Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20907 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20907 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22824/2022 R.G. proposto da: I.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 2819/2022 depositata il 04/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La ICA – Imposte Comunali RAGIONE_SOCIALE. concessionaria per l’accertamento, la liquidazione e la riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni, in nome e per conto del Comune di Cremona, notificava alla RAGIONE_SOCIALE, titolare sul territorio del Comune di Cremona di nove impianti di distribuzione al dettaglio di prodotti petroliferi a marchio ‘RAGIONE_SOCIALE‘, l’avviso di accertamento, oggetto di causa, con il quale determinava l’imposta sulla pubblicità e su lle affissioni dovuta per ciascun impianto, scomputando dal totale accertato la somma di € 18.284,00 ritenuta versata dalla società contribuente in relazione all’imposta comunale sulla pubblicità per l’anno 2015, relativa ai mezzi pubblicitari esposti nei menzionati impianti di distribuzione.
L’avviso veniva annullato dalla Commissione tributaria provinciale di Cremona con la sentenza n.141/1/2019, confermata dalla Commissione tributaria regionale per la Lombardia con la sentenza n. 2819/26/2022.
Contro detta sentenza la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati con successiva memoria.
La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, eccependo, sotto vari profili, l’inammissibilità del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 1 -bis , d.lgs. 15.11.1993, n.507 e dell’art. 2 -bis , commi 5 e 6, d.l. 22.02.2002, n.13, convertito nella legge
24.04.2002, n.75, nonché dell’ art. 6, comma 1, d.lgs. 15.11.1993, n.507.
Osserva che i giudici di appello non avevano considerato che dall’avviso di accertamento e dagli elenchi contenuti nelle pagine 2 -5 del ricorso introduttivo della società contribuente si evinceva che le insegne di esercizio per ciascun distributore di carburante impegnavano complessivamente superfici ampiamente superiori ai cinque metri quadrati. Evidenzia che, risultando pacifica l’esposizione delle predette insegne di esercizio occorreva, prima di tutto, rilevare che l’art. 2 -bis , comma 6, d.l. 22.02.2002, n.13, convertito nella legge 24.04.2002, n.75 fornisce una definizione dell’insegna di esercizio, richiamando l’art.47, comma 1, del regolamento di cui al d.P.R. 16.12.1992, n.495 (regolamento di attuazione ed esecuzione del Codice della Strada), ossia <>, completando, poi, la definizione aggiungendo che per qualificarsi insegna la scritta deve avere altresì la <>. Rileva, ancora, che il combinato disposto di cui ai commi 5 e 6 dell’articolo 2 -bis d.l. 22.02.2002, n.13, convertito nella legge 24.04.2002, n.75 prevede che nel caso di pluralità di insegne, l’imposta (o il canone in caso di canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari di cui all’articolo 62, comma 1, d.lgs. 15.12.1997, n.446) è dovuta per l’intera superficie, specificando cioè il legislatore che, in ogni caso, sia che l’insegna sia unica, sia che le insegne siano plurime, qualora la sommatoria delle singole superfici delle insegne esposte superi la complessiva superficie di cinque metri quadrati, l’imposta è dovuta per l’intera superficie esposta, non costituendo, in buona sostanza, detta superficie una sorta di ‘franchigia’, ma
solamente un limite entro il quale, ovvero superato il quale, poter considerare applicabile l’esenzione o meno. Evidenzia che, pertanto, tenuto conto delle complessive superfici come risultanti dagli atti, appariva manifesta la violazione delle disposizion i di cui all’art. 17, comma 1bis , d.lgs. 15.11.1993, n.507, nonché delle norme di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 2 -bis , d.l. 22.02.2002, n.13, convertito nella legge 24.04.2002, n.75.
