Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14574 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14574 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12402/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ex lege
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, e BANCA RAGIONE_SOCIALE in persona dei rispettivi legali rappresentanti, elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che le rappresenta e difende
-controricorrenti-
avverso SENTENZA della C.T.R. del MOLISE n. 322/2020 depositata il 28/10/2020
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 08/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della C.T.R. del Molise di rigetto dell’appello dalla medesima formulato avverso la sentenza della C.T.P. di Campobasso di accoglimento del ricorso proposto da BNP Paribas s.a. e da Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. per l’annullamento dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, nella misura di euro 28.367,00, relativo alla registrazione della sentenza del Tribunale di Campobasso n. 65 del 2016.
La C.T.R., confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto corretta la qualificazione quali interessi corrispettivi degli interessi riconosciuti dalla sentenza del Tribunale di Campobasso di accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo, emesso contro la soc. RAGIONE_SOCIALE risultando la società condannata al pagamento della minor somma di euro 6.085.079,0, oltre agli interessi ordinariamente maturati ai sensi dell’art. 4 del contratto di finanziamento ed a quelli maturati al tasso legale sulla minor somma riconosciuta, dall’emissione della sentenza sino al soddisfo. La C.T.R., escluso di poter ricavare qualsiasi elemento idoneo a sostenere la natura risarcitoria degli interessi, tanto dalla sentenza del Tribunale di Campobasso, che dal contratto di finanziamento prodotto in atti, ha rilevato il mancato adempimento dell’onere probatorio gravante sull’Agenzia delle Entrate, non avendo l’Ufficio provveduto a depositare il ricorso ed il relativo decreto ingiuntivo a base della propria pretesa.
BNP Paribas s.a., e Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. resistono con controricorso.
Con memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ., le controricorrenti ribadiscono le conclusioni assunte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle Entrate formula un unico motivo di ricorso.
Con la doglianza fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 37 del T.U.R., 8 della Tariffa allegata al T.U.R, e 2697 cod. civ.. Ricorda che il Tribunale di Campobasso, con la sentenza n. 65 del 2016, aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso nei confronti della soc. RAGIONE_SOCIALE per il pagamento dell’importo di euro 6.122.599,00 a titolo di rate insolute di finanziamento, condannando la società al pagamento: ‘della complessiva minor somma di euro 6.085.079,00 oltre a interessi al tasso di cui all’art. 4 del contratto di finanziamento del 17.03.2010 fino alla presente sentenza ed oltre interessi al tasso legale (sulla complessiva somma così ottenuta) dalla presente sentenza fino all’effettivo soddisfo’. Siffatta complessiva somma di euro 6.085.079,00 era composta per euro 5.139,520,00 per importo da capitale e per euro 945.559,00 da interessi. Assume che l’Ufficio ha sottoposto a tassazione la somma dovuta per interessi, applicando l’imposta di registro nella misura proporzionale del 3%, in quanto interessi moratori, richiesti con il decreto ingiuntivo a causa del mancato pagamento delle rate scadute oggetto del finanziamento. Osserva che la natura moratoria degli interessi si evince dalla sentenza del Tribunale di Campobasso sottoposta a registrazione, mentre è inconferente il richiamo all’art. 4 del contratto di finanziamento, che regola la determinazione del tasso di interessi da applicare alle rate fisiologiche del finanziamento, la cui applicazione avrebbe
portato ad un risultato (euro 316.080,48) ben inferiore a quello richiesto nel decreto ingiuntivo (euro 945.559). Riprende l’orientamento di legittimità secondo il quale gli interessi moratori devono essere assoggettati all’imposta di registro anche quando la somma capitale sia soggetta ad IVA. Rileva l’erroneità della sentenza nella parte in cui afferma che l’ente impositore non avrebbe adempiuto all’onere di provare, a mezzo della produzione del ricorso per ingiunzione e del decreto ingiuntivo, la natura degli interessi, in quanto l’Ufficio ha assoggettato a tassazione la sentenza civile sottoposta a registrazione sulla base delle enunciazioni ivi contenute, mentre era onere della società contribuente dimostrare che gli interessi di cui si tratta avessero natura di interessi legali. Dà atto di allegare al ricorso per cassazione, oltre agli atti del presente processo, il ricorso per decreto ingiuntivo ed il decreto ingiuntivo.
Le parti controricorrenti eccepiscono, da un lato, l’inammissibilità del ricorso, risolvendosi l’unica censura nella richiesta di rivalutazione dell’accertamento in fatto compiuto da entrambi i giudici di merito, pur essendo il medesimo sottratto al giudizio di legittimità, dall’altro, l’inammissibilità dell’allegazione al ricorso per cassazione di documenti -ricorso per ingiunzione e decreto ingiuntivo- non prodotti nei gradi di merito.
