Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20898 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20898 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5915/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. TOSCANA n. 1701/2017 depositata il 10/07/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Toscana, con la sentenza n. 1701/05/2017, previa ‘estromissione’ dal giudizio del Comune di Arezzo, rigettava l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE confermando la sentenza di primo grado che aveva respinto l’impugnazione della società contribuente avverso gli avvisi di accertamento relativi ad imposta di pubblicità per gli anni 2010, 2011, 2012 e 2013.
I giudici territoriali rilevavano che nella fattispecie in esame relativa a una pluralità di ‘preinsegne’, altrimenti tecnicamente qualificabili <>, singoli segnali di indicazione apposti su un unico supporto – alla luce del dettato dell’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 507/93, era legittima l’applicazione di una tariffa per ciascuna ‘freccia’, non apparendo decisivo il riferimento alla dimensione delle singole insegne, inferiore al metro quadro, superficie minima tassabile in quanto la minor dimensione rispetto al minimo tassabile non implicava l’esenzione della tassazione ma ne determinava unicamente l’arrotondamento per eccesso.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, la RAGIONE_SOCIALE
La società RAGIONE_SOCIALE, concessionaria per l’accertamento, la liquidazione e la riscossione dell’imposta sulla pubblicità per conto del Comune di Arezzo, resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza
per violazione dell’artt. 112 c.p.c. non essendosi la C.T.R. pronunziata sullo specifico motivo di appello in forza del quale era stata censurata la sentenza di primo grado per omessa pronunzia sulla eccezione di illegittimità degli avvisi di accertamento per difetto di motivazione.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in ragione della violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunziato assumendo che il giudice di appello aveva richiamato acriticamente i principi fissati da Cass. n. 252/2012, senza tenere conto della specifica allegazione difensiva secondo cui, al fine di interpretare il dettato di cui all’art. 7 d.lgs. n.507/1993, occorreva tenere conto della risol uzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze 7 luglio 2014 emanata a seguito di detta pronunzia e finalizzata a fornire indicazioni ‘autentiche’ circa le corrette modalità di calcolo dell’imposta de qua .
Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5, 6, 7 e 8 del d.lgs. 507/1993 nonchè dell’art. 47 d.P.R. n. 495/1992 deducendo che i giudici appello aveva omesso di considerare che sulla scorta di dette disposizioni normative, trattandosi di ‘frecce’ collocate all’interno di un unico gruppo segnaletico nella disponibilità di un unico soggetto passivo ed installate in forza di un’unica autorizzazione amministrativa, doveva esc ludersi che l’imposta dovesse essere applicata per ciascuna delle insegne posizionate. Evidenzia, ancora, che per espressa previsione normativa, anche per le c.d. pre-insegne collocate su un unico mezzo pubblicitario l’imposta di pubblicità deve essere calcolata prendendo in considerazione l’intera superficie complessiva dell’impianto pubblicitario su cui le stesse sono collocate, a prescindere dal numero dei messaggi in esso contenuti.
Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, rilevando che i giudici di appello, nel pervenire alle proprie conclusioni, avevano del tutto omesso di esaminare la natura unitaria del mezzo pubblicitario, l’unicità dell’autorizzazione amministrativa in forza della quale il singolo mezzo pubblicitario era stato autorizzato ed il fatto che unico era il soggetto passivo nella disponibilità di tali mezzi pubblicitari.
Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5, 6, 7 e 8 del d.lgs. 507/1993 nonchè dell’art. 47 d.P.R. n. 495/1992 e 132 c.p.c. e degli artt. 3, 24 e 111 Cost. per non avere i giudici territoriali considerato che era stato contestato che gli avvisi non tenevano conto che non sussistevano i presupposti per ritenere configurabile un’ autonomia impositiva riferita alle singole frecce in considerazione della unitarietà del gruppo segnaletico, installato in forza di un’unica autorizzazione nella disponibilità di un unico soggetto mentre non era in contestazione l’approssimazione per eccesso della liquidazione dell’imposta per la singola freccia.
Osserva questa Corte che il ricorso deve essere rigettato per le ragioni appresso specificate.
6.1. Il primo motivo non coglie nel segno. Va, invero, rilevato che pur ravvisandosi, in effetti, una omessa pronunzia in relazione al profilo dedotto (vizio di motivazione degli atti impositivo de quibus ), alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, deve ritenersi che a questa Corte sia consentito di decidere nel merito dell’eccezione della quale si assume l’omesso esame, alla stessa stregua dei fatti introdotti in giudizio dalle parti e non risultando, pervero, necessario alcun ulteriore accertamento in fatto (Cass., 1 marzo 2019, n. 6145;
Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1° febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962). Orbene risulta di tutta evidenza che parte contribuente laddove, nel paventare il vizio motivazionale dell’atto impositivo, assume che sarebbero rimaste inespresse le modalità di determinazione e liquidazione dell’imposta, deduce un vizio di motivazione dell’atto impositivo palesemente insussistente.