Precisa, ancora, che era altrettanto manifesta la violazione della norma di cui all’art. 6, comma 1, d.lgs. 15.11.1993, n.507, che prevede che il soggetto passivo, obbligato in via principale al pagamento dell’imposta è <> in quanto essendo pacifico che il bar, il negozio di ricambi per auto e l’officina – a cui la C.T.R. aveva attribuito i caratteri di attività commerciali diverse -erano, invece, ubicati presso le varie stazioni per il rifornimento del carburante riconducibili alla società contribuente presso le quali erano esposti i mezzi pubblicitari assoggettati all’imposta sulla pubblicità, risultava irrilevante, a meno che RAGIONE_SOCIALE non avesse fornito la prova contraria, non solo che tali diverse insegne di esercizio fossero riconducibili ad attività commerciali diverse da quella da essa stessa svolta presso ciascun singolo distributore (prova, comunque, non fornita), ma anche e soprattutto, che si trattasse di mezzi pubblicitari nella disponibilità di soggetti diversi rispetto alla società contribuente.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 5 e dell’art. 17, comma 1, lettera b) nonchè dell’articolo 7, comma 2, d.lgs. 15.11.1993, n.507, osservando che la C.T.R. non aveva considerato che la quasi totalità dei mezzi pubblicitari assoggettati ad imposta aveva superfici ampiamente superiori al metro quadrato (ed in ogni caso superiori al mezzo metro quadrato), comportanti, quindi, un notevole superamento del limite dimensionale del mezzo metro quadrato,
fissato dal legislatore all’art. 17, comma 1, lettera b), d.lgs. 15.11.1993, n.507 per gli avvisi e le comunicazioni al pubblico, anche inerenti i servizi di pubblica utilità, risultando, dunque, violato il combinato disposto di cui agli art. 5 e 17, comma 1, d.lgs. 15.11.1993, n.507 nella parte in cui i giudici di appello non avevano tenuto conto del limite dimensionale stabilito dal legislatore, oltre il quale anche gli avvisi e le comunicazioni al pubblico (anche quelli funzionali ad indirizzare il cliente verso i servizi di pubblica utilità) sono assoggettabili al pagamento dell’imposta.
3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 7, comma 1 e falsa applicazione dell’articolo 17, comma 1, lettera i), d.lgs. 15.11.1993, n.507 non avendo la C.T.R. considerato che il c.d. ‘monolito’ co stituisca intero impianto pubblicitario e come nella minima figura piana (rettangolare) di cui esso è composto siano circoscritti plurimi messaggi pubblicitari, che devono essere necessariamente conteggiati, quanto alla superficie imponibile sotto il profilo tributario, nell’ambito della minima figura piana geometrica costituita da detto rettangolo. Ne consegue che è del tutto irrilevante che al suo interno possa essere ricompreso anche un pannello che, qualora fosse esterno ed autonomo rispetto all’interez za dell’impianto, risulterebbe esente. Assume, poi, che i giudici di appello non avevano considerato che tale pannello è ricompreso all’interno dell’impianto ed esso concorre, pertanto, a formare la minima figura piana geometrica all’interno della quale i plurimi mezzi pubblicitari sono circoscritti, e ciò è sufficiente ai fini della configurabilità dei presupposti impositivi in esame.
4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’art. 115, comma 1, c.p.c., nonché per violazione dell’articolo 2697 c.c. Osserva che era viziata anche la quarta ed ultima ratio decidendi contenuta nella sentenza laddove la CTR aveva rilevato la fondatezza
dell’assunto di parte contribuente quanto all’ omessa valutazione dei versamenti effettuati dalla società contribuente in relazione all’annualità accertata.
Assume che, a fronte delle risultanze documentali, peraltro ignorate incorrendo appunto in violazione dell’articolo 115, primo comma, c.p.c., la CTR era, anche, incorsa nella violazione dell’articolo 2697 c.c. affermando che avrebbe dovuto essere la società di riscossione a fornire la prova della diversità dei mezzi pubblicitari per i quali era stata corrisposta l’imposta per pubblicità temporanea rispetto ai mezzi pubblicitari per i quali era stato emesso l’avviso di accertamento per maggiore imposta in questione.
