Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32287 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32287 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ART. 20 D.P.R. 26 APRILE 1986, N. 131
sul ricorso iscritto al n. 29894/2018 del ruolo generale, proposto
DA
l’ RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato (codice fiscale CODICE_FISCALE).
– RICORRENTE –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALEcodice fiscale CODICE_FISCALE -quale incorporante di RAGIONE_SOCIALE – in persona del suo procuratore sig. NOME COGNOME in forza di procura conferitagli per atto pubblico del notaio NOME COGNOME dell’11 gennaio 2018
n. 39 ed integrazione del 19 gennaio 2018 munita di apostille N7201/2018/069442 del 31 ottobre 2018 – rappresentata e difesa, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE).
– CONTRORICORRENTE –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo n. 720/5/2018, depositata il 4 luglio 2018.
UDITA la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME all’udienza camerale dell’8 ottobre 2024.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 777/2/2017 della Commissione tributaria provinciale di Pescara, che aveva accolto il ricorso avanzato dalla contribuente contro l’avviso di accertamento in atti con cui l’Ufficio aveva contestato, per l’anno d’imposta 2009, l’indebita detrazione nella relativa dichiarazione IVA della somma di 2.093.776,15 €, reputando che la complessiva operazione negoziale intercorsa tra RAGIONE_SOCIALE con la consociata RAGIONE_SOCIALE attraverso la stipula di due negozi (l’uno, avente l’oggetto esclusivamente la cessione di prodotti finiti semilavorati e materie prime giacenti in magazzino e l’altro avente, invece, ad oggetto un contratto di servizi, in forza del quale il personale specializzato della RAGIONE_SOCIALE veniva chiamato a prestare servizio presso la RAGIONE_SOCIALE), andasse configurata come cessione ramo d’azienda e non come cessione di beni.
Nello specifico, il Giudice regionale riteneva che non fosse stata dimostrata, sul piano oggettivo, l’autonomia gestionale del ramo di azienda ceduto, la relativa contabilità separata ed il collegamento funzionale tra i vari beni ceduti, così come, sul versante soggettivo, non emergeva che la volontà della contribuente di eludere la disciplina fiscale italiana.
Con ricorso notificato alla suindicata controricorrente in data 12 ottobre 2018 l’Agenzia delle Entrate proponeva impugnazione sulla base di tre motivi di impugnazione.
Resisteva con controricorso notificato in data 20 novembre 2018 RAGIONE_SOCIALE nella qualità di incorporante RAGIONE_SOCIALE depositando, in data 25 sette0mbre 2024, memoria ex art. 380bis .1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle Entrate ha eccepito, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 2, lettera b ), e 19, comma 2, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e 2112, 2555 e 2697 c.c., ponendo in rilievo, in via di principio, che, per stabilire se sussista una cessione di azienda o di un suo ramo, occorre verificare se, in base agli elementi probatori disponibili, i beni complessivamente ceduti abbiano o meno mantenuto carattere di idoneità a consentire l’esercizio dell’impresa, seppure con le integrazioni che il cessionario abbia dovuto eventualmente effettuare, facendo poi osservare, in punto di fatto, come, nella specie, fosse pacifico che i beni ceduti erano costituiti dalle scorte di magazzino (prodotti finiti) e dai rapporti con i clienti ed i fornitori, come tali integranti nel loro insieme il ramo di azienda denominato «divisioni torri».
Con la seconda censura l’Ufficio ha lamentato, in relazione al parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 3., c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, segnalando che l’Agenzia ha riqualificato l’operazione complessiva realizzata dalle suindicate società attraverso i menzionati negozi giuridici, segnalando che detta operazione di riqualificazione del complessivo assetto negoziale non esigeva la prova dell’intento elusivo delle parti.
Con l’ultima doglianza l’Ufficio ha denunciato, a mente dell’art. 360 primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della decisione per omessa e/o apparente motivazione della sentenza impugnata, lamentando l’apoditticità dell’apparato argomentativo.
