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Imposta di registro su fideiussione: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24303/2025, ha stabilito che l’imposta di registro su fideiussione è dovuta in misura proporzionale anche se il contratto non è stato registrato, qualora venga menzionato in un atto giudiziario come un decreto ingiuntivo. La decisione si fonda sulla funzione antielusiva della normativa fiscale. La Corte ha inoltre chiarito che anche gli interessi moratori, essendo esclusi dalla base imponibile IVA, sono soggetti a imposta di registro proporzionale.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Imposta di registro su fideiussione: quando è dovuta anche senza contratto registrato

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha riaffermato un principio cruciale in materia fiscale: l’imposta di registro su fideiussione è dovuta anche se il contratto di garanzia non è stato originariamente registrato, a condizione che venga menzionato in un provvedimento giudiziario. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale volto a contrastare l’elusione fiscale e chiarisce la tassazione applicabile anche agli interessi di mora.

I fatti di causa

Il caso trae origine da un contenzioso tra l’Agenzia delle Entrate e un istituto di credito. L’Amministrazione finanziaria richiedeva il pagamento dell’imposta di registro in misura proporzionale su una fideiussione che, sebbene non registrata, era stata esplicitamente menzionata in un decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca. La Commissione Tributaria Regionale aveva inizialmente respinto le pretese dell’Agenzia, la quale ha quindi proposto ricorso per cassazione, basando le sue doglianze su due motivi principali: la violazione delle norme sull’imposta di registro per la fideiussione enunciata e l’errata applicazione dell’imposta sugli interessi.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto entrambi i motivi di ricorso presentati dall’Agenzia delle Entrate. Ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo direttamente nel merito, ha rigettato il ricorso originario del contribuente (l’istituto di credito). La Corte ha quindi confermato la legittimità della pretesa fiscale, condannando la banca al pagamento delle spese legali.

Le motivazioni: la funzione antielusiva dell’imposta di registro su fideiussione

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 22 del Testo Unico dell’Imposta di Registro (d.P.R. n. 131/1986). Secondo la Corte, la menzione (o “enunciazione”) di un atto non registrato, che avrebbe dovuto essere registrato in termine fisso, all’interno di un provvedimento giudiziario, lo attira automaticamente nel campo di applicazione dell’imposta. Questo meccanismo ha una chiara funzione antielusiva: impedisce che le parti, omettendo la registrazione di un contratto come la fideiussione, possano sottrarsi al pagamento del tributo dovuto. La Corte ha ribadito che, a tal fine, è irrilevante che il provvedimento giudiziario (in questo caso, il decreto ingiuntivo) sia esecutivo o meno. La semplice enunciazione è sufficiente a far scattare l’obbligo fiscale.

Le motivazioni: la tassazione degli interessi moratori

Con il secondo motivo, la Corte ha affrontato la questione della tassazione degli interessi. Nel decreto ingiuntivo in questione, erano presenti anche interessi di natura moratoria. La Corte ha chiarito che, ai sensi dell’art. 15 del d.P.R. n. 633/1972 (legge IVA), le somme dovute a titolo di interessi moratori o penalità per ritardi sono escluse dalla base imponibile IVA. Proprio per questa loro esclusione dal campo IVA, esse rientrano pienamente nell’ambito di applicazione dell’imposta di registro, che deve essere applicata in misura proporzionale (nella fattispecie, al 3%). La natura risarcitoria degli interessi di mora, e non corrispettiva, ne determina l’assoggettamento a registro anziché a IVA.

Conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un’importante conferma per l’Amministrazione finanziaria e un monito per i contribuenti. Il principio consolidato è che l’obbligo di versare l’imposta di registro su fideiussione sorge non solo con la registrazione volontaria dell’atto, ma anche quando questo viene “scoperto” attraverso la sua menzione in un altro atto soggetto a registrazione, come un provvedimento del giudice. Le imprese, in particolare gli istituti di credito che fanno ampio uso di garanzie come le fideiussioni, devono essere consapevoli che l’utilizzo processuale di tali contratti non registrati comporta inevitabilmente l’emersione del debito tributario pregresso, comprese le relative sanzioni. Inoltre, la chiara distinzione fiscale tra interessi corrispettivi (soggetti a IVA) e interessi moratori (soggetti a registro) deve essere attentamente considerata nella gestione dei crediti e delle azioni di recupero.

Una fideiussione non registrata deve pagare l’imposta di registro se menzionata in un decreto ingiuntivo?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la fideiussione menzionata in un decreto ingiuntivo è soggetta all’imposta di registro in misura proporzionale, a prescindere dal fatto che l’atto di fideiussione non sia stato registrato in origine.

Perché un atto non registrato diventa tassabile se menzionato in un provvedimento giudiziario?
Ciò accade per la funzione antielusiva dell’art. 22 del Testo Unico sull’Imposta di Registro (TUR). Questa norma presuppone che l’enunciazione in un atto giudiziario di un contratto non registrato (che avrebbe dovuto esserlo) lo sottoponga a tassazione per evitare che le parti si sottraggano all’obbligo fiscale.

Gli interessi di mora sono soggetti a imposta di registro proporzionale?
Sì. Poiché gli interessi moratori sono esclusi dalla base imponibile ai fini IVA (in quanto hanno natura risarcitoria e non di corrispettivo), essi sono soggetti all’imposta di registro in misura proporzionale (pari al 3%).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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