Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21020 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21020 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3779/2020 R.G., proposto
DA
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliati (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL, giusta procura in margine al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTI
CONTRO
Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove domiciliata per legge (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL );
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per il Friuli-Venezia Giulia l’11 ottobre 2018, n. 203/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10 aprile 2025 dal Dott. NOME COGNOME
IMPOSTA DI REGISTRO ACCERTAMENTO ATTI GIUDIZIARI DICHIARAZIONE DI NULLITÀ DI TESTAMENTO OLOGRAFO
PRINCIPIO DI DIRITTO
RILEVATO CHE:
1. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per il Friuli-Venezia-Giulia l’11 ottobre 2018, n. 203/04/2018, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione n. 2013/001/SC/000000811/0/013 per l’omesso pagamento dell e imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura complessiva di € 65.348,26 per la registrazione di una sentenza depositata dal Tribunale Civile di Trieste col n. 376/2013, che, nell’ordine, aveva dichiarato la nullità per falsità del testamento olografo a firma apparente del defunto NOME COGNOME aveva dichiarato l’indegnità di alcuni eredi testamentari del de cuius , aveva adottato le conseguenti condanne a contenuto restitutorio/risarcitorio (nella misura di € 137.142,59 , di cui € 44.019,73 a titolo di rivalutazione monetaria ed interessi legali su ricavi di beni alienati per € 760.922,58 , e di € 93.122,86 a titolo di interessi legali con decorrenza dalle singole vendite fino al 31 dicembre 2011, e nella misura di € 788.435,63 , di cui € 762.581,00 a titolo di indennità di occupazione e di € 25.845,63 a titolo di interessi legali su tale indennità) a favore degli eredi legittimi ed aveva pronunciato la divisione giudiziale dell’asse ereditario tra gli eredi legittimi, per un valore totale di € 2.316.991,75, mediante l’ assegnazione di due lotti per gruppi di condividenti, uno per l’importo di € 850.506,37 (lotto ‘ A ‘) e l’altro per l’importo di € 1.466.485,38 (lotto ‘ B ‘), risultando la ripartizione di beni nella misura di € 2.009.002,25 (con aliquota dell’1% sul totale) tra i gruppi di condividenti e l’imposizione di un conguaglio nella misura di € 307.989,50 (rispettivamente, con aliquota del 3% sui beni mobili, per l’importo di € 190.121,92, ed aliquota del 7% sui beni immobili,
per l’importo di € 117.867,58) a carico dei condividenti assegnatari del primo lotto (lotto ‘ A ‘), ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti d i NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Trieste il 28 aprile 2015, n. 126/02/2015, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.
La Commissione tributaria regionale ha riformato la decisione di primo grado -che aveva accolto il ricorso originario dei contribuenti -sul rilievo che: « In particolare, l ‘atto contestato è correttamente e adeguatamente motivato e spiega come la sentenza oggetto di imposizione si divide in due parti, una, dichiara la falsità del testamento, l’esclusione degli eredi e quali siano i legittimi eredi, disponendo la restituzione dei cespiti e dei beni ai legittimi eredi, la seconda ripristina lo stato di diritto qualificando le conseguenze economiche derivanti da quanto statuito e condanna i convenuti al pagamento di somme. Ne consegue che la prima parte della sentenza che dichiara la nullità del testamento è tassata ai sensi dell’art. 8 lett. e) della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 a tassa fissa. Mentre la condanna al pagamento di somme è applicabile la lett. b dell’art. 8 D.P.R. n. 131 del 1986 citato che prevede ” Atti recanti condanna al pagamento di somme o va- lori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura ” che prevede la tassazione nella misura percentuale del 3% ».
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, eccependo in limine litis l’inammissibilità del ricorso per tardiva proposizione e l’inapplicabilità della sospensione dei termini di impugnazione ex art. 6, comma 11, del d.l. 23 ottobre 2018,
n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136.
CONSIDERATO CHE:
Preliminarmente, si deve esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardiva proposizione, essendo venuto a scadenza il termine lungo di impugnazione (artt. 38, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e 327, comma 1, cod. proc. civ.) l’11 aprile 2019 e non potendo beneficiare il presente procedimento (secondo la controricorrente) della sospensione dei termini di impugnazione di cui all’art. 6, comma 11, del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136 (recante ‘ Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria ‘) .
1.1 Si rammenta che, in forza di tale disposizione: « Per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 luglio 2019 ».
Le « controversie definibili » sono state individuate dal l’art. 1, comma 1, del citato d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, nelle « controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio ».
Secondo la prospettazione della controricorrente, « non può essere definita ai sensi dell’art. 6, comma 1 del D.L. n. 119/2018 la lite relativa ad un avviso di liquidazione dell’imposta principale di registro scaturente dalla registrazione di una sentenza civile, in quanto non è definibile un atto che abbia una funzione meramente liquidatoria e non impositiva ».
Laddove, nel caso sub iudice , « l’avviso di liquidazione, non contenendo alcuna rettifica in aumento della pretesa, non può essere qualificato come atto avente una funzione impositiva vera e propria ».
