Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11848 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11848 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27612/2018 R.G. proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE ENNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Palestrina INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avv. COGNOME NOME (CODICE_FISCALE; pecEMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ex lege
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. SICILIA n. 1082/2018 depositata il 12/03/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 08/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.L’ Azienda sanitaria provinciale di Enna impugnava, con distinti ricorsi, gli avvisi di liquidazione che l’Agenzia delle Entrate le aveva notificato per il recupero dell’imposta di registro concernente numerose sentenze civili del Tribunale di Enna – in esito ai giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi non provvisoriamente esecutivi emessi in favore di alcune farmacie creditrici dell’azienda sostenendo di aver corrisposto le somme in corso di giudizio e che, pertanto, le sentenze registrate non contenevano una pronuncia di condanna, nonché la non debenza in ragione del principio di alternatività Iva-registro.
I giudici di primo grado accoglievano i ricorsi riuniti con sentenza n. 669/2014, che veniva appellata dalla azienda.
I giudici regionali, nel riformare la decisione di prime cure, affermavano che le sentenze civili sottoposte a registrazione avevano riconosciuto il diritto dell’opposta a ricevere le somme ingiunte, dichiarando al contempo improcedibile, per l’intervenuto pagamento nelle more del giudizio, la domanda di condanna. Escludevano, inoltre, l’applicazione del regime Iva, in mancanza della condanna al pagamento del corrispettivo della prestazione soggetta ad Iva.
Avverso detta decisione r icorre l’ Azienda sulla base di quattro motivi. Replica con controricorso l’amministrazione finanziaria.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si denuncia la violazione dell’art. 2697
c.c.; si imputa alla Corte territoriale di aver fondato il proprio dictum sull’erroneo presupposto che vi fosse incertezza in merito all’intervenuto pagamento del corrispettivo in corso di giudizio, mentre dall’intero corpo della pronuncia impugnata emerge con certezza l’intervenuta estinzione del debito nelle more del processo, il che avrebbe imposto l’applicazione del regime Iva alle prestazioni farmaceutiche che al momento della registrazione della sentenza risultava pari a zero.
Si soggiunge che il pagamento è avvenuto spontaneamente, in quanto il decreto ingiuntivo non era esecutivo e che la sentenza aveva annullato il provvedimento monitorio, sostituendolo.
2.La seconda censura reca il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nonché dell’art. 635 c.p.c.; per avere il decidente erroneamente ritenuto che la sentenza resa sull’opposizione a decreto ingiuntivo con pronunzia ricognitiva dell’esistenza del credito ingiunto fosse soggetta all’imposta di registro nella misura proporzionale dell’uno per cento, anziché ad imposta di registro in misura fissa. In particolare, si assume che avendo la sentenza revocato il decreto ingiuntivo, trovano applicazione i criteri di cui agli artt. 37 e 41 del citato d.P.R., sostenendosi che, a mente dell’art. 52 medesimo TUIR, se la sentenza interviene prima che l’Agenzia abbia liquidato l’imposta e notificato l’avviso, le parti sono liberate dal pagamento dell’imposta proporzionale relativa al decreto ingiuntivo revocato con sentenza.
3.Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 40 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nonché della nota II all’art. 8 della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; per avere il decidente erroneamente escluso che la sentenza resa sull’opposizione a decreto ingiuntivo con pronunzia ricognitiva
dell’esistenza del credito ingiunto riguardasse prestazioni soggette ad I.V.A..
Con il quarto mezzo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma , n. 3, c.p.c.; per avere la corte distrettuale erroneamente condannato la contribuente alla refusione delle spese giudiziali del giudizio di merito, in considerazione dei difformi orientamenti in materia e tenuto conto della legittimità della impugnazione.
5.Le prime tre censure, la cui stretta ed intima connessione suggerisce l’esame congiunto, sono infondate, assorbita l’ultima.