Il ricorso va respinto per le seguenti ragioni, subito archiviando la preliminare eccezione di improcedibilità dello stesso per violazione dell’art. 369 c.p.c., sollevata dalla controricorrente in ragione dell’omesso deposito di copia autentica della sentenza impugnata e dell’omessa menzione nel ricorso della sua notifica (eseguita in data 17 luglio 2018), tenuto conto che la citata disposizione prevede, a pena di improcedibilità, il mancato deposito di copia della sentenza impugnata munita della relazione di notifica della sentenza, se avvenuta (e non la mancata menzione di essa nel ricorso), adempimenti questi curati dalla difesa erariale, risultando in atti la sentenza oggetto di ricorso, munita dell’attestazione di conformità e della notifica all’Agenzia da parte della controricorrente.
Motivi di ordine logico e giuridico impongono di esaminare preliminarmente il terzo motivo, che risulta palesemente infondato, avendo il Giudice regionale rappresentato, con motivazione assertiva, ma non per questo
apparente, le ragioni del rigetto dell’appello tramite gli argomenti sopra riepilogati, i quali – corretti o meno che siano -hanno reso conto del percorso logico seguito.
Il primo ed il secondo motivo vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi sul tema dell’interpretazione dei due contratti, e vanni disattesi, sia pure per ragioni diverse da quelle esplicitate dal Giudice territoriale.
6.1. Va subito precisato che oggetto specifico della contestazione dell’Ufficio, per come riportata dall’Agenzia nel ricorso, anche riportando i contenuti del ricorso, riposa sul rilievo secondo cui « le due società consociate omettevano di assoggettare ad imposta di registro la cessione di ramo d’azienda, stipulando due distinti negozi giuridici che venivano, invece fatturati con applicazione dell’imposta sul valore aggiunto ritenendo che la correttezza dell’operazione consistesse nel contenuto della cessione, che aveva ad oggetto esclusivamente prodotti finiti, semilavorati e materie prime giacenti in magazzino» (v. pagina n. 2 del ricorso).
Per tali ragioni -continua l’Agenzia -« il Centro Operativo di Pescara emetteva avviso di accertamento volto al recupero dell’Iva indebitamente detratta in merito all’operazione che, qualificandosi come cessione di ramo d’azienda, non doveva dar luogo all’applicazione dell’Iva, quanto piuttosto all’applicazione dell’Imposta di registro» (così a pagina n. 3 del ricorso).
Dunque, la controversia, come definita nell’atto impositivo, ruota intorno alla riqualificazione dei due citati atti, da assoggettare secondo la tesi dell’Ufficio – ad imposta di registro, con conseguentemente indebita detrazione dell’Iva, il che chiama in gioco, all’evidenza, l’applicazione dell’art. 20
d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, quale norma interpretativa ai fini della dedotta sottoponibilità delle operazioni all’imposta di registro.
6.2. Come segnalato dalla difesa della società nella memoria di cui all’art. 380 -bis. 1, c.p.c., la medesima questione di diritto oggetto di esame è stata affrontata da questa Corte con le pronunce nn. 4607, 4609 e 4650 del 2024 in controversie tra le medesime parti e -secondo la controricorrente – in relazione alla stessa «fattispecie sottesa» (v. pagine nn. 1 e 2 di detta memoria), sia pure ai fini dell’imposta di registro.
Di tanto, questa Corte è ben conscia, per cui, al netto di ogni valutazione sul giudicato esterno pure dedotto dalla società, trattandosi di questione di puro diritto (cfr., tra le tante, Cass. n. 211/2024), detti arresti certamente concorrono ad integrare il consolidato orientamento formatosi sul tema in rassegna.
Tanto chiarito, va, allora, va confermato che, alla luce delle previsioni dell’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dell’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, nonché degli interventi del Giudice delle leggi (Corte Cost., 21 luglio 2020, n. 158 e Corte Cost., 16 marzo 2021, n. 39), questa Corte « adeguandosi a tale interpretazione ha ribadito che l’imposta colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, senza tener conto di elementi extratestuali, poiché l’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, dispone che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli
extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi» (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2021, nn. 4315 e 4319; Cass., Sez. 5^, 1° aprile 2021, n. 9065; Cass., Sez. 6^-5, 25 maggio 2021, nn. 14318 e 14342; Cass., Sez. 5^, 21 settembre 2021, n. 25601; Cass., Sez. 6^-5, 22 ottobre 2021, nn. 29620 e 29623; Cass., Sez. 5^, 18 novembre 2021, n. 35220; Cass., Sez. 6^-5, 2 dicembre 2021, nn. 38003 e 38005; Cass., Sez. 6^-5, 11 gennaio 2022, n. 590; Cass., Sez. 6^-5, 12 gennaio 2022, n. 715; Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2022, nn. 16482 e 16483; Cass., Sez. 5^, 13 dicembre 2023, n. 34901)» (cfr. Cass., Sez. T, 12 agosto 2024, n. 22666; nello stesso senso, Cass. Sez. T, 21 febbraio 2024, nn. 4607, 4609 e 4650, rese tra le stesse parti).