1.2 L’eccezione deve essere disattesa.
S econdo la circolare emanata dall’Agenzia delle Entrate l’1 aprile 2019, n. 6 (in materia di ‘ Definizione agevolata delle controversie tributarie – Articolo 6 e articolo 7, comma 2 lettera b) e comma 3, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136 ‘): « Il comma 1 dell’articolo 6 prescrive che la definizione agevolata attiene alle controversie pendenti ‘aventi ad oggetto atti impositivi’, vale a dire avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione di sanzioni, atti di recupero dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati e ogni altro atto di imposizione che rechi una pretesa tributaria quantificata. Ne deriva che restano escluse dalla definizione le liti avverso gli atti diversi da quelli precedentemente indicati, (…) che non costituiscono atti impositivi o che non recano una pretesa tributaria determinata » (par. 2.3).
Peraltro, con preciso riguardo agli « avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, delle imposte ipotecarie e catastali e dell’imposta di successione » (par. 2.3.4), dopo aver premesso che « tali atti non presuppongono, di norma, operazioni di rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti », lo stesso documento dell’amministrazione finanziaria ha precisato che, « nel caso in cui l’Ufficio si limiti a determinare l’entità del tributo dovuto, secondo i dati dichiarati dal contribuente stesso, la li te sull’avviso di liquidazione non è definibile ».
La successiva circolare emanata dall’Agenzia delle Entrate il 15 maggio 2019, n. 10 (in materia di ‘ Definizione agevolata delle
contro
versie tributarie – Articolo 6 e articolo 7, comma 2, lettera b) e comma 3, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136 -Risposte a quesiti ‘) ha espressamente affermato -in risposta a specifico quesito sul punto – che: « Le liti aventi ad oggetto avvisi di liquidazione relativi all’applicazione dell’imposta di registro agli atti giudiziari non sono definibili ai sensi dell’articolo 6, avendo essenzialmente una funzione di riscossione dell’imposta dovuta in relazione alla registrazione dei predetti atti » (par. 1.1).
1.3 La questione non è stata affrontata in termini specifici da questa Corte, la quale, in una serie di recenti arresti (sulla scia dell’attuale orientamento delle Sezioni Unite sulla nozione di ‘ atto impositivo ‘: Cass., Sez. Un., 25 giugno 2021, n. 18298), ha deciso -su un piano generale – che, in tema di definizione agevolata, anche il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione delle imposte proporzionali di registro, ipotecaria e catastale dà origine a una controversia suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 6 del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, laddove tale atto si riveli espressione di una finalità sostanzialmente impositiva, in quanto suscettibile di esprimere, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, in via provvisoria, al momento della richiesta di registrazione (in termini: Cass., Sez. 5^, 20 luglio 2021, n. 20683; Cass., Sez. 5^, 4 gennaio 2022, n. 9; Cass., Sez. 5^, 25 gennaio 2022, n. 2054; Cass., Sez. 5^, 14 marzo 2022, n. 8139; Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022, n. 11479; Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2022, n. 16484; Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2022, n. 18001; Cass., Sez. 6^-5, 8 giugno 2022, n. 18409).
1.4 Per quanto concerne gli atti giudiziari, sul piano normativo, il d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, prevede che essi « sono soggetti all’imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato » (art. 37, comma 1) e che, in mancanza di richiesta delle parti litiganti o dei soggetti interessati, la registrazione è eseguita d’ufficio, previa riscossione dell’imposta dovuta (art. 15, comma 1, lett. a). In mancanza del pagamento o del deposito, l’ufficio procede alla notifica di apposito un avviso di liquidazione al soggetto o ad uno dei soggetti obbligati al pagamento dell’imposta, con invito ad effettuare entro il termine di sessanta giorni il pagamento dell’imposta e, se dallo stesso dovuta, della pena pecuniaria irrogata per omessa richiesta di registrazione, indicando gli estremi dell’atto da registrare o il fatto da denunciare e la somma da pagare (art. 54, comma 5).
1.5 Quanto al contenuto del predetto avviso di liquidazione, la più recente giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in materia di imposta di registro su atti giudiziari definitori di procedimenti nei quali il contribuente sia stato parte, l’avviso di liquidazione può ritenersi adeguatamente motivato anche quando, riportando esso gli estremi identificativi essenziali sia dell’atto giudiziario medesimo (natura del provvedimento, ufficio emanante, estremi di ruolo e pubblicazione) sia dei criteri normativi e matematici di determinazione del dovuto (base imponibile, aliquota tariffaria applicata ed imposta liquidata), non alleghi l’atto in sé. Tuttavia, nel caso in cui il contribuente contesti in maniera specifica e circostanziata la sufficienza motivazionale dell’avviso e la comprensibilità della pretesa impositiva rinveniente da quelle sole indicazioni, il
