Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20910 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20910 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25105/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME MASSIMO (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 821/2022 depositata il 05/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE impugnava, avanti la Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, l’avviso di accertamento emesso dalla società RAGIONE_SOCIALE quale concessionaria della riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità per conto del Comune di Bergamo, con il quale recuperava l’omesso versamento, per l’anno d’imposta 2019, del dovuto in relazione a mezzi pubblicitari esposti presso una stazione di distribuzione carburanti lungo la pubblica via.
La Commissione adita, con sentenza n. 344/2019, ritenuto che non sussistevano degli estremi per la diffusione dei messaggi pubblicitari ma che trattavasi di scritte e segnalazioni con finalità distintiva, accoglieva il ricorso e la CTR, con la sentenza n. 821/26/2022 in data 5 marzo 2022, confermava la pronunzia di primo grado, rigettando l’appello della RAGIONE_SOCIALE
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, la società RAGIONE_SOCIALE cui resiste con controricorso società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la RAGIONE_SOCIALE deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma n.3. c.p.c., violazione ed errata applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 507/1993 assumendo che i giudici di appello avevano omesso di considerare che tutti i mezzi individuati nell’avviso di accertamento de quo riguardanti il logo, il marchio e la ragione sociale della società, il tipo di prodotto venduto con i colori tipici, il tipo di servizio offerto miravano ad attirare i fruitori della strada facendo loro conoscere la presenza di un impianto di distribuzione carburante la cui immagine veniva resa accattivante e migliorata
proprio in virtù dei cartelli esponenti il marchio ed il logo tipico della società oltre che diversi servizi e prodotti offerti all’interno della stazione di carburante, apparendo palese la sussistenza dei presupposti impositivi di cui alla norma richiamata.
Osserva, ancora, che la CTR non aveva considerato che i cartelli in questione -le cui dimensioni non erano contestate – superavano i limiti dimensionali previsti al fine di soggiacere all’esenzione di cui all’art. 17) lettera i) d.lgs. 507/1993 e che andava, pure, considerato che le insegne relative alle scritte ‘DIESEL’ e ‘SELF’ situate all’interno della stazione nella prossimità del distributore non erano rivolte alla clientela già entrata nel servizio bensì appositamente e strategicamente collocate sul palo prospiciente la strada col fine di catturare l’attenzione ed attirare potenziali consumatori con ogni conseguenza circa la ricorrenza presupposti impositivi.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma n.3. c.p.c., violazione e falsa applicazione degli art. 7, comma uno, e 17 comma 1-bis del d.lgs. 507/1993 nonchè dell’art. 2697 c.c. in tema di riparto dell’onere probatorio posto che la CTR. non aveva valutato che non poteva certo applicarsi l’esenzione di cui all’art. 17, comma 1bis , d.lgs. 507/1993 trattandosi, senza dubbio di insegne, superiori ai 5 m quadri.
Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma n.3. c.p.c., violazione di legge per avere i giudici di appello ritenuto che tali mezzi costituivano un’espressione di un obbligo di legge non considerando che nessuna norma impone ai distributori di carburante l’ostensione del proprio logo dovendosi, in ogni caso, tenere conto della dimensione complessiva delle insegne, avendo la parte contribuente, peraltro, dedotto ma non comprovato che sei delle insegne aveva superficie inferiore a 0,50 mq.
I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi, sono da ritenere fondati nei termini appresso specificati.
4.1. Va premesso che i giudici territoriali, senza operare alcuna specifica descrizione degli impianti, operando un mero, richiamo ai principi fissati da Cass. 21 giugno 2021, n. 17624, hanno genericamente affermato che nel caso in questione era la palese che non si verteva in un’ipotesi di diffusione di messaggi pubblicitari destinati a promuovere la domanda di beni e servizi ovvero finalizzata a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato dovendosi considerare che, per un impianto di distribuzione carburante quale quello in esame, l’uso del marchio non costituiva ostentazione ma una necessità di distinzione del prodotto in quanto volto a far conoscere la presenza dell’impianto di distribuzione carburanti con l’esatta indicazione dei prodotti venduti c he, fra l’altro, rispondeva a un preciso obbligo di legge.
‘ così dispone:
d.lgs. n. 507/1993 il quale
i 5 metri
quadrati. I comuni, con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, possono prevedere l’esenzione dal pagamento dell’imposta per le insegne di esercizio anche di superficie complessiva superiore al limite di cui al primo periodo del presente comma’.
