Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17962 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17962 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12511/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende ex lege
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. SICILIA n. 10345/2022 depositata il 09/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 08/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 28/12/2017 l’Agenzia delle Entrate notificava alla Banca Intesa Sanp aolo S.p.A. l’avviso di liquidazione n. 2014/001/AV/000011530/0/001 con il quale le richiedeva il pagamento della complessiva somma di € 20.275,50 in relazione alla mancata registrazione della sentenza n. 11530 in data 8 aprile 2015, emessa dal Tribunale di Catania e con la quale il Comune di Catania, in qualità di debitore ceduto, era stato condannato ad onorare il debito assunto con il contratto di cessione di crediti per notar Saggio del 27.7.2006 a mezzo del quale la RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto all’allora Banca Intesa Infrastrutt ure e Sviluppo S.p.A. il credito prosoluto di € 14.789.490,50 vantato nei confronti del predetto Comune per varie prestazioni di servizi soggetti ad IVA. Non avendo le parti in causa provveduto alla formalità della registrazione, questa era stata disposta d’ufficio, assoggettando alla tassazione del 3% l’importo delle somme dovute dal debitore a titolo di interessi di mora per il ritardato pagamento ex artt. 15, comma 1, n. 1, d.P.R. 633/1973 e 8, lett. b, della tariffa parte I allegata al d.P.R. n. 131/1986.
Contro detto avviso proponeva impugnazione Banca Intesa Sanp aolo S.p.A. e la CTP di Catania, all’uopo adita, con sentenza n. 2148/2020, accoglieva il ricorso osservando che l’art. 8 della tariffa parte prima, allegato A, del d. p. r. 26.04.1986 n. 131 sottopone a tassazione gli atti dell’autorità giudiziaria in mat eria civile, compresi i decreti ingiuntivi, distinguendo, fra l’altro, i provvedimenti indicati alla lett. b), recanti ‘ condanna al pagamento di somme o valori o altre prestazioni, o alla cons egna di beni di qualsiasi natura’, da quelli di cui alla lett. c) ‘contenenti accertamento di diritti a contenuto patrimoniale’, e la nota 2 apposta in calce all’art. 8, in esame, prevede che gli atti di cui al comma 1, lett. b) ‘ non sono
soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggette ad IVA ai sensi dell’art. 40 T.U.’ e che, nel caso in esame, la cessione di credito era costituita da prestazioni in favore del Comune di Catania soggette ad IVA, come documentato in atti con la fattura n. 2 del 31.01.2005 per custodia autoparco comunale, giusta contratto 22.05.1998, relativa al mese di gennaio 2005, dovendosi ritenere, pertanto, applicabile il principio di alternatività pr evisto dall’art. 40 del d.P.R. 26.04.1986 n. 131.
La CGT-2 Sicilia, con la sentenza n. 10345/5/2022, confermava la pronunzia di primo grado rilevando che nel caso di specie, imponendo la citata sentenza il pagamento di somme dovute nell’ambito di un rapporto connesso ad operazioni di finanziamento rien tranti nel campo di applicazioni dell’IVA, ancorché in regime di esenzione (art. 10 d.P.R. n. 633/1972), andava applicata l’imposta di registro in misura fissa. Precisava che il principio di alternatività IVA-Registro trova applicazione anche qualora il pagamento della prestazione soggetta ad IVA sia effettuato dal debitore ceduto in favore del creditore cessionario dato che la cessione del credito, determinando solamente un mutamento del creditore, non incide sull’identità del rapporto giuridico dal quale è sorto il credito e che nel caso in esame, quindi, dato che il credito ceduto alla banca riguardava operazioni soggette ad IVA (secondo quanto desumibile dalla fattura prodotta con il ricorso introduttivo) e che si trattava della identica prestazione originaria, andava confermata l’applicabilità della nota II all’art. 8 della tariffa parte I allegata al d.P.R. n. 131/1986.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, l’Ufficio.
Intesa Sanpaolo S.p.A. è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo l’ufficio lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 15 del d.P.R. 633/72 comma 1, n.1) nonché dell’art. 8, lett. b) della Tariffa parte I all. al d.P.R. 131/1986.