giudice di merito deve procedere al vaglio complessivo del livello motivazionale dell’avviso stesso, indipendentemente dalla allegazione o non allegazione ad esso dell’atto giudiziario tassato, anche in relazione agli eventuali elementi di complessità ed equivocità che possano in concreto emergere da quest’ultimo (Cass., Sez. 5^, 29 settembre 2021, n. 26340 -da ultime, vedansi anche: Cass., Sez. 6^-5, 24 gennaio 2022, n. 1973; Cass., Sez. 5^, 22 marzo 2022, n. 9172; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10898; Cass., Sez. 6^-5, 8 giugno 2022, n. 18416; Cass., Sez. Trib., 13 ottobre 2023, n. 28584). Nel pervenire a tale conclusione, la Corte ha rimarcato come, « nel caso di sentenze o lodi, in particolare, questa valutazione di congruità motivazionale non può prescindere dalla maggiore o minore complessità e varietà tipologica e di effetti delle statuizioni giudiziali tassate in ragione, a titolo meramente esemplificativo, del numero delle parti interessate dal giudizio; del numero, complessità, interdipendenza e connessione dei capi decisori e della loro specifica riferibilità ed inerenza (in caso di pluralità di parti) alla sfera giuridica del contribuente inciso quale parte in senso sostanziale del rapporto racchiuso nel giudizio e dei suoi effetti decisori; della eventuale sussistenza di fenomeni successori nel processo che possano aver determinato la scissione soggettiva tra parte del medesimo e parte del rapporto tributario da esso poi derivato; della più o meno immediata individuabilità in esse degli elementi economici rilevanti per l’imposizione; della presenza di dubbi interpretativi sulla reale portata della statuizione, così come desumibile dall’integrazione di motivazione e dispositivo; della pluralità delle voci tariffarie astrattamente applicabili agli effetti giuridici del decisum ecc… Deriva quindi da questa impostazione, volta ad ampliare e non a restringere la tutela
del contribuente, che il criterio discretivo non passa attraverso la formalità della ‘allegazione – non allegazione’, vista una varia e sfuggente fenomenologia che può presentare tanto avvisi adeguatamente motivati pur in assenza di allegazione dell’atto giudiziale in esso specificamente indicato, quanto avvisi non adeguatamente motivati pur in presenza di allegazione – bensì attraverso un controllo sostanziale ed effettivo (spettante al giudice di merito perché di natura prettamente fattuale) della concreta congruità motivazionale dell’avviso nella valutazione complessiva ed interdipendente del contenuto suo proprio (livello di specificazione ed identificazione del provvedimento giudiziale tassato, oltre che degli elementi essenziali e dei parametri di liquidazione dell’imposta applicati), degli elementi già noti al contribuente (in quanto parte del processo definitosi con quel provvedimento), del livello di maggiore o minore complessità ed intellegibilità di tale provvedimento in rapporto alla imposizione » (Cass., Sez. 5^, 29 settembre 2021, n. 26340).
È evidente, quindi, che la meticolosa analisi dei parametri regolanti l’onere motivazionale postula, a monte, l’esigenza di un sindacato postumo sull’esercizio della potestà impositiva in relazione alla registrazione degli atti giudiziari, alla complessità ed alla molteplicità delle cui statuizioni deve essere calibrata e commisurata l’illustrazione delle ragioni sottese alla liquidazione dell’imposta di registro in base all’art. 8 della tariffa -parte prima annessa al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Per cui, l’avviso di liquida zione ex art. 54, comma 5, del citato d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, si atteggia alla tipica stregua di un atto sostanzialmente impositivo e non di un atto meramente liquidatorio . Difatti, quest’ultimo non esigerebbe, per sua natura, una motivazione complessa, postulando che i criteri
impositivi siano chiaramente prefissati per legge e che l’indicazione della base imponibile possa essere facilmente desunta dal contenuto testuale dell’atto soggetto ad imposizione.
R ichiamando l’orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite sulla nozione generale di ‘ atto impositivo ‘, che è stato individuato nel primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente e che, come tale, è impugnabile ex art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva (Cass., Sez. Un., 25 giugno 2021, n. 18298 -nello stesso senso: Cass., Sez. 5^, 11 giugno 2022, n. 17941; Cass., Sez. Trib., 6 ottobre 2022, n. 29163; Cass., Sez. Trib., 7 settembre 2023, n. 26090; Cass., Sez. Trib., 31 gennaio 2024, n. 2901; Cass., Sez. Trib., 27 agosto 2024, n. 23183; Cass., Sez. Trib., 24 settembre 2024, n. 25560; Cass., Sez. Trib., 12 marzo 2025, n. 6587), in sintonia e continuità con tale esegesi, questa Corte ha ammesso la definizione agevolata ex art. 6 del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, per l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro su l decreto di omologazione di concordato preventivo, sul presupposto che, a prescindere dal nomen utilizzato (parametro formale non dirimente), la lite ha poi ad oggetto proprio un atto di imposizione, e non di mera liquidazione o riscossione, che, pur tenendo fermi i valori economici così come risultanti dalla proposta concordataria omologata, esprimeva in realtà una finalità sostanzialmente impositiva là dove: a) applicava un’imposta in misura proporzionale del 3% in luogo di quella (richiesta dalla parte) in misura fissa; b) ci ò all’esito di una valutazione prettamente giuridica in ordine sia alla applicabilità
nel caso concreto della lett. a) (trasferimento di diritti reali), invece che della lett. g) (omologazione) dell’art. 8 della tariffa -parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sia (pur nell’ambito della lett. a) all ‘ individuazione della base imponibile nell’intero fabbisogno concordatario piuttosto che nel solo controvalore dell’attivo fallimentare e delle azioni revocatorie trasferite al terzo assuntore (in termini: Cass., Sez. 5^, 4 maggio 2022, n. 14139).