Per dare soluzione al quesito posto con il ricorso -ed altresì per rispondere alle eccezioni di inammissibilità avanzate dalle controricorrenti- è bene premettere che, secondo questa Corte ‘In tema di imposta di registro, la sentenza di condanna che un istituto di credito ottenga per il recupero delle somme dovutegli per un finanziamento, alla luce del principio di alternatività con l’IVA consacrato nell’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, va sottoposta a tassazione fissa, in base alla previsione della nota II dell’art. 8 della tariffa, parte I, allegata
al detto decreto, senza distinzione tra quota capitale e quota interessi, quando questi ultimi non abbiano natura moratoria come tali esentati, ex art. 15 del d.P.R. n. 633 del 1972, dalla base imponibile IVA, con conseguente applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale ai sensi dell’art. 8 della detta tariffa -, ma siano gli interessi convenzionali, e quindi (con la commissione di massimo scoperto e la capitalizzazione trimestrale) il corrispettivo prodotto dall’operazione di finanziamento, trattandosi di prestazioni, ancorché esenti, attratte pur sempre all’orbita dell’IVA. (Cass. Sez. 6, 15/11/2022, n. 33535; conf. Cass. Sez. 5, 13/07/2017, n. 17276; Cass. Sez. 5, 03/03/2006, n. 4748).
5. D’altro canto, ‘Il principio secondo cui quella di registro è imposta “d’atto” comporta, nel caso in cui l’atto da registrare sia una sentenza, che per stabilire i presupposti e i criteri della tassazione occorra fare riferimento al contenuto ed agli effetti che emergono dalla sentenza stessa, senza possibilità di utilizzare elementi ad essa estranei né di ricercare contenuti diversi da quelli su cui si sia formato il giudicato’ (Cass. Sez. 5, 07/11/2012, n. 19247; Cass. Sez. 5, 20/07/2011, n. 15918; più di recente è stato affermato che ‘In tema di imposta di registro, se l’atto da registrare è una sentenza o un lodo arbitrale (nella specie recante la condanna al pagamento dei maggiori corrispettivi derivanti da azione di adempimento contrattuale), per stabilire i presupposti ed i criteri di tassazione, in conformità al disposto degli artt. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 e 8 sub c) della tariffa allegata, occorre fare riferimento al contenuto e agli effetti emergenti dalla pronuncia stessa, senza possibilità di utilizzare elementi ad essa estranei né di ricercare contenuti diversi da quelli su cui si è formato il giudicato’ (Cass. Sez. 5, 19/06/2020, n. 12013).
Ora, nel caso di specie, la sentenza del Tribunale di Campobasso, trascritta nel ricorso per cassazione, revocato il decreto ingiuntivo, condanna l’opponente soc. Logint ‘al pagamento in favore della parte opposta della complessiva minor somma di euro 6.085.079 oltre interessi come da motivazione’, mentre nel corpo della sentenza si legge che ‘il d.i. va revocato, condannandosi l’opponente al pagamento in favore della parte opposta della complessiva minor somma di euro 6.085.079,00 oltre ad interessi al tasso di cui all’art. 4 del contratto di finanziamento del 17.3.2010 fino alla presente sentenza ed oltre interessi al tasso legale (sulla complessiva somma così ottenuta) dalla presente sentenza fino all’effettivo soddisfo’. Su questa base la C.T.R., con la decisione qui impugnata, ha ritenuto che, non potendo il giudice tributario dare una diversa interpretazione alla statuizione di un altro giudicante, gli interessi non potessero venire considerati come moratori, non essendo così qualificati neppure dal contratto di finanziamento, richiamato dalla sentenza assoggettata ad imposizione.
Seppure non possa dubitarsi -in linea astratta- che in caso di ritardo nell’adempimento di obbligazioni pecuniare nell’ambito di transazioni commerciali il creditore abbia diritto alla corresponsione degli interessi moratori ex artt. 4 e 5 del d. lgs. 231 del 2002, vi è che, nel caso di specie, non solo il Tribunale di Campobasso non fa alcuna menzione espressa agli interessi moratori, semplicemente richiamando il tasso di cui all’art. 4 del contratto di finanziamento, ma nell’operare un controllo sulla disciplina pattizia, al limitato fine di comprendere il rimando contenuto nella decisione, la C.T.R. esclude che essa offra elementi a sostegno della loro natura moratoria, trattandosi di interessi di natura corrispettiva.
Quanto sopra premesso, nondimeno, comporta che il richiamo preteso dall’Agenzia delle Entrate al ricorso per decreto ingiuntivo, al provvedimento monitorio medesimo, al di là della sicura inammissibilità della loro produzione per la prima volta in sede di legittimità ex art. 372 cod. proc. civ., come eccepita dalla controricorrente, appaia del tutto fuorviante, posto che implica il riferimento ad elementi estrinseci alla sentenza assoggettata a tassazione. La decisione qui impugnata, dunque, non solo applica correttamente l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, ma essa conferma la sentenza di primo grado, in ordine alla natura corrispettiva degli interessi riconosciuti dal decreto ingiuntivo -da ritenersi per come accertata sulla base della documentazione prodotta in giudizio, quale accertamento di fatto- con il conseguente realizzarsi della c.d doppia conforme di cui all’art. 348 ter, commi 4 e 5 cod. proc. civ., ratione temporis applicabile. Va altresì osservato che, anche al di là delle ragioni di inammissibilità appena enunciate, vi è che la doglianza proposta, per come formulata, difetta dell’esplicitazione dei parametri interpretativi del contratto di finanziamento, richiamato dalla sentenza sottoposta a tassazione, che la C.T.R. non avrebbe tenuto in considerazione, ciò integrando un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidarsi in euro 5.000,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A come per legge.
Non si fa luogo alla pronuncia in ordine al pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, non sussistendone i presupposti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A come per legge.
Così deciso in Roma, in data 8 aprile 2025 .