Rileva, infine, che la CTR, sebbene avesse manifestato apparentemente perplessità circa la fondatezza delle ulteriori eccezioni in punto di ritualità dell’accertamento, di sua sufficienza motivazionale nonché in relazione all’eccepito giudicato esterno aveva affermato di considerarle assorbite, dichiarando, comunque, di riproporre le difese svolte sul punto nelle fasi di merito del giudizio.
Devono essere, in primo luogo, disattese le (plurime) eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate da parte controricorrente.
5.1. La società contribuente ha eccepito, in primo luogo, la inammissibilità del ricorso stante la formazione di un giudicato interno sulle questioni relative alla violazione del contraddittorio preventivo, alla carenza di prova della pretesa impositiva ed alla carenza di motivazione dell’accertamento.
Tale profilo è, all’evidenza, infondato in quanto su tali questioni non vi è stata una espressa pronunzia e le difese della concessionaria sono state, comunque, riproposte in seno all’atto di appello ed all’odierno ricorso.
Va, pervero, richiamato l’insegnamento per cui in tema di assorbimento cd. improprio, nel caso di rigetto di una domanda in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che rende vano esaminare le altre, sul soccombente non grava l’onere di
formulare sulla questione assorbita alcun motivo di impugnazione, ma è sufficiente, per evitare il giudicato interno, che censuri o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa. (Cass. Sez. 1, 04/01/2022, n. 48, Rv. 663479 – 01).
5.2. Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità dei motivi nn. 1, 2 e 3 del ricorso atteso il passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 4202/2019, resa tra le stesse parti in relazione alle medesime insegne pubblicitarie oggetto del presente giudizio, ma con riferimento all’annualità 2016.
Occorre osservare che, in generale, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il ” petitum ” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che,
estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta. (Cass. Sez. U., 16/06/2006, n. 13916, Rv. 589696 – 01).
La eccezione in questione è, tuttavia, da ritenere infondata atteso che la sentenza richiamata con efficacia di giudicato contiene, nella sostanza, mere valutazioni giuridiche.
Occorre ribadire che in tema di giudicato esterno, l’interpretazione delle norme giuridiche compiuta dal giudice non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro giudice, la quale, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può incontrare vincoli, non trovando riconoscimento, nell’ordinamento processuale italiano, il principio dello stare decisis. (Cass. Sez. 5, 05/03/2024, n. 5822, Rv. 670813 – 01). Appare evidente che quello che costituirebbe l’elemento comune alle cause si risolve, in sostanza, in una questione che
involge l’attività interpretativa delle norme di diritto in ordine alla esenzione della imposta di pubblicità.
Ciò premesso, osserva questa Corte che il ricorso può trovare accoglimento nei limiti appresso specificati.
6.1. Deve sinteticamente osservarsi che la CTR, nel confermare la illegittimità dell’avviso impugnato, ha precisato che:
era infondata la censura con la quale la RAGIONE_SOCIALE aveva sostenuto che la sentenza sarebbe incorsa in un errore interpretativo dell’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. 507/1993 atteso che, nel caso di specie, la somma complessiva delle superfici relative alle insegne di esercizio presenti in ciascun impianto non aveva superato i 5 metri quadrati, in quanto andava considerato che laddove, in un luogo aperto al pubblico, siano presenti più insegne relative ad attività commerciali diverse, le rispettive superfici vanno considerate singolarmente ai fini della tassazione, sicchè le insegne di esercizio riferibili all’attività commerciale di vendita al dettaglio di carburante erano da considerare, soltanto, quelle recanti il logo ‘TAMOIL’, la cui superficie complessiva, per ciascun impianto, non superava i 5 metri quadrati mentre le (altre) insegne di esercizio relative al bar, al negozio di ricambi per auto e all’officina riguardavano, invece, attività commerciali diverse dalla precedente e le rispettive superfici ris ultavano, anch’esse, inferiori ai 5 metri quadrati;
-in merito all’eccepita illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 507/1993 con riferimento ai mezzi che costituivano mere indicazioni al pubblico (es. scritte ‘Diesel’, ‘Gas’, ‘Self’, Servito’, etc.) e per violazione dell’art. 5, comma 1, e/o art. 17, c, 22 1, lettera i), d.lgs. n. 507/1993 in relazione agli adesivi ‘RAGIONE_SOCIALE‘ posti sulle colonnine erogatrici, occorreva considerare che non integra il presupposto del tributo la diffusione di comunicazioni al pubblico prive di contenuto pubblicitario quali quelle in esame;
era illegittima la tassazione dei cartelli recanti indicazioni sui prezzi dei carburanti, tra cui anche quelli inseriti nei cosiddetti totem (o monoliti) in quanto, essendone obbligatoria per legge l’esposizione, non era dovuta l’imposta ex art. 17, comm a 1, lett. i), d.lgs. n. 507/1993;
-in ordine alla ritenuta illegittimità dell’avviso laddove non aveva tenuto conto nella liquidazione del maggior tributo dovuto di tutti i versamenti effettuati dalla società in relazione all’annualità accertata, era dimostrato, per tabulas, che la società nel 2015 aveva effettuato versamenti per imposta sulla pubblicità in misura superiore a quella scomputata dai maggiori imponibili accertati.