1.6 Tale conclusione è conforme all’indirizzo delineatosi nel vigore de ll’art. 6, comma 1, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (Cass., Sez. Trib., 9 settembre 2022, nn. 26591 e 26631; Cass., Sez. Trib., 25 ottobre 2023, n. 29574; Cass., Sez. Trib., 22 luglio 2024, n. 20165) e, ancor prima, nel vigore de ll’art. 39, comma 12, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che rinvia al l’art. 16 dell a legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Cass., Sez. 5^, 24 giugno 2016, nn. 13136 e 13137), in relazione all ‘applicazione dell’ imposta di registro sui decreti ingiuntivi muniti di provvisoria esecutività, a tenore del quale, premesso che il carattere meramente liquidatorio, e non impositivo, dell’atto deve essere desunto dal contenuto sostanziale e dalla funzione di quest’ultimo, non già dalla sua rubricazione nominale e qualificazione formale (Cass., Sez. 5^, 20 febbraio 2009, n. 4129; Cass., Sez. 5^, 6 ottobre 2010, n. 20731; Cass., Sez. 5^, 23 novembre 2020, n. 26533), la peculiarità del caso è data dal fatto che l’avviso di liquidazione in oggetto non si limita ad applicare – sulla base di elementi e parametri economici desumibili ictu oculi dall’atto stesso, in assenza di qualsivoglia valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione finanziaria -l’imposta di registro in
misura proporzionale commisurata all’entità della somma ingiunta, ma esprime, a monte, un’opzione prettamente impositiva sulla tipologia del presupposto imponibile e sul regime di imposizione conseguentemente ritenuto ad esso applicabile. Su tale presupposto, non può dirsi che la controversia abbia mera natura liquidatoria solo perché scaturita da un atto con il quale l’amministrazione si è limitata a ‘ conteggiare ‘ il dovuto, instaurando un rapporto percentuale tra aliquota applicabile ed ammontare imponibile dell’ingiunzione; posto che la contestazione del contribuente verteva non già sulla correttezza ‘ matematica ‘ di tale conteggio, e nemmeno sul fatto che i fattori di liquidazione presi a riferimento dall’amministrazione emergessero effettivamente ictu oculi dal decreto ingiuntivo, senza necessità di accertamenti o rettifiche di sorta; bensì proprio sull’applicabilità nella specie dell’imposizione proporzionale del 3% sul valore contenuto nel provvedimento giudiziario, piuttosto che nella misura fissa prevista in caso di assoggettamento ad IVA e, in ogni modo, per il rapporto sostanziale in esso dedotto.
In tale contesto, secondo un diffuso orientamento di questa Corte, ciò che rileva ai fini della qualificazione dell’atto come impositivo e della conseguente inclusione della relativa controversia (allora) nell’ambito applicativo dell ‘ art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (il cui comma 3, lett. a), individua le liti pendenti -ai fini della condonabilità -con quelle aventi ad oggetto « avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione »), è la sua effettiva funzione, a prescindere dalla qualificazione formale dell’atto stesso. Pertanto, la natura impositiva dell’atto, ai fini anzidetti, va riconosciuta quando esso sia
destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale, essendo sufficiente che la contestazione da parte di quest’ultimo sia idonea ad integrare una controversia effettiva, e non apparente, sulla legittimità, sotto qualsiasi profilo (tranne che su aspetti relativi a meri errori di calcolo), della pretesa medesima (Cass., Sez. 5^, 20 marzo 2006, n. 6186; Cass., Sez. 5^, 20 febbraio 2009, n. 4129; Cass., Sez. 5^, 12 marzo 2009, n. 5938; Cass., Sez. 5^, 2 luglio 2009, n. 15548; Cass., Sez. 5^, 7 luglio 2010, n. 16075; Cass., Sez. 5^, 6 ottobre 2010, n. 20731; Cass., Sez. 5^, 8 marzo 2013, n. 5879; Cass., Sez. 5^, 27 settembre 2013, n. 22158; Cass., Sez. 5^, 9 gennaio 2014, n. 209; Cass., Sez. 5^, 7 maggio 2014, n. 9806; Cass., Sez. 5^, 25 marzo 2016, n. 5977; Cass., Sez. 5^, 18 ottobre 2021, n. 28598; Cass., Sez. Trib., 6 ottobre 2022, n. 29163; Cass., Sez. Trib., 31 gennaio 2024, n. 2901). È, pertanto, di per sé irrilevante la circostanza che l ‘atto contenga la liquidazione di imposte dichiarate e non versate, una volta che, da un lato, si tratta del primo atto con cui l’amministrazione fa valere la propria pretesa nei confronti del contribuente, e, dall’altro, quest’ultimo ha instaurato una controversia effettiva e non apparente sui contenuti dell’obbligazione tributaria.
Non è, dunque, condivisibile la deduzione che l’ufficio si sarebbe qui limitato – in una situazione nella quale l’avviso di liquidazione era reso necessario dalla mancata previsione di autoliquidazione del tributo – a stabilire l’entità dell’imposta sulla base dei dati dichiarati dallo stesso contribuente avanti al giudice, e risultanti dal decreto ingiuntivo; senza disconoscerli né rettificarli in vista di una maggiore pretesa impositiva. È vero, al contrario, che l’attività dell’amministrazione finanziaria non si è esaurita nella mera liquidazione, essendo quest’ultima
operazione direttamente conseguita ad un atteggiamento tipicamente impositivo, perché volto ad applicare, in esito ad una determinata valutazione giuridica, il regime di imposizione proporzionale di registro proprio dell’atto giudiziario (artt. 37 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e 8, comma 1, lett. b), dell’annessa tariffa parte prima), in luogo di quello in misura fissa sostenuto dal contribuente.
