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Imposta pubblicità: quando il marchio è tassabile?

La Corte di Cassazione chiarisce i confini dell’imposta pubblicità per le insegne aziendali. Un operatore di una stazione di servizio aveva ottenuto ragione in primo e secondo grado, sostenendo che i propri marchi avessero solo funzione distintiva. La Suprema Corte ha ribaltato la decisione, stabilendo che un’insegna è tassabile quando, per dimensioni, posizione e caratteristiche, è oggettivamente idonea ad attirare l’attenzione di un numero indeterminato di potenziali clienti, superando la mera funzione identificativa. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame basato su questo principio.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta Pubblicità: Quando il Marchio Diventa Pubblicità Tassabile?

L’applicazione dell’imposta pubblicità rappresenta un terreno complesso, specialmente quando si tratta di distinguere un’insegna con mera funzione identificativa da un vero e proprio messaggio promozionale. Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione interviene per tracciare una linea chiara, analizzando il caso di una stazione di servizio e stabilendo i criteri per determinare quando un marchio esposto al pubblico diventa tassabile.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un avviso di accertamento emesso da una società concessionaria della riscossione per conto di un Comune del Nord Italia. L’atto contestava a una società di distribuzione di carburanti l’omesso versamento dell’imposta comunale sulla pubblicità per l’anno 2019, in relazione a diversi mezzi pubblicitari esposti presso una sua stazione di servizio.

L’operatore della stazione di servizio impugnava l’avviso, sostenendo che le insegne contestate (logo, marchio, ragione sociale e indicazioni dei prodotti) avessero una finalità puramente distintiva e non pubblicitaria. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Commissione Tributaria Regionale accoglievano questa tesi, annullando l’accertamento. Secondo i giudici di merito, non sussistevano gli estremi per considerare tali mezzi come messaggi pubblicitari, trattandosi piuttosto di scritte e segnalazioni necessarie a identificare l’attività.

I Motivi del Ricorso e l’applicazione dell’imposta pubblicità

La società concessionaria, non soddisfatta della decisione di secondo grado, proponeva ricorso per cassazione, basandosi su tre motivi principali. In sostanza, lamentava l’errata applicazione della normativa sull’imposta pubblicità (D.Lgs. 507/1993). La ricorrente sosteneva che i giudici di appello avessero erroneamente ignorato che tutti i mezzi esposti – dal logo ai colori tipici, dal tipo di prodotto al servizio offerto – miravano oggettivamente ad attirare i passanti, facendo conoscere la presenza dell’impianto e rendendone l’immagine più accattivante. Inoltre, si evidenziava come alcune insegne superassero i limiti dimensionali previsti per le esenzioni e fossero strategicamente posizionate per catturare l’attenzione di potenziali consumatori dalla strada pubblica.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondate le doglianze della società concessionaria, cassando la sentenza impugnata. Il ragionamento della Suprema Corte si fonda sulla netta distinzione tra “messaggio pubblicitario” e “avviso al pubblico”. I giudici territoriali, secondo la Corte, avevano operato una valutazione astratta e generica, senza descrivere specificamente gli impianti tassati e senza operare la necessaria distinzione. Hanno erroneamente concluso che l’uso del marchio in una stazione di servizio rispondesse a una mera necessità distintiva o addirittura a un obbligo di legge.

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’uso del segno distintivo di un’impresa (ditta, ragione sociale, marchio) rientra nell’ambito delle forme pubblicitarie imponibili quando, per il luogo in cui è situato (pubblico o aperto al pubblico), per le caratteristiche strutturali o per le modalità di utilizzo, risulta oggettivamente idoneo a far conoscere a un numero indeterminato di persone il nome, l’attività o il prodotto dell’impresa. In questi casi, il segno non ha più una mera finalità distintiva, ma acquisisce una chiara valenza promozionale.

La sentenza impugnata è stata criticata per aver omesso di verificare se, in concreto, l’uso dei segni distintivi fosse stato effettuato in chiave semplicemente identificativa o in chiave pubblicitaria. Ciò che conta, ai fini dell’imposta pubblicità, non è l’intenzione soggettiva dell’imprenditore, ma il risultato oggettivo conseguito con il messaggio. I giudici di merito avrebbero dovuto analizzare se le insegne fossero dirette a informare la clientela già entrata nell’area di servizio (come le scritte sui distributori) o se, al contrario, mirassero a intercettare l’attenzione dei passanti sulla pubblica via, invogliandoli a entrare.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia. Il nuovo giudice dovrà riesaminare la fattispecie attenendosi ai principi enunciati. Sarà necessario un esame concreto e specifico di ogni singolo mezzo esposto per determinare se la sua funzione prevalente sia quella identificativa o quella pubblicitaria, valutandone dimensioni, posizione e idoneità a promuovere l’attività verso un pubblico indeterminato. Questa decisione rafforza il criterio dell’oggettività nella valutazione della natura pubblicitaria di un’insegna, con importanti implicazioni per tutte le attività commerciali che utilizzano marchi e loghi visibili dalla pubblica via.

Quando un’insegna con il marchio di un’azienda è soggetta a imposta pubblicità?
Un’insegna è soggetta a imposta pubblicità quando, per il luogo in cui è situata, per le sue caratteristiche strutturali o per le modalità con cui viene utilizzata, risulta oggettivamente idonea a far conoscere a un numero indeterminato di potenziali clienti il nome, l’attività o il prodotto dell’impresa, andando oltre la semplice finalità identificativa.

Le scritte come “DIESEL” o “SELF” in una stazione di servizio sono considerate pubblicità?
La loro natura dipende dalla posizione. Se sono situate in prossimità dei distributori e si rivolgono alla clientela già entrata nell’area di servizio, svolgono una funzione informativa e non sono tassabili. Se, invece, sono collocate in modo strategico per essere visibili dalla strada pubblica al fine di attirare potenziali clienti, possono essere considerate messaggi pubblicitari e quindi soggette a imposta.

Esiste un’esenzione dall’imposta pubblicità per le insegne di esercizio?
Sì, la legge prevede esenzioni per le insegne di esercizio, ma a determinate condizioni. Ad esempio, l’art. 17, comma 1-bis, del d.lgs. 507/1993 prevede un’esenzione per le insegne di superficie complessiva fino a 5 metri quadrati. Se le dimensioni superano questo limite o se l’insegna ha una chiara funzione promozionale, l’esenzione non si applica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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