Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20859 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20859 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15946/2019 R.G., proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE (società con socio unico), con sede in Lissone (MB), in persona dell’amministratore unico pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME entrambi con studio in Milano, nonché dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in margine al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
‘ I.C.A. Imposte RAGIONE_SOCIALE, con sede in Roma, in persona dell’amministratore unico pro tempore , in qualità di concessionaria per l’accertamento, la liquidazione e la riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni per conto del Comune di Carate Brianza (MB ), rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con studio in La Spezia, elettivamente domiciliata presso l’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, giusta
IMPOSTA COMUNALE SULLA PUBBLICITÀ ACCERTAMENTO ART. 7 D.LGS. 507/1993
procura in margine al controricorso di costituzione nel presente procedimento e dichiarazione di variazione del domicilio eletto;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Lombardia il 15 novembre 2018, n. 4952/24/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26 marzo 2025 dal Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
1. La ‘ RAGIONE_SOCIALE‘ ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Lombardia il 15 novembre 2018, n. 4952/24/2018, la quale, in controversia avente ad oggetto l’ impugnazione di avviso di accertamento n. 113 del 7 luglio 2016 da parte dell” I.C.A. RAGIONE_SOCIALE‘, in qualità di concessionaria per l’accertamento, la liquidazione e la riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni per conto del Comune di Carate Brianza (MB), per omessa dichiarazione ed omesso versamento dell’imposta comunale sulla pubblicità per l’anno 2016 nella misura totale di € 84.239,00 , in relazione all’installazione sulle facciate di un fabbricato di sua proprietà in Carate Brianza (MI) di una serie di pannelli riproducenti (su parte della superficie piana) l’immagine del proprio marchio ed usufruenti dell’illuminazione di faretti sottostanti , per le quali essa aveva presentato la prescritta dichiarazione, pur omettendone l’autoliquidazione , ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della concessionaria avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale
di Milano il 20 luglio 2017, n. 4898/20/2017, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.
Il giudice di appello ha confermato la decisione di prime cure -che aveva parzialmente accolto il ricorso originario della contribuente con limitato riguardo alle sanzioni amministrative – sul presupposto che: a) un contraddittorio preventivo (con la redazione di un verbale di constatazione) non era necessario per l’emissione dell’avviso di accertamento, nonostante la ricognizione di una maggiore superficie occupata rispetto a quella dichiarata; b) l’avviso di a ccertamento era stato adeguatamente motivato con la precisa indicazione dei mezzi pubblicitari, della loro superficie, della tariffa applicata e dell’imposta dovuta; c) i marchi erano stati pubblicizzati mediante l’apposizione di un pannello bianco di dimensioni corrispondenti ad ogni singola facciata del fabbricato, non avendo rilevanza che i marchi occupassero una minore superficie all’interno dei singoli pannelli, giacché l’intera superficie del pannello costituiva unico veicolo di diffusione pubblicitaria per carenza di separazione o discontinuità grafica tra il marchio e la facciata; d) la maggiorazione del l’imposta per l’illuminazione dei mezzi pubblicitari era dovuta anche se le facciate del fabbricato non erano munite di un autonomo impianto di illuminazione, ma beneficiavano dell’impianto collocato alla base delle pareti all’interno della superficie circostante il fabbricato, giacché la sorgente luminosa era riconducibile alla proprietà dell’edificio ed era idonea a rendere visibile nelle ore notturne i mezzi pubblicitari.
L” I.C.A. Imposte RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a cinque motivi.
Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, e 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per non essere stato ritenuto dal giudice di secondo grado che l’atto impositivo era affetto da nullità per carenza di contraddittorio preventivo, giacché, nonostante il sopralluogo eseguito a mezzo del proprio personale per le misurazioni delle insegne installate sulle pareti dell’edificio, la concessionaria non aveva redat to un verbale di constatazione in contraddittorio con la contribuente.
2.1 Il predetto motivo è infondato.
2.2 Disciplinando i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (ora abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. o, del d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, con decorrenza dal 18 gennaio 2024), dispone che: « Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza ».
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di tributi ” non armonizzati ” (come l’IRPEF, l’IRAP, le imposte di registro, ipotecaria e catastale, i tributi locali), l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti c.d. ‘ a tavolino ‘, per cui non si pone la
questione di un’eventuale inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212; tuttavia, tale principio non vale per i tributi ” armonizzati ” come l’IVA, ipotesi nella quale, tuttavia, il contribuente che faccia valere il mancato rispetto di detto termine è in ogni caso onerato di indicare, in concreto, le questioni che avrebbe potuto dedurre in sede di contraddittorio preventivo (tra le tante: Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass., Sez. 6^-5, 29 ottobre 2018, n. 27420; Cass., Sez. 6^-5, 5 novembre 2020, n. 24793; Cass., Sez. 5^, 29 dicembre 2020, n. 29726; Cass., Sez. 5^, 6 luglio 2021, nn. 19176 e 19177; Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2022, n. 16481; Cass., Sez. Trib., 4 dicembre 2023, n. 33699; Cass., Sez. Trib., 6 marzo 2024, n. 6094; Cass., Sez. Trib., 22 febbraio 2025, n. 4698).
Viceversa, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la ” prova di resistenza “, senza distinguere tra tributi armonizzati e non armonizzati (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 15 gennaio 2019, nn. 701 e 702; Cass., Sez. 5^, 30 marzo 2021, n. 8718; Cass., Sez. 6^-5, 23 novembre 2021, n. 36118; Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2022, n. 16481; Cass., Sez. Trib., 17 novembre 2023, n. 31997; Cass., Sez. Trib., 28 febbraio 2024, n. 5269; Cass., Sez. Trib., 2 aprile 2025, n. 8708).
Quanto al contenuto dell’obbligo documentale, questa Corte ha affermato che il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, decorre da tutte le possibili
tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo (in termini: Cass., Sez. 6^-5, 2 luglio 2014, n. 15010; Cass., Sez. 5^, 23 gennaio 2020, n. 1497; Cass., Sez. 5^, 4 marzo 2021, nn. 5942, 5943, 5944, 5945 e 5946; Cass., Sez. 5^, 9 giugno 2021, n., 16140; Cass., Sez. 5^, 23 giugno 2021, n. 17916; Cass., Sez. 5^, 14 dicembre 2021, n. 39922; Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2022, n. 16481; Cass., Sez. Trib., 16 ottobre 2023, n. 28742; Cass., Sez. Trib., 6 marzo 2024, n. 6094; Cass., Sez. Trib., 2 aprile 2025, n. 8708).
2.3 In relazione ai tributi non armonizzati, per quanto un isolato arresto abbia genericamente affermato che, in caso di verifica con accesso in loco , il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, la cui violazione determina la nullità dell’atto impositivo, si applica anche in caso di contestazioni relative a violazioni in tema di imposta di registro, in forza del richiamo contenuto nell’art. 53bis del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (in termini: Cass., Sez. 5^, 19 aprile 2022, n. 12412), questa Corte ha precisato che il ‘ sopralluogo esterno ‘ espletato dall’amministrazione finanziaria per la successiva redazione della stima particolareggiata del fabbricato compravenduto al fine di determinarne il valore venale – in sede di controllo della corretta liquidazione dell’imposta di registro sul pr ezzo – non è idoneo ad integrare gli estremi di una vera e propria operazione di ‘ accesso ‘ o di ‘ verifica ‘ nell’accezione prevista dal citato art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, che è esclusivamente finalizzata all’esame, all’acquisizione ed
alla valutazione di documenti (o altri elementi) reperibili presso i locali destinati all’attività svolta dal contribuente per accertare l’osservanza degli obblighi tributari (vedasi, in motivazione: Cass., Sez. Trib., 9 aprile 2024, n. 9462; Cass., Sez. Trib., 8 dicembre 2024, n. 31497; in termini, quanto al sopralluogo espletato ai fini del classamento catastale, vedasi: Cass., Sez. Trib., 19 novembre 2024, n. 29788).
Pertanto, il sopralluogo eseguito da funzionari dell’amministrazione finanziaria -ancorché all’interno di un’area appartenente al contribuente e senza la comunicazione di un preavviso – per la sommaria constatazione ab externo dello stato complessivo di un fabbricato al fine di redigerne una stima particolareggiata, per l’eventuale rettifica del valore venale e la conseguente liquidazione della maggiore imposta di registro in relazione alla relativa compravendita, non è soggett a all’osservanza dell’art. 12 , comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, essendo finalizzato all’acquisizione di dati o informazioni sottratti alla disponibilità del contribuente (vedasi, in motivazione: Cass., Sez. 5^, 9 aprile 2024, n. 9462; Cass., Sez. Trib., 8 dicembre 2024, n. 31497).
2.4 Tale principio può pacificamente valere anche per i tributi locali , tra i quali è compresa anche l’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni (artt. 1-37 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507).
In particolare, prima del l’abrogazione da parte dell’art. 1, comma 172, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si poteva estendere per identità di ratio -in relazione alla formulazione dell’art. 10 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 n. 507 – il principio sancito da questa Corte per la TOSAP, secondo cui, l’art. 51 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, nel regolare il procedimento di emissione da parte del Comune dell’avviso di
accertamento in rettifica o d’ufficio, non esigeva alcuna forma di contraddittorio con il contribuente (come, ad esempio, la redazione di un processo verbale di constatazione), il quale poteva avvalersi degli strumenti di tutela attivabili successivamente all’adozione dell’atto (Cass., Sez. 5^, 5 agosto 2004, n. 15079; Cass., Sez. 5^, 7 dicembre 2018, n. 31718).
Comunque, con specifico riguardo a ll’art. 10 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, questa Corte aveva affermato che: « non esiste normativa ordinaria che a pena di nullità imponga di far partecipare il contribuente al sopralluogo e deve essere altresì sottolineato che l’art. 111 Cost. è posto a tutela del contraddittorio processuale e non extraprocessuale e come del resto così è anche per l’art. 24 Cost. In realtà – anche se è indubbiamente vero che nel settore tributario la più moderna tendenza legislativa è nel senso di accrescere quantitativamente la regola del preventivo contraddittorio amministrativo, come per esempio è dimostrato per gli accertamenti cosiddetti standardizzati dall’art. 10, comma 1 e 3 bis, I. 8 maggio 1998, n. 146 – deve essere rilevato che 5 non esiste un generale obbligo positivamente sanzionato all’instaurazione del contradditorio preventivo di che trattasi. In effetti, in attualità, il preventivo contraddittorio amministrativo è piuttosto ancora confinato all’interno di una elastica indicazione di buona prassi amministrativa ex art. 97 Cost. senza carattere immediatamente precettivo. Nemmeno una tale regola, almeno al di fuori dei tributi cosiddetti armonizzati, emerge dalla giurisprudenza comunitaria (Corte giust. UE n. 349 del 2008). E, da questo punto di vista, Cass. sez. un. n. 19668. del 2014 rimane quindi e allo stato confinata al concreto caso in cui il provvedimento attinga direttamente il
contribuente e per cui in tali specifiche ipotesi occorre gioco forza recuperare uno spazio difensivo «amministrativo» anteriore a quello processuale vero e proprio (conforme, v. Cass. sez. un, 24823 del 2015) » (Cass., Sez. 5^, 25 maggio 2016, n. 10806).
Tale conclusione non è mutata con l’entrata in vigore dell’art. 1, commi 161 e 162, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, giacché tale disposizione, nel regolamentare le forme di esercizio della potestà impositiva da parte degli enti locali, non ha contemplato alcuna forma di contraddittorio preventivo rispetto all’emanazione dell’avviso di accertamento in rettifica o d’ufficio. Non a caso, l’obbligatorietà di tale adempimento è stata sancita anche per i tributi locali dall ‘art. 6bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. e), del d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, soltanto con decorrenza dal 18 gennaio 2024.
2.5 Dunque, si può condividere la difesa della controricorrente, secondo cui: « Nel caso di specie l’accertamento si configura come scevro da qualsivoglia attività invasiva accedente alla sfera diretta del contribuente, in quanto (…), la verifica dell’esposizione pubblicitaria avviene direttamente immediatamente da luogo pubblico o aperto al pubblico ».
2.6 Peraltro, nemmeno è pertinente il richiamo all’art . 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (recante: ‘ Norme generali per la repressione della violazione delle leggi finanziarie ‘), il quale -sancendo che: « Le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale » – è riferito, comunque, alla sola constatazione delle infrazioni costituenti reato.
Ad ogni buon conto, questa Corte ha affermato che la redazione di un processo verbale di constatazione non è
necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento perché è in esso che si esterna poi ciò che si è constatato prima. Per quanto l ‘art. 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, preveda che: « Le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale », tale onere di redazione, anche ove non sia assolto in forza della disposizione sopra richiamata, non impedisce in nessun caso l’emissione di avvisi di accertamento in base all’autonoma valutazione dell’amministrazione finanziaria; del resto il processo verbale previsto dal citato art. 24 può avere una molteplicità e complessità di contenuti e la legge non discrimina tra diversi mezzi di rappresentazione e differenti realtà rappresentate, così come tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazione. Sicché, si deve escludere, diversamente da quanto ritiene la ricorrente, che tale verbale abbia rilevanza esterna tale da viziare, ove non redatto, l’atto successivo (tra le tante: Cass., Sez. Trib., 30 agosto 2024, n. 23433; Cass., Sez. Trib., 9 marzo 2025, n. 6244).
2.7 Ne discende che la sentenza impugnata ha correttamente escluso che l’esercizio della potestà impositiva da parte della concessionaria presupponesse la preventiva redazione di un verbale di constatazione in contraddittorio con la contribuente per l’accertam ento del presupposto imponibile e la liquidazione del tributo.
Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunciarsi sul motivo di appello circa la carenza di prova della pretesa impositiva, giacché la carenza di un preventivo verbale
di constatazione non fornisce alcuna prova del presupposto impositivo.
3.1 Il predetto motivo è infondato.
3.2 Il motivo di appello è stato trascritto in ricorso secondo il canone dell’autosufficienza . Tuttavia, la sentenza impugnata, pur esaminandolo insieme ad altri (pagina 2), si è implicitamente pronunciata sulla doglianza in senso negativo. Difatti, una volta esclusa la necessità del contraddittorio preventivo per la verifica della superficie che è stata oggetto di rettifica, bastava argomentare (come è stato fatto) sull’adeguatezza motivazionale dell’avviso di accertamento per respingere il motivo di appello in questione. Si tratta, invero, di un’ipotesi tipica di ‘ assorbimento improprio ‘, il quale presuppone che la decisione assorbente escluda la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto della domanda formulata e dichiarata assorbita (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 26 gennaio 2016, n. 1360; Cass., Sez. 6^-1, 3 febbraio 2020, n. 2334; Cass., Sez. 6^-3, 2 luglio 2021, n. 18832; Cass., Sez. 5^, 16 novembre 2021, n. 34494; Cass., Sez. Trib., 6 ottobre 2022, n. 29068; Cass., Sez. 1^, 14 settembre 2023, n. 26507; Cass., Sez. Trib., 1 aprile 2025, n. 8500).
3.3 Ad ogni modo, trattandosi di censura attinente (in base al tenore formulato) all’atto impositivo, il mezzo incorre in una palese confusione tra la ‘ motivazione ‘ dell’avviso di accertamento (oggetto di censura ab origine ), che è finalizzata alla conoscenza da parte del contribuente degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto della pretesa impositiva, e la ‘ prova ‘ della pretesa impositiva (o della sua infondatezza), che va riferita al documento, quale mezzo da far valere nel processo. Questa distinzione tra piano della motivazione e
piano della prova trova conferma normativa nell’art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (nel testo novellato dall’art. 1, comma 1, lett. f), del d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219), che, mentre richiede l’allegazione dell’atto a cui l’avviso si riferisce, sempre che non sia già stato portato a conoscenza dall’interessato o l’avviso ne riproduca il contenuto essenziale, prevede soltanto l’indicazione dei mezzi di prova, che potranno essere prodotti o acquisiti nell’eventuale processo a seguito dell ‘impugnazione dell’atto impositivo (in termini: Cass., Sez. Trib., 25 marzo 2024, n. 8016 -vedasi anche: Cass., Sez. Trib., 12 gennaio 2025, n. 799).
Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 162, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’atto impositivo era munito di adeguata motivazione.
4.1 Il predetto motivo è infondato.
4.2 Prima dell’abrogazione da parte dell’art. 1, comma 172, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in tema di determinazione dell’imposta comunale sulla pubblicità, il contenuto minimo dell’avviso di accertamento era determinato dall’art. 10 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, il quale richiedeva che esso indicasse il soggetto passivo, le caratteristiche e l’ubicazione del mezzo pubblicitario, l’importo dell’imposta accertata, delle soprattasse dovute e degli interessi, nonché il termine di sessanta giorni entro cui effettuare il pagamento. Ne conseguiva che l’avviso di accertamento non doveva indicare le modalità di calcolo dell’imposta, essendo il computo di questa direttamente
discendente dai criteri di legge in rapporto alle caratteristiche ed all’ubicazione dell’impianto utilizzato (Cass., Sez. 5^, 27 luglio 2012, n. 13469; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2017, n. 8078).
Con decorrenza dall’1 gennaio 2007, la verifica dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica o d’ufficio deve essere condotta in base alla disciplina dettata, per l’accertamento dei tributi di competenza degli enti locali, dall’art. 1, comma 162, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (a tenore del quale: « Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale »), sicché deve ritenersi pur sempre sufficiente , in relazione all’imposta comunale sulla pubblicità (attraverso un recupero in via interpretativa dell’abrogato art. 10 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 5079, nei limiti della compatibilità con la disciplina successiva), l’indicazione del soggetto passivo, delle caratteristiche e dell’ubicazione del mezzo pubblicitario, l’importo dell’imposta o della maggiore imposta accertata, delle sopratasse dovute e dei relativi interessi, nonché il termine per il pagamento dell’imposta , in quanto tali elementi, integrati con gli atti generali (quali i regolamenti o altre delibere comunali), sono idonei a rendere comprensibili i presupposti di fatto e le ragioni di diritto della pretesa tributaria, senza necessità di indicare le fonti probatorie e le indagini effettuate per la loro eventuale rideterminazione, potendo ciò avvenire nell’eventuale successiva fase contenziosa.
4.3 Nella vicenda in disamina, in sintonia con tale principio, la sentenza impugnata ha ritenuto che: « L’avviso di accertamento impugnato deve infatti ritenersi motivato in modo sufficiente con l’indicazione dei mezzi pubblicitari, della loro superficie, della tariffa applicata e dell’imposta conseguentemente liquidata », evidenziando come « il contribuente è (…) in grado di percepire e comprendere le ragioni di credito formulate dall’amministrazione finanziaria e controdedurre alle stesse, anche in sede contenziosa, come confermato nel caso di specie dalle ulteriori censure formulate dalla Sweet Home, concernenti nello specifico le modalità di commisurazione dell’imposta comunale ».
Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per non essere stato considerato dal giudice di secondo grado che, quando il messaggio pubblicitario è apposto su superfici non aventi di per sé la funzione di mezzo pubblicitario, la superfi cie tassabile ai fini dell’imposta comunale sulla pubblicità è soltanto quella occupata dal rettangolo virtuale in è possibile circoscrivere il messaggio pubblicitario.
5.1 Il predetto motivo è infondato.
5.2 La misura dell’imposta relativa alla pubblicità contenente la riproduzione del marchio commerciale va calcolata, ai sensi dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, sulla base delle dimensioni dell’intera superficie dell’installazione pubblicitaria, comprensiva anche della parte non coperta dal marchio, solo se quest’ultima abbia, per dimensioni, forma, colore, ovvero per mancanza di separazione grafica rispetto all’altra, le caratteristiche proprie o della
componente pubblicitaria aggiuntiva vera e propria ovvero quelle di una superficie estensiva del messaggio pubblicitario (Cass., Sez. 5^, 15 febbraio 2002, n. 7031; Cass., Sez. 5^, 6 agosto 2004, n. 15201; Cass., Sez. 5^, 30 ottobre 2009, n. 23024; Cass., Sez. 5^, 20 luglio 2012, n. 12684; Cass., Sez. 5^, 31 marzo 2017, n. 8427; Cass., Sez. 6^-5, 15 ottobre 2019, n. 26104; Cass., Sez. 6^-5, 17 ottobre 2019, n. 26398; Cass., Sez. 6^-5, 8 ottobre 2020, n. 21652 e 21653).
5.3 Nella specie, c ‘è stato uno specifico accertamento in fatto del giudice di appello, che ha confermato l’estensione del valore pubblicitario anche al resto del pannello. In particolare, la sentenza impugnata ha motivato al riguardo che, « come risulta dalle foto relative alla pubblicità oggetto di imposizione nella presente fattispecie controversa, i marchi sono stati pubblicizzati mediante un pannello bianco di dimensioni corrispondenti alla singola facciata dell’edificio, che pertanto hanno coperto ques t’ultima, e sulla quale figurano i marchi esposti ». Da qui la conclusione che: « Pertanto, sebbene tali marchi occupino una superficie più ridotta all’interno del pannello sovrapposto all’intera facciata, nondimeno non si ravvisa alcuna separazione o discontinuità grafica tra i primi e quest’ultima. L’intera superficie deve dunque ritenersi veicolo di diffusione pubblicitaria, atta a sollecitare l’attenzione del passante, e come tale assoggettato ad imposizione, come correttamente rilevato dalla Commissione tributaria provinciale ». Per cui, sotto l’egida di un apparente violazione di legge, la censura rischia di tradursi nella pretesa ad una revisione del merito sulla base di una rivalutazione delle risultanze probatorie, che è preclusa al giudice di legittimità.
6. Con il quinto motivo, si denuncia violazione dell’art. 7, comma 7, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato confermato dal giudice di secondo grado che le scritte pubblicitarie, apposte sulle pareti dell’edificio sul lato sud e sul lato ovest, sono mezzi illuminati e, quindi, soggetti a tariffa maggiorata, laddove, invece, la pubblicità è effettuata in forma illuminata soltanto in presenza di una fonte luminosa appositamente installata per illuminare il messaggio pubblicitario.
6.1 Il predetto motivo è infondato.
6.2 L’art. 7, comma 7, del d.lgs . 15 novembre 1993, n. 507, prevede che: « Qualora la pubblicità di cui agli articoli 12 e 13 venga effettuata in forma luminosa o illuminata la relativa tariffa di imposta è maggiorata del 100 per cento ».
Ora, in base al chiaro e inequivoco tenore di tale disposizione, la scritta pubblicitaria può essere « luminosa » per luce di fonte propria (cioè, diffusa dallo stesso mezzo pubblicitario) o « illuminata » per luce di fonte esterna (cioè, diffusa da impianto autonomo, ancorché strumentale, rispetto al mezzo pubblicitario), non essendo rilevante che l’illuminazione sia generata dalla stessa scritta o sia derivata da sorgenti esterne, essendo sufficiente la sua visibilità nelle ore notturne, che è il presupposto della maggiorazione impositiva.
6.3 Nella specie, accertando, « sulla base della fotografica prodotta dall’agente della riscossione, le scritte pubblicitarie sono illuminate da «apposito impianto collocato alla base delle pareti, per renderle visibili anche nelle ore notturne» », il giudice di appello ha correttamente ritenuto – in conformità al principio enunciato -che: « Ciò è sufficiente per ritenere legittima l’imposizione tributaria sotto questo profilo ed in particolare che si verta in un’ipotesi di pubblicità « effettuata in forma luminosa o
illuminata» ai sensi dell’art. 7, comma 7, d.lgs. n. 507 del 1993. Non è infatti determinante in senso contrario il fatto che l’impianto non sia specificamente dedicato alle facciate dell’edificio, quando risulti comunque l’esistenza di un impianto di illuminazione in grado di rendere visibile anche di notte la pubblicità (e dunque «illuminata» ai sensi della disposizione di legge poc’anzi menzionata). (…) Nel caso oggetto del presente giudizio la sorgente luminosa è riconducibile alla stessa proprietà de ll’edificio e da ciò deve ragionevolmente evincersi un volontario utilizzo di essa per l’illuminazione delle scritte pubblicitarie ».
In conclusione, valutandosi la infondatezza dei motivi dedotti, alla stregua delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo (secondo la nota spese).
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 5.513,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti, a carico della ricorrente, per il versamento del l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 26 marzo