1.7 La conclusione qui accolta si pone nell’ambito del consolidato orientamento di legittimità formatosi sull’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in base al quale l’immediata liquidazione di un tributo è consentita soltanto sulla base di elementi emergenti de plano dalla dichiarazione, e presuppone, pertanto, la mancanza non soltanto di rettifiche di valore, ma anche di valutazioni giuridiche. In modo tale che la definizione dell’atto come avviso di liquidazione non vale di per sé ad escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso sia destinato ad affermare, per la prima volta, nei confronti del contribuente, la pretesa fiscale sulla base di valutazioni non consistenti nella mera rilevazione di dati dall’atto sottoposto ad imposizione (Cass., Sez. 5^, 20 febbraio 2009, n. 4129; Cass., Sez. 5^, 6 ottobre 2010, n. 20731; Cass., Sez. 5^, 24 giugno 2016, nn. 13136 e 13137; Cass., Sez. 5^, 9 settembre 2022, nn. 26591 e 26631; Cass., Sez. Trib., 25 ottobre 2023, n. 29574; Cass., Sez. Trib., 22 luglio 2024, n. 20165).
Né può esservi dubbio che la valutazione giuridica possa riguardare, tra il resto, non soltanto il ‘ tipo ‘ di imposta applicabile nel caso di specie, ma anche – nell’ambito della medesima imposta -l’aliquota dovuta in ragione dell’individuazione e della qualificazione dell’atto presupposto.
1.8 Premesso che le circolari n. 6 dell’1 aprile 2019 e n. 10 del 15 maggio 2019, n. 10, non possono avere efficacia vincolante in sede giudiziaria (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 21 marzo 2014, n. 6699; Cass., Sez. 5^, 12 novembre 2019, n. 29163; Cass., Sez. Trib., 29 novembre 2022, n. 35098; Cass., Sez. Trib., 25 maggio 2023, n. 14631; Cass., Sez. Trib., 11 novembre 2024, n. 28948), è convinzione del collegio che la nozione normativa di ‘ atto impositivo ‘ nel contesto dell’art. 6, comma 1, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, possa comprendere anche i c.d. ‘ atti liquidatori ‘ (come, per l’ appunto, l’avviso di liquidazione ex art. 54, comma 5, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131), allorquando essi siano destinati ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, la pretesa impositiva sulla base di valutazioni non consistenti nella mera rilevazione di dati dall’atto sottoposto a registrazione, ma attinenti all’accertamento dell’esistenza e dell’entità dei presupposti e dei criteri dell’imposizione, e non si limitino alla mera liquidazione dell’imposta in base a criteri predeterminati dalla legge e attraverso semplici operazioni contabili.
1.9 D’altra parte, come è stato anche rilevato dalla dottrina più accorta, la registrazione degli atti giudiziari rappresenta raramente un procedimento del tutto automatico, privo di qualsivoglia discrezionalità o attività di carattere interpretativo, imponendo il più delle volte all’amministrazione finanziaria difficoltose ed intricate valutazioni su lla natura e sull’efficacia di complesse ed articolate statuizion i dell’autorità giudiziaria, il cui trattamento impositivo non è di agevole individuazione alla stregua di una esegesi strettamente letterale dei parametri normativi.
Non a caso, è indubbia l’estensione dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (con riguardo alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici delle varie statuizioni), agli atti giudiziari (in tal senso: Cass., Sez. 5^, 19 giugno 2020, n. 12013; Cass., Sez. 5^, 8 settembre 2021, n. 24159; Cass., Sez. 5^, 25 gennaio 2022, n. 2040; Cass., Sez. Trib., 8 marzo 2023, n. 6875; Cass., Sez. Trib., 28 dicembre 2023, n. 36190; Cass., Sez. Trib., 26 luglio 2024, n. 20946).
Parimenti, in tema di imposta di registro, l’art. 21, commi 1 e 2, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (secondo cui: « 1. Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto. 2. Se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che da’ luogo alla imposizione più onerosa »), è pacificamente applicabile anche agli atti giudiziali, per cui, al fine di ritenere necessariamente connesse e derivanti l’una dall’altra più statuizioni contenute in uno stesso provvedimento giudiziario, ciò che occorre, in virtù del comma 2 (norma eccezionale e di stretta interpretazione), è che non si possa concepire l’esistenza dell’una senza prescindere dall’altra, configurandosi una connessione oggettiva per volontà della legge o per l’intrinseca natura delle diverse statuizioni; al contrario, non rileva l’esistenza dì una mera connessione soggettiva per volontà delle parti o di natura occasionale, rimanendo in tal caso le disposizioni soggette separatamente ad imposta (ai sensi della regola generale recata dal comma 1, cit.), come se ciascuna fosse un atto distinto (Cass., Sez. 5^,
8 ottobre 2020, n. 21713; Cass., Sez. Trib., 16 giugno 2023, n. 17359).
Per cui, l’avviso di liquidazione ex art. 54, comma 5, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, non può solitamente ricondursi ai canoni tradizionali dell” atto meramente liquidatorio ‘, che si limita ad una pronta ed agevole determinazione dell’imposta di registro sulla scorta di valori pacificamente rilevati o rilevabili da l tenore testuale dell’atto giudiziario , ma esige, nella maggior parte dei casi, un’attenta e delicata interpretazione delle plurime statuizioni in cui si articola il decisum , sia per l’individuazione e la qualificazione dei capi decisori, che per l’accertamento del valore imponibile e la liquidazione dell’imposta applicabile.