Invero secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta; in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571). Sulla scorta dei principi sopra richiamati deve, allora, escludersi il vizio dedotto in quanto dalla stessa prospettazione di parte contribuente risulta che gli atti impositivi impugnati contenevano gli elementi sufficienti alla individuazione della imposta dovuta, ponendosi piuttosto una questione circa il criterio da seguire ai fini della imposizione, vale a dire, fondamentalmente, se applicare o meno un’unica imposta in relazione a ciascuna delle pre-insegne.
6.2. Anche il secondo motivo è infondato: non è, infatti, configurabile alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. in ragione della omessa
valutazione di una circolare ministeriale atteso che i giudici di merito i quali hanno, comunque, esaminato la quaestio iuris dedotta.
Ciò di cui si duole la società ricorrente è, in realtà, la mancata considerazione di argomenti difensivi, non di una eccezione in senso proprio. Deve, peraltro, ritenersi che tali profili sono stati, per l’appunto, implicitamente disattesi dai giudici di appello che li hanno ritenuti non dirimenti. Non può, del resto, sottacersi che la violazione delle circolari ministeriali dell’Amministrazione finanziaria non costituisce motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge, in quanto le stesse sono meri atti amministrativi non provvedimentali, che non contengono norme di diritto, bensì disposizioni di indirizzo uniforme interno all’Amministrazione da cui promanano. (Cass. Sez. 5, 02/09/2024, n. 23524, Rv. 672115 – 01). Le circolari con le quali l’Agenzia delle entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contengano direttive agli uffici gerarchicamente subordinati, esprimono esclusivamente un parere non vincolante, oltre che per gli uffici a cui sono dirette, per il contribuente, per la stessa autorità che le ha emanate e per il giudice; pertanto, la cd. interpretazione ministeriale delle norme tributarie, sia essa contenuta in circolari o risoluzioni, non costituisce fonte di diritto, né è soggetta al controllo di legittimità esercitato dalla Corte di cassazione (ex artt. 111 Cost. e 360 c.p.c.), trattandosi non di manifestazione di attività normativa, ma di attività interna alla medesima pubblica amministrazione, destinata ad esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti, ma inidonea ad incidere sul rapporto tributario. (Cass. Sez. 5, 29/11/2022, n. 35098, Rv. 666407 – 01).
Appare evidente, pertanto, che non sussiste il vizio paventato con il suddetto motivo.
6.3. Il terzo e quinto motivo – da esaminare congiuntamente in quanto fra loro strettamente connessi -sono da ritenere privi di
fondamento sulla scorta dei principi reiteratamente ribaditi da questa Corte in materia.
La tesi di parte ricorrente è nel senso che trattandosi di un unico impianto, con più frecce direzionali, andava applicato l’art. 7, comma 1, considerando la superficie dell’intero impianto, non le singole pre -insegne e nel prospettare tale tesi assume che i giudici di appello, nell’andare di contrario avviso, avrebbero adottato una motivazione meramente apparente trascurando di prendere debitamente in esame tutti i profili di fatto dedotti.
Deve evidenziarsi come sul tema questa Suprema Corte (vedi sent. n. 252/2012) abbia, già da tempo, stabilito il principio secondo cui in tema di imposta comunale sulla pubblicità, l’articolo 7, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993, identifica il presupposto impositivo nel mezzo pubblicitario, inteso come qualsiasi forma di comunicazione avente lo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi e di migliorare l’immagine aziendale in collegamento inscindibile con la forma adoperata per la divulgazione, con la conseguenza che, nell’ipotesi di plurimi messaggi pubblicitari, concernenti diverse aziende, collocati su un unico pannello, il tributo deve essere determinato in base alla superficie espositiva utilizzata da ciascuna delle imprese pubblicizzate, indipendentemente dalle dimensioni del mezzo pubblicitario cumulativo, principio correttamente applicato dai giudici territoriali di merito.
Parte ricorrente assume che, nella fattispecie in esame, risulterebbe inconferente il richiamo alla suddetta pronunzia ed evidenzia che detta decisione (n. 252/2012) sarebbe riferibile all’ipotesi di plurime insegne aventi ciascuna una propria autonomia, come una pluralità di pre-insegne o frecce direzionali pubblicizzanti aziende diverse collocate su un unico palo di sostegno, in quanto solo in tal caso ciascuna di esse costituirebbe un mezzo pubblicitario soggetto a titolo autorizzatorio proprio rilasciato a soggetti diversi e in tempi diversi, dunque solo nel caso sopra indicato, l’imposta di pubblicità
potrebbe essere esatta in relazione a ciascuna figura minima piana geometrica in cui è circoscritto ogni mezzo pubblicitario, indipendentemente, quindi, dal numero dei messaggi in esso contenuti, secondo il disposto dell’art. 7, comma 1, del d. lgs. n. 507/1993, con gli arrotondamenti previsti dal comma 2 della citata norma; al contrario, ove, come nella fattispecie in esame, la pluralità dei messaggi pubblicitari, pur distinti per frecce pubblicizzanti aziende diverse, sia collocata su un unico impianto pubblicitario, l’imposta andrebbe riferita alla superficie dell’unico impianto del quale è titolare la sola impresa ricorrente.