5.1. La ricorrente contesta l’applicazione dell’imposta di registro nella misura proporzionale dell’1% ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c, della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, in relazione alla pronunzia di accertamento dell’esistenza del credito ingiunto, che era stata (a suo dire, impropriamente) adottata dal Tribunale di Enna, contestualmente alla revoca del decreto ingiuntivo, a seguito del pagamento effettuato in corso di causa, con la sentenza resa all’esito del giudizio di opposizione. Secondo la, peraltro non lineare, prospettazione contenuta nel ricorso introduttivo, la sentenza del Tribunale di Enna (di cui non si trascrive l’integrale motivazione né il dispositivo e neppure la si allega al ricorso) avrebbe revocato il decreto ingiuntivo; mentre alla pagina 8 del ricorso si assume che la decisione d’appello ha dichiarato il diritto dell’opposta a percepire le somme di cui al decreto ingiuntivo, il che trova conferma nella sentenza impugnata. La ricorrente deduce che detta pronunzia dovrebbe intendersi alla stregua di una mera absolutio ab instantia, sulla base del sopravvenuto pagamento del debito in corso di causa e della conseguente revoca del decreto ingiuntivo, per cui l’imposta di registro va applicata in misura fissa a norma dell’art. 8, comma 1, lett. d, della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131.
5.2.Ora, per quanto il pagamento del debito in corso di causa che, come accertato dal giudice d’appello è stato effettuato nelle more del giudizio – comporti normalmente la pronunzia della revoca del decreto ingiuntivo e della cessazione della materia del contendere sulla domanda originaria, non si può declassare, con un’operazione di pura e semplice ermeneutica, la dichiarazione di accertamento del credito (il cui tenore è riportato sia alle pagine 8 e 9 del ricorso, che alla pagina 5 del controricorso), ancorché adottata dal giudice dell’opposizione a decreto ingiunto in carenza di una specifica ed autonoma domanda ( ultra petitum ), ad una statuizione di carattere meramente processuale, anche in considerazione dell’eterogeneità funzionale delle tipologie provvedimentali.
5.3.Per cui, era onere della parte impugnare in parte qua la sentenza per ottenere la riforma della pronuncia erroneamente adottata nel merito, non risultando dalla trascrizione del contenuto della decisione soggetta a registrazione l’espressa revoca del decreto ingiuntivo (nello stesso senso Cass. n. 3459/2021).
6. Ciò posto, la pronunzia di accertamento del credito non si prestava ad una diversa imposizione, anche considerando la soggezione ad I.V.A. delle prestazioni eseguite in corso di causa. Infatti, la nota II all’art. 8 della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 limita ai soli «atti di cui al comma 1, lettera b)», cioè agli atti giudiziari «recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura», l’esonero dall’imposta proporzionale di registro «per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del Testo unico». Per cui, è evidente l’eccezionalità della disposizione derogatoria, che non può essere estesa in via interpretativa agli «atti di cui al comma 1, lettera c)», cioè agli atti giudiziari «di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale» né
ai pagamenti effettuati spontaneamente sebbene nel corso di un giudizio introdotto da decreto ingiuntivo non esecutivo.
6.1. Ed in tal senso questa Corte si è espressa con riguardo all’opposizione allo stato passivo del fallimento ex art. 98 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (prima della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 8, comma 1, lett. c, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 da parte della sentenza della Corte Costituzionale n. 177 del 13 luglio 2017, nella parte in cui assoggetta all’imposta di registro proporzionale, anziché in misura fissa, anche le pronunce che definiscono i giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento con l’accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto – in tema: Cass., Sez. 5^, 5 dicembre 2018, n. 31409), affermando che la tariffa agevolata non può trovare applicazione, poiché essa è governata dal principio di alternatività nei soli casi indicati all’art. 8, comma 1, lett. b, della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e questo principio, ancorché di natura generale, opera in relazione all’imposta controversa solo con riguardo agli specifici atti individuati tassativamente nella norma citata, e non è suscettibile di applicazione al di fuori delle ipotesi contemplate, stante, peraltro, il suo contenuto agevolativo, che lo rende di stretta interpretazione, alla strenua del chiaro disposto dell’art. 15 disp. prel. cod. civ. che esclude l’interpretazione estensiva delle norme speciali (in termini: Cass., Sez. 5^, 27 settembre 2017, n. 22502).