E tanto è particolarmente evidente nel caso di specie, ove l’atto giudiziario soggetto a registrazione d’ufficio è rappresentato da una sentenza con la quale, attraverso una pluralità di capi decisori, si è provveduto, al contempo, alla dichiarazione di nullità di un testamento olografo del de cuius , alla dichiarazione di indegnità di alcuni eredi testamentari, alla condanna alla restituzione di beni ereditari e di somme corrispondenti ai ricavi dei beni ereditari alienati maggiorati di interessi legali e rivalutazione monetaria, alla condanna al pagamento di somme a titolo di indennità di occupazione, alla divisione giudiziale dell’asse ereditario con l’attribuzione di lotti per gruppi di condividenti e l’imposizione un consistente conguaglio in denaro a carico di un gruppo di condividenti e a favore dell’altro.
1.10 Ne discende che i contribuenti potevano avvalersi della sospensione per nove mesi dei termini di impugnazione (la cui scadenza ricadeva nel periodo compreso dal 24 ottobre 2018 al 31 luglio 2019, essendo la controversia definibile ai sensi
dell’art. 6, comma 11, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
Per cui, considerando la pubblicazione della sentenza impugnata l’11 ottobre 2018 , la notifica del ricorso per cassazione all’amministrazione finanziaria il 13 gennaio 2020 è stata tempestiva. Difatti, sebbene la scadenza del termine lungo di impugnazione era differita, per effetto della sospensione straordinaria di nove mesi ex art. 6, comma 11, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al l’11 gennaio 2020 , tale giorno cadeva di sabato (secondo il calendario comune), per cui si applicava l’ulteriore proroga dei termini processuali che scadono nella giornata di sabato « al primo giorno seguente non festivo », ex art. 155, quinto comma, cod. proc. civ., quale aggiunto dall’art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, fino al 13 gennaio 2020, che rappresentava l’ultimo giorno utile per l’introduzione del giudizio di cassazione.
Ciò posto, il ricorso è affidato a tre motivi.
Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8, lett. e), della tariffa -parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello « di poter disgiungere la ‘condanna al pagamento di somme’ ai coeredi in favore dei quali è andata la delazione ereditaria -dalla decisione che concerneva la nullità del testamento olografo del Sig. NOME COGNOME ».
Secondo i ricorrenti, la sentenza impugnata, « nel riferire una differente tassazione alla ‘condanna al pagamento di somme’ (asseritamente da assoggettare all’imposta di registro nella misura del 3%) rispetto a quella che ‘dichiara la nullità del
testamento’ (da assoggettare, secondo la Commissione Tributaria Regionale, all’imposta di registro fissa), contravviene alla lettera e alla ratio di fondo dell’art. 8, lett. e), della Parte Prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1986 ». All’opposto, la controricorrente evidenzia che: « La seconda parte della sentenza sfugge all’applicazione del punto e) in quanto condanna i convenuti al pagamento:
di un importo di rivalutazione e interessi legali quantificati complessivamente in € 137.142,59. Tale importo rientra nel caso previsto dal punto b) dello stesso articolo in quanto è una condanna al pagamento di una somma (e non una restituzione), pertanto, assoggettabile all’aliquota del 3% ivi prevista. La motivazione, oltre a spiegare il tutto, indica l’imposta che ne scaturisce: € 4.114,00. Infatti, il 3% di 137.142,59 corrisponde a € 4.114 (primo importo della liquidazione).
-di una somma a titolo di indennità di occupazione (punto ‘f’ della sentenza). Anche in questo caso si tratta di una condanna al pagamento di una somma (che non può essere considerata mera restituzione…), pertanto assoggettabile al medesimo articolo e alla medesima aliquota precedenti: il 3% su 788.435,63 corrisponde a 23.653 € (secondo importo della liquidazione) ».
3.1 Premesso che l’art. 37, comma 1, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, prevede, in linea generale, che sono soggetti ad imposta di registro « gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere », l’art. 8, comma 1, lett. b) e lett. e), della tariffa -parte prima allegata al d.P.R. 26
aprile 1986, n. 131, stabilisce la soggezione, rispettivamente, ad imposta in misura proporzionale del 3% per i provvedimenti « recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura » e ad imposta in misura fissa per i provvedimenti « che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto ».
3.2 Quest’ultima disposizione, ancorché concepita dal legislatore per l’ipotesi fisiologica di dichiarazione di nullità o pronuncia di annullamento di un contratto, si presta ad essere applicata anche all’ipotesi di invalidità riguardante un atto unilaterale (sia inter vivos , che mortis causa ), essendo comune la funzione delle statuizioni restitutorie o risarcitorie di ripristinare ex tunc lo status quo ante e di ristabilire la consistenza originaria del patrimonio vulnerato dagli effetti derivati dal contratto o da ll’atto unilaterale nullo o annullabile. Ora, la dichiarazione di nullità per falsità del testamento olografo comporta, con efficacia ex tunc , l’apertura della successione legittima (con la delazione dei vocati ex lege ) ( ex art. 457, secondo comma, cod. civ.) -in luogo ed in sostituzione della successione testamentaria (con la delazione dei vocati ex testamento ) -sull’eredità del de cuius , per cui le statuizioni finalizzate a ricostituire la consistenza originaria dell’asse ereditario possono senz’altro rientrare nella previsione dell’art. 8, le tt. e), della tariffa -parte prima per il nesso di conseguenzialità rispetto alla sentenza dichiarativa della falsità testamentaria.