6.2. Prima di procedere all’esame delle singole censure afferenti dette statuizioni vanno, innanzitutto, richiamate le norme di riferimento:
-art. 6, comma 1, d.lgs. n. 507/1993: ‘Soggetto passivo dell’imposta sulla pubblicità, tenuto al pagamento in via principale, è colui che dispone a qualsiasi titolo del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso’;
d.lgs. n. 507/1993
– art. 17 d.lgs. n. 507/1993
i 5 metri quadrati. I comuni, con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, possono
prevedere l’esenzione dal pagamento dell’imposta per le insegne di esercizio anche di superficie complessiva superiore al limite di cui al primo periodo del presente comma’;
art. 2bis , comma 5, d.l. n. 13/2002: ‘Per le insegne di esercizio di superficie complessiva superiore ai 5 metri quadrati l’imposta o il canone sono dovuti per l’intera superficie’;
art. 2bis , comma 6, d.l. n. 13/2002: ‘Si definisce insegna di esercizio la scritta di cui all’articolo 47, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, che abbia la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività economica. In caso di pluralità di insegne l’esenzione è riconosciuta nei limiti di superficie di cui al comma 1’ (5 metri quadrati).
Passando all’esame dei singoli motivi di ricorso va osservato che il primo è fondato.
7.1. Occorre considerare che gli impianti oggetto di accertamento afferiscono, secondo quando desumibile in atti, a plurime insegne di esercizio all’interno di impianti di carburante RAGIONE_SOCIALE, sicchè era onere della CTR accertare, in concreto, se le stesse si riferivano ad attività commerciali diverse da quella di rivendita di carburante e nella disponibilità di soggetti diversi dalla controricorrente.
Invero nella parte della motivazione in cui i giudici di appello hanno osservano che <> è ravvisabile la paventata la violazione di legge in quanto andava verificato, in concreto ed in modo specifico ed analitico, se il bar, il negozio di ricambi per auto e l’officina – a cui la CTR aveva attribuito i caratteri
di attività commerciali diverse – essendo ubicati presso le varie stazioni per il rifornimento del carburante non fossero, in realtà, riconducibili alla società contribuente e nella disponibilità della stessa trattandosi di insegne, comunque, relative a servizi offerti presso le medesime stazioni di distribuzione di carburante a marchio RAGIONE_SOCIALE e, pertanto, ‘in gestione alla società contribuente’ con la conseguenza che le superfici di cui alle insegne esposte dovevano concorrere nella sommatoria delle superfici da calcolarsi in base al combinato disposto di cui di cui ai commi 5 e 6 dell’articolo 2 -bis D.L. 22.02.2002, n.13, convertito nella legge 24.04.2002, n.75 ai fini dell’applicabilità dell’esenzione di cui all’articolo 17, comma 1 -bis., d.lgs. 15.11.1993, n.507.