Tale assunto, però, come già chiarito da questa Corte (cfr. Cass. n. 10459/2018), contrasta con quanto univocamente esposto nella succitata decisione di questa Corte dell’anno 2012 non solo in relazione al fatto che ivi è chiaramente riferito che, nel caso allora esaminato, le diverse frecce pubblicizzanti aziende diverse erano collocate all’interno di un unico e non già, separatamente, su un palo di sostegno, ma anche e principalmente con l’interpretazione sistematica della citata norma di cui all’art. 7, comma 1 e 2 del d. lgs. n. 507/1993, in relazione all’art. 6, comma 2 del citato decreto, che estende al soggetto nel cui interesse è diffuso il messaggio pubblicitario la solidarietà per l’obbligazione tributaria posta a carico del titolare o comunque di colui che ha la disponibilità del , previsione, quest’ultima, che, come espresso dalla succitata sentenza, non può che trovare «esclusiva giustificazione razionale nell’indissolubile legame tra ‘mezzo’ e ‘messaggio’ pubblici tario individuato come fondamento del presupposto d’imposta».
Trattasi, del resto, di una interpretazione ribadita da questa Corte in numerose successive pronunce (tra cui, oltre alla citata, Cass. n. 10459 del 2018, vedi Cass. n. 29706 del 2018, Cass. n. 20948 e n. 20947 del 2019, Cass. n. 3939/2021 e Cass. n. 35109/2021).
I principi sopra richiamati ed enucleati a partire dalla citata pronunzia del 2012 vanno, dunque, in questa sede ribaditi, una volta chiarito che, diversamente da quanto dedotto da parte ricorrente, essi sono perfettamente riferibili alla fattispecie in oggetto posta all’esame di questa Corte, con conseguente infondatezza delle censure esposte, essendo del tutto estranea alla problematica in esame l’ipotesi di più messaggi omogenei collocati in connessione di cui all’art. 7, comma 5 del d. lgs. n. 507/1993 (norma
Con riferimento al caso in questione, la composizione dei cartelli pubblicitari si caratterizza, invero, per la presenza di una pluralità di insegne diverse tra loro e riferibili a diverse ditte e, quindi, sprovviste di qualsivoglia ‘collegamento strumentale inscindibile’, e all’interno del mezzo pubblicitario sono risultati presenti messaggi riferibili a più soggetti e non già ad unico soggetto pubblicizzato; è evidente, pertanto, che, nel caso in questione, difetta quella ‘unitarietà del presupposto impositivo anche nella ipotesi di pluralità di mezzi pubblicitari’ che consente la determinazione dell’imposta ‘in base alla superficie della minima figura piana geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario indipendentemente dal numero dei messaggi i n esso contenuti’. Ciò comporta, conseguentemente, la determinazione del tributo in base alla superficie espositiva utilizzata da ciascuna delle imprese pubblicizzate, indipendentemente dalle dimensioni del mezzo pubblicitario cumulativo.
6.4. Con il quarto motivo la società ricorrente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., denuncia di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti: natura unitaria del mezzo pubblicitario, unicità dell’autorizzazione amministrativa in forza della quale il singolo mezzo pubblicitario era
stato autorizzato ed il fatto che unico era il soggetto passivo nella disponibilità di tali mezzi pubblicitari.
Osserva questa Corte che da tenore del medesimo motivo emerge che non è ravvisabile alcuna omessa valutazione di fatti decisivi, ma le circostanze dedotte sono state valutate dalla C.T.R. la quale è pervenuta alla conclusione che andava assoggettata ad imposta di pubblicità ciascuna freccia.
Peraltro la deduzione del vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. impinge nella preclusione derivante dalla c.d. ‘doppia conforme’. Il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. pro c. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012) deve, infatti, indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass., Sez. Lav., 6 agosto 2019, n. 20994; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2021, n. 19760; Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2022, n. 10644; Cass., Sez. 5^, 11 aprile 2022, n. 11707; Cass., Sez. 6^-5, 28 aprile 2022, n. 13260; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2023, n. 34902; Cass., Sez. Trib., 27 giugno 2024, n. 17782). Nella specie, invero, parte ricorrente, a fronte della soccombenza nel doppio grado di merito, non ha indicato le ragioni di fatto differenti a seconda del giudizio, per cui non ne è possibile alcun sindacato da parte del giudice di legittimità in relazione alla violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (art. 348 -ter, quinto comma, c.p.c.).
In conclusione il ricorso va respinto.
7.1. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della società RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 6.000,00 oltre ad euro 200,00 per esborsi ed oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data