Né rileva, tal fine, che l’acquisto dell’eredità presupponga l’accettazione espressa o tacita del chiamato (sia ex testamento , che ex lege – artt. 459, 475 e 476 cod. civ.),
giacché la parte che ha un titolo legale che le conferisce il diritto di successione ereditaria non è tenuta a dimostrare di avere accettato l’eredità ove proponga in giudizio domande che, di per sé, manifestano la volontà di accettare, qual è quella diretta a ricostituire l’integrità del patrimonio ereditario, gravando su chi contesta la qualità di erede, l’onere di eccepire la mancata accettazione dell’eredità ed, eventualmente, provare l’esistenza di fatti idonei ad escludere l’accettazione tacita, che appare implicita nel comportamento dell’erede (da ultima: Cass., Sez. 2^, 8 gennaio 2025, n. 390).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, la pronuncia di annullamento (ma altrettanto vale , stante l’identità di ratio , per la dichiarazione di nullità) del testamento ha efficacia retroattiva e comporta il ripristino della situazione giuridica al momento della apertura della successione, con delazione, quindi, in favore dei successibili ex lege , come se il testamento non fosse mai esistito (in termini: Cass., Sez. 6^-2, 21 maggio 2020, n. 9364; Cass., Sez. 6^-3, 27 aprile 2022, n. 13159).
Per cui, anche le condanne per la rivalutazione monetaria e gli derivanti dall’alienazione di beni ereditari e di beni ereditari erano finalizzate a reintegrare la consistenza originaria (almeno sul piano del valore intrinseco) dell’eredità devoluta agli eredi interessi su ricavi per l’indennità di occupazione sine titulo legittimi dopo la caducazione della delazione ex testamento .
3.3 Ovviamente, non altrettanto vale per la divisione giudiziale (artt. 713 e 1111 cod. civ.; 784 s. cod. proc. civ.), che, oltre a non avere alcun legame con la dichiarazione di nullità del testamento olografo, è pronuncia ad effetti reali, con funzione distributiva, che produce un effetto costitutivo, sostanzialmente traslativo in relazione alle attribuzioni
individuali dei coeredi (in termini: Cass., Sez. Un., 7 ottobre 2019, n. 25021), per cui essa è stata correttamente sottoposta a separat a liquidazione dell’imposta di registro , tenendo anche conto dell’imposizione di un cospicuo conguaglio in denaro (art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
Con il secondo motivo, si denuncia omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., per essere stato trascurato dal giudice di appello « l’esplicito e chiaro riferimento del dispositivo della sentenza n. 376/2013: (i) per un verso, alla ‘restituzione’ delle ‘somme corrispondenti ai ricavi dei beni alienati’ ; (ii) e, per un ulteriore verso, al pagamento di somme ‘a titol o di indennità di occupazione’, fattispecie questa la cui funzione è esattamente identica a quella della ‘restituzione’ (l’indennità di occupazione essendo costituta dai frutti dovuti dal possessore di mala fede per il tempo in cui ha occupato l’immobile a scapito dei legittimi titolari) ».
4.1 Il predetto motivo è assorbito dal l’accoglimento del precedente motivo, risultandone superfluo ed ultroneo lo scrutinio.
4.2 In ogni caso, il mezzo sarebbe inammissibile, risolvendosi in una mera operazione di riqualificazione ermeneutica delle statuizioni della sentenza soggetta a registrazione, senza prendere in alcuna considerazione l’omesso esame di fatti storici.
Con il terzo motivo, si denuncia violazione del divieto generale di doppia imposizione, in chiave col principio costituzionale di capacità contributiva, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato omesso
dal giudice di appello di considerare che « l’Ufficio pretendeva di tassare una seconda volta -nel momento della divisione della massa ereditaria tra i coeredi legittimi -cespiti (danaro e beni immobili) che aveva già assoggettato a tassazione proporzionale nel momento in cui questi avevano concorso -mercé le ‘restituzioni’ disposte a carico degli eredi indeg ni -alla medesima massa ereditaria ».
5.1 Il predetto motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
5.2 Anzitutto, il mezzo deduce un vizio dell’avviso di liquidazione che non è stato denunciato in sede di impugnazione col ricorso originario dell’avviso di liquidazione. Invero, per espressa ammissione dei ricorrenti (pagine 12 e 13 del ricorso per cassazione), l’infrazione al divieto di doppia imposizione è stata lamentata dai contribuenti soltanto con la memoria depositata nel giudizio di primo grado e nel l’atto di costituzione nel giudizio di secondo grado.
5.3 In proposito, si rammenta che, nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto fiscale, l’indagine sul rapporto sostanziale è limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’amministrazione finanziaria che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado; ne consegue che il giudice deve attenersi all’esame dei vizi di invalidità dedotti in ricorso, il cui ambito può essere modificato solo con la presentazione di motivi aggiunti, ammissibile, ex art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, esclusivamente in caso di « deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione » (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 2 luglio 2014, n. 15051; Cass., Sez. 6^-5, 13 aprile 2017, n. 9637; Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2020, n. 4082; Cass., Sez. 5^, 13 aprile
2023, n. 9832; Cass., Sez. 5^, 5 settembre 2024, n. 23856).
Ipotesi, quest’ultima, che non ricorre nel caso in disamina.