Dal ché consegue, sul punto, l’annullamento della sentenza impugnata per una nuova verifica alla luce delle predette considerazioni.
Il secondo motivo è parzialmente fondato.
8.1. Se appare condivisibile la decisione dei giudici di appello i quali hanno ritenuto che le scritte ‘Diesel’, ‘Gas’, ‘Self’ costituivano meri avvisi al pubblico , secondo l’orientamento cui in questa sede va data continuità- per cui in tema di imposta di pubblicità, non rientrano nell’ambito di applicazione del tributo previsto dall’art. 5 d.lgs. n. 507 del 1993 i cartelli situati all’interno delle stazioni di servizio che, in prossimità dei diversi distributori, indicano il tipo di carburante somministrato, trattandosi di messaggi privi di contenuto pubblicitario, che esplicano una funzione essenzialmente informativa e segnaletica rivolta alla clientela che entra nell’area di rifornimento dei combustibili (vedi Cass. Sez. 5, 21/06/2021, n. 17624) – con la precisazione che laddove parte ricorrente paventa ipotetiche violazioni di limiti dimensionali pone mere questioni di fatto, inammissibili in questa sede – non può ritenersi corretta in diritto la pronunzia impugnata laddove i giudici di appello hanno ritenuto che
l’apposizione di adesivi recanti il marchio del prodotto venduto ‘Tamoil’ sulle singole colonnine destinate alla distribuzione del carburante sarebbe unicamente riconducibile al diritto dell’imprenditore di contraddistinguere il proprio prodotto mediante l ‘apposizione del logo o del marchio.
Occorre considerare che, inequivocabilmente, l’art. 7, comma 2, d.lgs. 15.11.1993, n.507 attribuisce una generale portata pubblicitaria (con conseguente rilevanza sotto il profilo tributario) a tutte quelle forme di <>, con soli limiti dimensionali, di volta in volta ben precisati e tassativamente indicati dalla stessa normativa.
in tema di imposta comunale sulla pubblicità, l’uso del segno distintivo dell’impresa o del prodotto (ditta, ragione sociale, marchio) non è escluso dall’ambito delle forme pubblicitarie imponibili quando, per il luogo (pubblico, aperto o esposto al pubblico) ove è situato, per le sue caratteristiche strutturali o per le modalità con cui viene utilizzato, il segno risulti obiettivamente idoneo a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o utenti il nome, l’attività o il prodotto dell’impresa, e non abbia, quindi, soltanto una mera finalità distintiva (Cass. Sez. 5, 11/05/2018, n. 11530; vedi anche Cass. n. 9580 del 1994 n. 15654 del 2004; n. 20830 del 2005, n. 8658 del 2015).
Orbene per i pannelli, le targhe ed ogni altra forma di comunicazione visiva diversa dalle insegne, il legislatore ha individuato nel richiamato comma secondo dell’articolo 7, d.lgs. 15.11.1993, n.507, il limite dimensionale di 300 centimetri quadrati (pari a metri quadrati 0,03), oltre il quale, indipendentemente dall’intenzione
dell’imprenditore e dal suo diritto, di contraddistinguere i propri prodotti mediante l’apposizione del marchio, il mezzo pubblicitario è chiaramente assoggettabile al pagamento dell’imposta.
Il motivo è, pertanto, parzialmente fondato dovendosi computare ai fini del calcolo dell’imposta di pubblicità dovuta, nei termini e nei limiti anzidetti, gli adesivi pubblicitari, ferma restando l’esclusione per gli avvisi meramente informativi.
Il terzo motivo è fondato.
9.1. La CTR laddove, come detto, ha affermato che era illegittima la tassazione dei cartelli inseriti nei cosiddetti totem (o monoliti) in quanto, essendone obbligatoria per legge l’esposizione, non era dovuta l’imposta ex art. 17, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 507/1993 è nuovamente incorsa in una violazione di legge, non considerando che andava verificato se la figura piana geometrica di cui è costituito il c.d. monolito avesse o meno una superficie superiore al limite di cui all’art. 17, comma 1, lettera i ), d.lgs. 15.11.1993, n.507.