7.1. In sintesi, riportandosi ai contenuti di tali pronunce, è stato chiarito che:
«l’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, prevede che: «L’articolo 1, comma 87, lettera a ), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131»;
la sentenza della Corte Costituzionale n. 158 del 21 luglio 2020 ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, posta in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, quale modificato dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, e dall’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione
debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali;
con la pronuncia del 16 marzo 2021 n. 39 la Corte Costituzionale ha avuto modo di tornare sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, come modificato dall’art. 1, comma 87, lett. a, nn. 1 e 2, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dichiarandola manifestamente infondata con specifico riguardo all’efficacia retroattiva della disposizione interpretativa, considerando il suddetto intervento normativo aver assunto un carattere di sistema e giustificato sul piano della ragionevolezza anche sotto il profilo della ipotizzata violazione dei «motivi imperativi di interesse generale» desumibili dall’art. 6 della Convenzione europea per salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottolineando che tali norme sono volte a tutelare i diritti della persona contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione e non viceversa (vedasi anche: Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2021, n. 9065);
«va aggiunto, per completezza, che, in risposta al rinvio pregiudiziale del giudice di legittimità alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla questione «’ se gli artt. 5, numero 8, della direttiva n. 77/388/CEE e 19 della direttiva n. 2006/112/CE ostino ad una disposizione nazionale come l’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, modificato dall’art. 1, comma 87, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, che impone all’Amministrazione finanziaria di qualificare l’operazione intercorsa tra le parti esclusivamente sulla base degli elementi testuali contenuti nel contratto con divieto del ricorso ad elementi extratestuali (ancorché essi siano oggettivamente esistenti e provati),
derivandone la preclusione assoluta per l’Amministrazione finanziaria di provare che la prestazione economica, integrante una cessione d’azienda, in sé indissociabile, è stata in realtà artificialmente scomposta in una pluralità di prestazioni – le plurime cessioni dei beni – con il conseguente riconoscimento della detrazione IVA in assenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione Europea’ (Cass., Sez. 5^, 31 marzo 2022 n. 10283), il giudice eurounitario ne ha dichiarato la manifesta irricevibilità, ‘non avendo il giudice del rinvio esposto in modo sufficiente sotto quale profilo l’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 8, della sesta direttiva e dell’articolo 19 della direttiva IVA sia rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 20 del TUR, la Corte non può valutare in quale misura una risposta alla questione sollevata sia necessaria per consentire a tale giudice di decidere’ (Corte Giust., 21 dicembre 2022, causa C-250/2022, RAGIONE_SOCIALE contro Agenzia delle Entrate)» (così, Cass. Sez. T, 6 marzo 2024, n. 6094).
Dunque, ai fini della presente decisione, non resta che prendere atto della portata retroattiva della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, ritenendo applicabile l’art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nel testo novellato dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, anche agli atti stipulati in epoca antecedente alla sua entrata in vigore per i quali i processi dinanzi ai giudici tributari siano ancora pendenti.
Discende da quanto precede che i motivi di impugnazione si pongono in sopravvenuto contrasto con i principi sopra indicati, seguitando ad interpretare le due operazioni negoziali in rassegna nella loro sostanziale unitarietà, trascurando di considerare l’applicabilità retroattiva
dell’art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (nel testo novellato dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, per effetto della precisazione contenuta nell’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018 n. 145), restando, quindi, preclusa l’applicazione l’imposta sulla base di elementi extratestuali dall’atto tassato desunti da altri atti ad esso collegati.
Alla stregua delle suesposte argomentazioni, il ricorso va respinto.
Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate in considerazione dei sopravvenuti interventi normativi e del Giudice delle leggi.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 ottobre