6.2.In tale direzione, si è anche affermato che la sentenza che accerta l’esistenza o l’ammontare del credito pignorato, definendo il giudizio di cognizione instaurato, a norma dell’art. 548 cod. proc. civ., in caso di mancata o contestata dichiarazione del terzo, è compresa fra gli atti dell’autorità giudiziaria «di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale», di cui all’art. 8, comma 1, lett c) della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131,
assoggettati all’imposta di registro nella misura proporzionale dell’1%, e non all’imposta nella misura fissa, riferendosi la norma non soltanto all’accertamento costitutivo, ma anche a quei provvedimenti privi di contenuto traslativo o ablatorio, che si risolvono in un accertamento dell’esistenza di ricchezza (in termini: Cass., Sez. 5^, 26 giugno 2009, n. 15159). Analogamente, si è detto che la sentenza di accertamento dell’obbligo del terzo nei confronti del debitore esecutato ex art. 549 cod. proc. civ., è assoggettata, ex art. 8, comma 1, lett. c), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, ad imposta di registro in misura proporzionale e non fissa, in quanto è una decisione di mero accertamento e non di condanna sottoposta, in via alternativa, ad I.V.A. (in termini: Cass., Sez. 5^, 19 aprile 2019, n. 11036).
6.3.Né si profila una irragionevole disparità di trattamento tra le distinte fattispecie di cui all’art. 8, lett. b e lett. c, della tariffa parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (pronunzie di condanna e pronunzie di accertamento) ai fini dell’eventuale prospettazione di una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost.. Difatti, secondo l’apprezzamento già manifestato dal giudice delle leggi (sempre con riguardo all’opposizione allo stato passivo del fallimento, ma con argomentazione perfettamente attagliantesi alla vicenda in esame), «il fatto che l’accertamento del diritto di credito costituisca il necessario antecedente logico-giuridico della condanna non rende omogenee le fattispecie messe a confronto, neppure ai fini del regime tributario agevolato. E evidente, infatti, la diversità degli effetti che derivano dai due tipi di pronunce, quanto alla realizzazione degli interessi del creditore, perché solo quelle di condanna sono suscettibili di esecuzione forzata, rientrando così nell’ambito di applicazione dell’I.V.A. qualora dispongano il
pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti a tale imposta» (sentenza della Corte Costituzionale n. 177 del 13 luglio 2017).
6.4. Su fattispecie sovrapponibile si vedano Cass. n. 3459/2021 e Cass. n. 15159/2019.
7.Va, quindi, ribadito il principio per cui gli atti giudiziari «di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale» sono soggetti ad imposta di registro in misura proporzionale dell’uno per cento, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c, della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 – anche nel caso in cui essi riguardino corrispettivi o prestazioni soggette ad I.V.A., non applicandosi il principio di alternatività di cui all’art. 40 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131.
7.1. Sotto tale aspetto, dunque, la Commissione Tributaria Regionale si è attenuta al principio enunciato, valutando che la statuizione dichiarativa dell’esistenza del credito era riconducibile alla sfera applicativa dell’art. 8, lett. c, della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131.
8.In definitiva, i primi tre motivi -unitariamente trattati -vanno rigettati, con conseguente assorbimento, in ragione di definitiva soccombenza, del quarto motivo sulle spese delle precedenti fasi del giudizio. Le spese del presente grado di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, assorbito l’ultimo; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore dell’amministrazione finanziaria che liquida nella somma
complessiva di euro 1.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;
dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio della sezione