivo, potendo le relative questioni essere conosciute d’ufficio, come nei ca si di ius superveniens e della modifica normativa determinata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale ( ex plurimis , Cass. 28/10/2005, n. 21083; Cass. 27/05/2022, n. 17193, in motivazione).
7.1 E’ appena il caso di rilevare, inoltre, che l’affermazione dell’ADM circa la definitività dell’atto impositivo , a seguito del quale sarebbe scaturito l’atto di contestazione e di irrogazione delle sanzioni impugnato, risulta carente di autosufficienza, non essendo stato lo stesso riprodotto nel testo del controricorso, sia ai fini della prova della
sua emanazione sia per dimostrare la sua definitività per mancata opposizione da parte della contribuente.
L’esame del secondo motivo di ricorso è assorbito dall’accoglimento del primo motivo .
In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo e rigettato il terzo motivo; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo e rigettato il terzo motivo; rinvia alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2025