Assume che erroneamente i giudici di appello avevano ricondotto la problematica del giudizio all’assunta violazione della previsione normativa recata dall’art. 40 del d.P.R. 131/86 riguardante il principio di alternatività IVA -registro, quando invece la ragione del rilievo e della correlata pretesa riguardava la natura nonché la corretta qualificazione giuridica degli interessi moratori liquidati con la sentenza, sui quali l’Ufficio correttamente aveva applicato l’imposta proporzionale di registro (3%) connotandoli a titolo di risarcimento del danno, e come tali non assoggettabili ad IVA (e per questo destinati a scontare l’imposta proporzionale di registro), diversamente dalla quota capitale, sottoposta a tassazione fissa per il citato principio di alternatività tra le due imposte ex art. art. 40 cit. Rileva che risultava evidente che la controversia riguardasse la qualificazione ed il criterio di tassazione degli interessi moratori da cui scaturiva l’imposta che non sono da assoggettare ad IVA ma da ricondurre alla previsione dell’art. 15 del d.P.R. 633/73 che al comma 1, n. 1) esclude, in maniera chiara, dalla computabilità della base imponibile gli interessi moratori.
Occorre premettere che il ricorso è da ritenere ammissibile e procedibile in quanto depositato, con relativi allegati, nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 369 c.p.c., per come appresso chiarito.
2.1. Deve rilevarsi che la sentenza prodotta da parte ricorrente ed allegata al fascicolo informatico ‘redatta in formato digitale’ non contiene la stampigliatura dei dati esterni concernenti la sua pubblicazione (numero cronologico e data).
2.2. Ad avviso di questo Collegio da tale ‘incompletezza’ non può discendere tout court l’improcedibilità del ricorso per cassazione (tesi
sostenuta da Cass. n. 29803/2020, Cass. n. 5771/2023, Cass. n. 8535/2023, Cass. n. 10180/2023, Cass. n. 23694/2023, Cass. n. 25472/2023, Cass. n. 28035/2023, Cass. n. 36379/2023, sul presupposto per cui, sebbene sia possibile produrre in giudizio copie o duplicati del provvedimento impugnato estratti dal fascicolo telematico, attestando la conformità del relativo contenuto all’originale contenuto nel predetto fascicolo, ai fini della procedibilità del ricorso per cas sazione ai sensi dell’art. 369 c.p.c. dev e trattarsi, in ogni caso, di copie con attestazione di Cancelleria della pubblicazione del provvedimento, con la relativa data e il numero attribuito dal sistema, altrimenti restando preclusa alla Corte la verifica circa l’effettiva venuta ad esistenza de l provvedimento impugnato ed i tempi di deposito) ovvero la sua inammissibilità (come affermato da Cass. n. 18510/2023, Cass. n. 29263/2023, Cass. n. 36189/2023, Cass. n. 817/2024, Cass. n. 841/2024).
Si è sostenuto, secondo la richiamata giurisprudenza, che nel caso in cui la sentenza impugnata risulti priva dell’attestazione di cancelleria circa l’avvenuta pubblicazione, la relativa data e il conseguente numero di pubblicazione, posto che i suddetti adempimenti sono gli unici che permettono alla Corte di controllare se e quando il provvedimento impugnato sia effettivamente venuto ad esistenza, la produzione di una copia della sentenza incerta nella data e priva del numero identificativo non consente di verificare la tempestività dell’impugnazione, verifica che va sempre opera d’ufficio.
In particolare Cass. n. 5771/2023 ha rilevato che «la disposizione dell’art. 16 -bis, comma 9-bis, del d.l. n. 179/2012 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 221/2012) introdotta dall’art. 52, comma 1, lett. a), del d.l. n. 90/2014 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 114/2014) che stabilisce la equivalenza all’originale delle copie informatiche, anche per immagine, dei provvedimenti del Giudice ‘anche se prive della firma digitale del cancelliere di
attestazione di conformità all’originale’» attribuisce «al difensore il potere di certificazione pubblica delle ‘copie analogiche ed anche informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico’ ma non anche la competenza amministrativa riser vata al funzionario di Cancelleria relativa alla ‘pubblicazione’ della sentenza». Si è, quindi, ritenuto che, ‘per quanto in linea generale sia possibile produrre in giudizio copie o duplicati del provvedimento impugnato estratti dal fascicolo telematico, attestando la conformità del relativo contenuto all’originale contenuto nel predetto fascicolo, ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 369 c.p.c. deve comunque trattarsi di copie o duplicati recanti l’attestazione di Canc elleria della pubblicazione del provvedimento, con la relativa data e il numero attribuito dal sistema’, altrimenti resterebbe preclusa alla Corte la verifica circa l’effettiva venuta ad esistenza del provvedimento impugnato e del suo numero identificativo.