Inoltre, va aggiunto che, nel giudizio tributario, è inammissibile la deduzione, nella memoria ex art. 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la causa petendi entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass., Sez. 5^, 24 ottobre 2014, n. 22662; Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2018, n. 19616; Cass., Sez. 5^, 19 novembre 2020, n. 26313; Cass., Sez. 6^-5, 24 maggio 2021, n. 14206; Cass., Sez. 5^, 18 novembre 2022, n. 34013; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2023, n. 9832).
5.4. Ne consegue che, in tema di contenzioso tributario, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 9 novembre 2015, n. 22810; Cass., Sez. 5^, 23 settembre 2020, n. 19929; Cass., Sez. 5^, 16 gennaio 2023, n. 1078; Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2024, n. 14392) . Ciò in quanto il giudizio tributario è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, e avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado.
5.5 Per il resto, come è noto, il divieto della doppia imposizione è un principio cardine del nostro sistema tributario, che serve ad evitare che la stessa manifestazione di capacità contributiva (art. 53 Cost.) venga tassata più di una volta.
Nella disciplina delle imposte dirette questo principio è espressamente regolamentato dall’art. 163 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, a tenore del quale: « La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi ».
Analogamente, l’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 603, sancisce che: « La stessa imposta non può essere applicata più volte, in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi ».
A tale proposito, questa Corte ha chiarito che la doppia imposizione si verifica soltanto nell’ipotesi di due avvisi di accertamento o liquidazione che assoggettino a tassazione il medesimo presupposto, ma non quando l’imposta venga chiesta in pagamento a fronte di due diversi titoli (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 ottobre 2018, n. 27625; Cass., Sez. 5^, 20 novembre 2019, n. 30140; Cass., Sez. 5^, 7 aprile 2022, n. 11326; Cass., Sez. 5^, 6 maggio 2022, n. 14481; Cass., Sez. Trib., 13 aprile 2023, n. 9890; Cass., Sez. Trib., 12 luglio 2023, n. 19815; Cass., Sez. Trib., 11 giugno 2024, n. 16229).
5.6 Posto che tale divieto è destinato a valere per ogni tipologia di tributo anche in difetto di un’espressa previsione nell’ambito della legge istitutiva, costituendo espressione del principio costituzionale della capacità contributiva (art. 53 Cost.), occorre verificare se l’ avviso di liquidazione in contestazione comporti un indebito raddoppio dell’imposta di registro sulle statuizioni del medesimo atto giudiziario.
Tuttavia, nel caso di specie, n on c’è stato alcun fenomeno di doppia imposizione, essendo strutturalmente autonome e funzionalmente distinte le statuizioni della sentenza registrata per le quali l’amministrazione finanziaria ha proceduto alla liquidazione separata dell’imposta di registro.
In particolare, ferma restando la strumentalità rispetto alla caducazione ex tunc della delazione testamentaria (mediante la dichiarazione di nullità dell’atto mortis causa e la dichiarazione di indegnità dei vocati ex testamento autori del documento apocrifo), le condanne restitutorie e risarcitorie hanno reintegrato il valore dell ‘eredità devoluta agli eredi legittimi per rimediare al decremento derivante dagli atti di godimento e di disposizione degli eredi testamentari (nel periodo di transitoria attuazione del testamento nullo) (in linea con la disciplina della c.d. ‘ apparenza ereditaria ‘ di cui ag li artt. 534 e 535 cod. civ.). Di contro, la divisione giudiziale ha disposto la successiva distribuzione dell’asse relitto dal de cuius (nella consistenza reintegrata dalle condanne restitutorie e risarcitorie) tra gli eredi legittimi mediante l’attribuzione di lotti formati da beni ereditari e l’imposizione di un conguaglio pecuniario a compensazione delle discrepanze di valore tra le quote ereditarie (in astratto) e le assegnazioni divisionali (in concreto).
Per cui, è evidente che, a fronte di differenti passaggi di ricchezza (e manifestazioni di capacità contributiva), ancorché riguardanti i medesimi cespiti, le varie statuizioni della sentenza registrata (« che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre », in base alla previsione dell’art. 21, comma 1, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) hanno scontato l’imposta di registro in corrispondenza dei differenti effetti ad ognuna imputabili.
6. Pertanto, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la fondatezza del primo motivo , l’assorbimento del secondo motivo e l’ inammissibilità/infondatezza del terzo motivo, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli-Venezia Giulia (ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), della legge 31 agosto 2022, n. 130), in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Il giudice del rinvio si atterrà al seguente principio di diritto: « In materia di imposta di registro, l’art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, è applicabile in caso di dichiarazione di nullità o pronuncia di annullamento sia di un contratto, che di un atto unilaterale ( inter vivos o mortis causa ), essendo comune la funzione accessoria delle statuizioni restitutorie o risarcitorie di ripristinare ex tunc lo status quo ante e di ristabilire la consistenza originaria del patrimonio vulnerato dagli effetti derivati dal contratto o dall’atto unilaterale nullo o annullabile. Pertanto, tale disposizione vale anche per l’ipotesi di dichiarazione di nullità o pronuncia di annullamento di un testamento, in relazione alle statuizioni restitutorie o risarcitorie rese nel medesimo giudizio civile per ricostituire l’integrità dell’asse relitto (con decorrenza dall’apertura della successione) a beneficio degli eredi legittimi dopo la caducazione del testamento invalido ».
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo , dichiara l’assorbimento del secondo motivo e rigetta il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla
Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 10 aprile 2025.