4.3. Osserva questa Corte che i giudici territoriali, senza soffermarsi in alcun modo sullo specifico oggetto dell’imposizione, sono pervenuti a conclusioni non aderenti alla normativa di riferimento in ordine alla ritenuta carenza, tout court, dei presupposti impositivi senza distinguere tra messaggio pubblicitario, in senso proprio, ed avviso al pubblico e senza considerare che proprio su questa
distinzione si sofferma la invocata Cass., 21 giugno 2021, n. 17624 rilevando quando, all’interno di una stazione di servizio, può parlarsi di mere informazioni (cd. avvisi al pubblico) ovvero di messaggi pubblicitari (v. altresì, su detta distinzione Cass., 17 gennaio 2019, n. 1169; Cass., 16 ottobre 2014, n. 21966)
4.4. La sentenza impugnata pretermette, invero, ogni considerazione sul contenuto e sulla composizione dell’impianto sottoposto a tassazione, omette di considerare che l’insegna è esente solo alle prescritte condizioni (art. 17, comma 1-bis, cit.) e non opera alcuna verifica della distinzione (in funzione, per l’appunto, di contenuto e composizione del messaggio) tra messaggio pubblicitario e avviso al pubblico.
5. I giudici di appello, incorrendo nella lamentata violazione di legge, hanno, in sostanza, del tutto trascurato di verificare se, in concreto, l’uso del segno distintivo era stato effettuato in chiave semplicemente identificativa dei prodotti e dei servizi dell’impresa o se vi era stato un uso del segno distintivo in chiave pubblicitaria, con la precisazione che quel che conta, ai fini della imposta comunale sulla pubblicità, al di là delle intenzioni soggettive, è l’oggettivo risultato conseguito con il messaggio dal soggetto interessato alla pubblicità.
in tema di imposta
comunale sulla pubblicità, l’uso del segno distintivo dell’impresa o del prodotto (ditta, ragione sociale, marchio) non è escluso dall’ambito delle forme pubblicitarie imponibili quando, per il luogo (pubblico, aperto o esposto al pubblico) ove è situato, per le sue caratteristiche strutturali o per le modalità con cui viene utilizzato, il segno risulti obiettivamente idoneo a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o utenti il nome, l’attività o il prodotto dell’impresa, e non abbia, quindi, soltanto una mera finalità distintiva (Cass. Sez. 5, 11/05/2018, n. 11530; vedi anche Cass.
n. 9580 del 1994 n. 15654 del 2004; n. 20830 del 2005, n. 8658 del 2015).
6.1. Deve, ancora, richiamarsi il principio per cui in tema di imposta di pubblicità, non rientrano nell’ambito di applicazione del tributo previsto dall’art. 5 d.lgs. n. 507 del 1993 i cartelli situati all’interno delle stazioni di servizio che, in prossimità dei diversi distributori, indicano il tipo di carburante somministrato, trattandosi di messaggi privi di contenuto pubblicitario, che esplicano una funzione essenzialmente informativa e segnaletica rivolta alla clientela che entra nell’area di rifornimento dei combustibili. (vedi Cass. Sez. 5, 21/06/2021, n. 17624, sopra richiamata).
dal richiamato art. 5 d.lgs. cit. si evince che l’imposta in questione ha ad oggetto la diffusione comunicativa di messaggi pubblicitari in luogo pubblico o aperto al pubblico, intendendosi per tali i messaggi, ad oggetto economico, aventi finalità promozionale e di miglioramento dell’immagine dell’operatore di mercato.
Si impone, quindi, l’esigenza di distinguere fra le scritte che non sono destinate a promuovere la domanda di beni o servizi, e nemmeno a migliorare l’immagine dell’impresa fornitrice di carburante ma solo di indicare all’utenza il luogo in cui dirigersi per ottenere le prestazioni per le quali ha fatto ingresso nella stazione di distribuzione del carburante, scritte che esplicano, dunque, una funzione essenzialmente informativa e segnaletica rivolta all’utenza che intenda procedere all’acquisto dei prodotti offerti e scritte che, invece, mirano a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili utenti il nome, l’attività o il prodotto dell’impresa.
7. Orbene, la sentenza impugnata da un lato ha svolto considerazioni astratte e generiche e, sotto altro profilo, non si è conformata alle suddette disposizioni ed ai suindicati principi; la stessa va, pertanto, cassata con rinvio per nuovo esame alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione, che dovrà
riesaminare la fattispecie in esame uniformandosi ai principi sopra richiamati, provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data