Il quarto motivo è inammissibile.
10.1. Con tale motivo ICA, sotto il profilo della violazione degli art. 115 c.p.c. e 2697 c.c. dedotta ai sensi dell’art. 360, primo comma nn. 3 e 4, c.p.c., censura la sentenza nella parte in cui ha confermato l’illegittimità dell’avviso per non avere l’ent e della riscossione tenuto conto di tutti i versamenti effettuati dalla società contribuente a titolo di imposta sulla pubblicità per l’anno 2015.
È opportuno premettere che le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, alla valutazione del giudice di merito.
Nella specie parte ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale (tale essendo l’art. 115 c.p.c. richiamato nella rubrica del motivo in esame) dipendano o siano, ad ogni modo, dimostrate dall’erronea
valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, – come chiarito da Cass. n. 35782 del 2023 (cfr. in motivazione, dove si richiamano, in senso analogo, Cass. nn. 16303, 11299 e 28385 del 2023) un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 c.p.c. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (cfr. Cass., SU, 20867 del 2020).
Va osservato che il rispetto della prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e dell’ artt. 115 c.p.c. impone al giudice del merito, non già di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, bensì di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016, nonché, in motivazione, Cass., SU, n. 34782 del 2024). In altri termini, la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in Cassazione (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 11176 del 2017 e l’appena citata Cass., SU, n. 34782 del 2024). Pertanto, non resta che constatare che il motivo in esame, per come concretamente argomentato , a fronte, tra l’altro, di una decisione adeguatamente motivata, si risolve in un tentativo di riversare dinanzi a questa Corte di cassazione la cognizione del merito del merito del profilo, nemmeno considerando che il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr., tra le più recenti, Cass. nn.
5237, 21424 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 14595 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 10712 e 27328 del 2024; Cass., SU, n. 34782 del 2024; Cass. n. 3284 del 2025).
10.2. Parimenti inammissibile è il suddetto motivo laddove parte ricorrente paventa la violazione dell’art. 2697 c.c.
Sul piano dei principi, va rammentato che in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni », fermo restando il potere del giudice, nella valutazione delle prove proposte dalle parti, di attribuire maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (così, tra le tante, Cass., Sez. III, 22 marzo 2022, n. 9225, che richiama Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598 e Cass., Sez. VI-II, 23 ottobre 2018, n. 26769 e, nello stesso senso, Cass., Sez. II, 7 gennaio 2019, n. 1229 cit. ed anche Cass., Sez. VI/T, 25 gennaio 2022, n. 2242, che richiama pure Cass., Sez. VI/V, 19 ottobre 2021, n. 28894; Cass., Sez. VI/V, 28 ottobre 2021, n. 30535; Cass., Sez. T., 7 aprile 2023, n. 9529). La Commissione tributaria regionale non ha sovvertito il criterio di riparto dell’onere probatorio, avendo, piuttosto, ritenuto comprovato che la società nel 2015 aveva effettuato versamenti per imposta sulla pubblicità in misura superiore a quella scomputata dai maggiori imponibili accertati, con ciò, quindi, avendo il Giudice d’appello considerato assolto, nel rispetto della regola imposta dall’art. 2697 cod. civ., il relativo onere probatorio.
10.3. Orbene, in sintesi, il quarto motivo, peraltro operando una confusa commistione fra un ipotetico vizio di violazione di legge e/o di nullità processuali, si sostanzia in un surrettizio tentativo di riproporre in sede di legittimità un accertamento sul fatto, già
compiuto conformemente in entrambi i precedenti gradi di merito mentre nessuna violazione delle norme sull’attribuzione dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.) o sulla valutazione delle prove (115 c.p.c.) appare configurabile nella fattispecie in esame.
11. In conclusione accolto il primo motivo di ricorso, il secondo (nei limiti suddetti) e il terzo, dichiarato inammissibile il quarto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, che procederà anche alla regolamentazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, il secondo -per quanto di ragione – ed il terzo, dichiara inammissibile il quarto; cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data