2.3. Ritiene questo Collegio di aderire alle differenti conclusioni, coerenti con il sistema normativo concernente il processo telematico e la nozione di documento informatico, cui è pervenuta Cass. n. 12971/2024 secondo cui nel regime di deposito telematico degli atti, l’onere del deposito di copia autentica del provvedimento impugnato, imposto a pena di improcedibilità del ricorso dall’art. 369, comma 2 n. 2, c.p.c., è assolto non solo dal deposito della relativa copia informatica, recante la stampigliatura dei dati esterni concernenti la sua pubblicazione (numero cronologico e data), ma anche dal deposito del duplicato informatico di detto provvedimento, il quale ha il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, dell’originale informatico e che, per sue caratteristiche intrinseche, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione che ne determinerebbe, di per sé, l’alterazione; ne consegue che, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, i dati relativi alla pubblicazione vanno, in ogni caso, desunti dalla consultazione del
fascicolo di merito, acquisito d’ufficio ex art. 137-bis disp. att. c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023, ovvero, per i giudizi precedentemente introdotti, tramite richiesta di attestazione dei dati stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in presenza di istanza del ricorrente ex art. 369, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione antecedente all’abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Come precisato in seno a detta pronunzia ‘…. solo a seguito dell’avvenuta pubblicazione informatica, i difensori, accedendo al fascicolo informatico tramite il portale dei servizi telematici, possono scegliere se estrarre copia informatica del provvedimento, recante le indicazioni sulla data di pubblicazione e sul numero di cronologico, come stampigliatura apposta dal sistema informatico in esito all’accettazione dell’atto digitale da parte della cancelleria, ovvero se scaricare direttamente il duplicato informatico che, in quanto tale, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione che determinerebbe ipso facto l’alterazione dell’originale informatico (e la conseguente alterazione della sequenza di valori binari del documento originario). Non è, pertanto, sanzionabile con l’improcedibilità la scelta del difensore che, potendo optare tra il deposito del duplicato e la copia informatica (la cui apposta stampigliatura rappresenta soltanto un’evidenza grafica della registrazione informatizzata), si determini per il deposito del primo in quanto equivalente all’originale e, come tale, non necessitante di alcuna attestazione di conformità’.
2.4. Occorre considerare che il duplicato del provvedimento impugnato prodotto, in quanto estratto dal fascicolo informatico ed attestato come conforme dalla difesa di parte ricorrente, implica il deposito di ‘copia autenticata’ e vale ad integrare il requ isito richiesto dall’art. 369 c.p.c., così aprendosi la possibilità, pure in tale ipotesi, dell’accertamento officioso in ordine alla tempestività
dell’impugnazione tramite verifica, dal fascicolo d’ufficio, dei dati di pubblicazione del provvedimento.
Nel caso in esame, dalla consultazione del fascicolo di merito, operata d’ufficio da questo Collegio, risulta che la sentenza della CGT-2 della Sicilia è la sentenza n. 10345/5/2022, depositata in data 9 dicembre 2022, a fronte di un ricorso per cassazione notificato in data 8 giugno 2023 e, quindi, tempestivamente notificato nel rispetto del termine lungo e ritualmente depositato in data 13 giugno 2023.
2.5. In questa sede va, allora, affermato il seguente principio di diritto ‘Nel regime vigente in cui è consentito il deposito di copia analogica del provvedimento impugnato, redatto come documento informatico nativo digitale e così depositato in via telematica, ove detta copia analogica sia tratta dal duplicato informatico depositato nel fascicolo informatico, l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n.2, c.p.c., è assolto tramite l’attestazione di conformità della copia al duplicato apposta dal difensore, con la conseguenza che nel caso di incompletezza della copia prodotta non contenente la stampigliatura dei dati concernenti la sua pubblicazione – vale a dire il numero cronologico e la data – al fine di verificare, in ogni caso, d’ufficio la tempestività e ritualità dell’impugnazione, i dati relativi alla pubblicazione del provvedimento impugnato vanno desunti dalla disamina del fascicolo di merito, consultabile d’ufficio ex art. 137-bis disp. att. c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023’.
Tanto premesso quanto ai profili in rito, va osservato che il ricorso è fondato.
3.1. Occorre rilevare che secondo quanto desumibile ex actis, nella specie la tassazione riguarda interessi aventi natura moratoria con funzione di risarcimento conseguente al colpevole ritardo nell’adempimento da parte del debitore.
3.2. Invero, è orientamento consolidato di questa Corte che le somme dovute a titolo di interessi moratori, in forza del disposto di cui all’art. 15, comma 1, n. 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non concorrono a formare la base imponibile ai fini dell’IVA, con la conseguenza che esse – ove formino oggetto di condanna contenuta in un provvedimento giudiziale – sono assoggettate all’imposta di registro in misura proporzionale, anche quando riguardino una somma capitale soggetta ad IVA (in termini: Cass, Sez. 5^, 1 giugno 2007, n. 12906; Cass., Sez. 5^, 15 ottobre 2014, n. 21775; Cass., Sez. 5^, 30 ottobre 2015, n. 22228; Cass., Sez. 5^, 19 giugno 2020, n. 12013; Cass., Sez. 5^, 12 maggio 2021, nn. 12463, 12464 e 12465; Cass., Sez. 5^, 23 giugno 2021, n. 17869; Cass., Sez. 6^5, 2 febbraio 2022, n. 3143; Cass., Sez. 5^, 7 aprile 2022, n. 11283; Cass., Sez. 5^, 4 luglio 2022, n. 21107). In coerenza con tale principio, questa Corte ha affermato che le sentenze di condanna che gli istituti di credito ottengono per il recupero dei finanziamenti dalla clientela vanno sottoposte a tassazione fissa, in base alla previsione della nota II all’art. 8 della tariffa – parte prima annessa al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, senza distinzione tra quota capitale e quota interessi, quando questi ultimi non abbiano natura moratoria, come tali esclusi, a norma dell’art. 15, comma 1, n. 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dalla base imponibile IVA, ma siano gli interessi convenzionali, e quindi (con la commissione di massimo scoperto e la capitalizzazione trimestrale o annuale) il corrispettivo prodotto dall’operazione di finanziamento, trattandosi di prestazioni, ancorché esenti, attratte pur sempre all’orbita dell’IVA (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 13 luglio 2017, n. 17276; Cass., Sez. 5^, 12 febbraio 2020, n. 33798; Cass., Cass., Sez. 5^, 13 agosto 2020, n. 17036; Cass., Sez. 5^, 8 ottobre 2020, n. 21702; Cass., Sez. 5^, 9 dicembre 2020, n. 28031; Cass., Sez. 5^, 1 giugno 2021, n. 15268: Cass. Sez. 6 5^, 15 novembre 2022, n. 33535 ).
La sentenza impugnata non si è attenuta ai suddetti principi laddove ha erroneamente omesso di valutare che la ragione del rilievo e della correlata pretesa riguardava la natura, nonché la corretta qualificazione giuridica, degli interessi quali interessi moratori liquidati con la sentenza, trascurando di valutare la portata dell’art. 15 del d.P.R. 633/73 che, al comma 1, n. 1), esclude in maniera chiara ed univoca dalla computabilità della base imponibile IVA gli interessi moratori.
La previsione del detto art.15 è, dunque, la logica conseguenza della natura giuridica degli interessi moratori, in quanto essi costituiscono obbligazione autonoma e non un’obbligazione accessoria del credito vantato. In sostanza, questa Corte con i richiamati precedenti ha stabilito che in tema di imposta di registro la sentenza di condanna che il creditore ottenga per il recupero delle somme dovutegli per un finanziamento, alla luce del principio di alternatività con l’IVA consac rato nell’art. 40 del d.P. R. n. 131 del 1986, va sottoposta a tassazione in misura fissa, in base alla previsione della Nota II dell’art. 8 della Tariffa, parte I, allegata al detto decreto, senza distinzione tra quota capitale e quota interessi, solo quando questi ultimi non abbiano natura moratoria, come tali esclusi – ex art. 15 del d.P.R. n. 633 del 1972 – dalla base imponibile IVA, con conseguente applicabilità, in tale ultima ipotesi, dell’imposta di registro in misura proporzionale ai sensi dell’art. 8 della Tariffa, Parte Prima, più volte richiamata.
Sulla scorta di tali considerazioni non vengono in rilievo le considerazioni svolte da Cass. n. 9502/2018 che ha omesso di valutare, nella fattispecie concreta esaminata, la portata e la rilevanza dell’ art. 15 d.P.R. n. 633 del 1972 che esclude dalla base imponibile ai fini IVA sempre e comunque ‘gli interessi moratori’.
4. La sentenza impugnata va, pertanto, in accoglimento del ricorso cassata, e non essendo necessario alcun ulteriore accertamento di fatto -risultando, come detto legittimo l’atto impositivo de quo in
quanto correlato ad interessi moratori -la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso originario di parte contribuente.
Le spese del giudizio di merito possono essere integralmente compensate, mentre le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario di parte contribuente; dichiara integralmente compensate le spese dei giudizi di merito; condanna la Banca Intesa Sanpaolo S.p.A. al pagamento, in favore dell’Ufficio, delle spese del giudizio di legittimità , liquidate in euro 2.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione