Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 838 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 838 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2744/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore , rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore pro-tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato
– controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza n. 5717/29/2016, della Commissione tributaria regionale della Campania – Sezione 29, depositata il 15.6.2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 novembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale II di Napoli, emetteva l’avviso di liquidazione n. 2012/001/LO/000000009/0/004, con cui determinava, ai sensi
dell’art. 8, comma 1, lett. b) Parte Prima della Tariffa Allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, le imposte di registro e di bollo dovute in relazione alla registrazione del provvedimento di dichiarazione di esecutività del lodo arbitrale n. 9/2012, del Tribunale di Napoli del 6.4.2012 in euro 226.557,50.
La contribuente proponeva ricorso deducendo, in particolare, che il lodo arbitrale non aveva avuto esecuzione, in quanto le parti avevano raggiunto un accordo transattivo, provvedendo a pagare l’ iva sugli accordi transattivi, e che, benché nel dispositivo del lodo si facesse riferimento ad un pagamento a titolo di ‘risarcimento dei danni’, la lettura complessiva degli atti avrebbe permesso di capire che la controversia aveva in realtà riguardato solo la quantificazione dell’ammontare del ristoro chiesto a titolo di riserve relative ad un contratto di appalto pubblico (e, dunque compensi sottoposti ad iva).
La CTP di Napoli, con sentenza n. 15817/11/2015 rigettava il ricorso.
La Commissione tributaria regionale accoglieva, invece, parzialmente l’appello successivamente proposto dalla contribuente, riducendo l’imposta di registro e le ulteriori voci accessorie ragguagliandole alla base imponibile di euro 4.664.277,86, in considerazione del pagamento, avvenuto prima dell’emanazione del lodo, in esecuzione dell’accordo bonario del 4 agosto 1999 e della transazione del 23 ottobre 2006.
Contro questa sentenza la società ha proposto ricorso per ottenerne la cassazione, che ha affidato a tre motivi, contrastato dall’Agenzia delle entrate con controricorso.
Con successivo ricorso, l’Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza indicata in epigrafe, con un motivo.
La società contribuente ha resistito con controricorso.
La RAGIONE_SOCIALE ha depositato una memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
Ragioni della decisione
Va pregiudizialmente osservato che il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (tra le tante, Cass., sez. 3, 23/11/2021, n. 36057).
Tanto comporta che il ricorso successivo debba essere qualificato quale ricorso incidentale.
Si impone, per ragioni di ordine logico, la trattazione del terzo motivo del ricorso principale, rubricato ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10 e 11, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 23, del d.lgs. n. 546 del 1992. Violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 156 c.p.c., applicabili al processo tributario in forza del rinvio operato dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.)’, con il quale la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver il giudice d’appello omesso di valutare se l’atto contenente le controdeduzioni e la costituzione in giudizio da parte del funzionario competente nel giudizio di primo grado, mancante della sottoscrizione e del nome e cognome del capo dell’Ufficio legale , fosse o meno giuridicamente esistente o comunque valido per l’imputabilità della volontà dichiarativa all’Agenzia che aveva emanato l’atto impositivo.
2.1. La censura è inammissibile.
Tale motivo non è difatti congruente col contenuto della decisione, atteso che la CTR ha motivato in merito alla carenza d’interesse ad agire.
Nella pronuncia impugnata, infatti, il giudice di secondo grado ha affermato che ‘l’ipotetica nullità della costituzione del resistente non inficia la regolarità del contraddittorio, condizionata unicamente dalla regolarità della notifica dell’atto introduttivo e della comunicazione dell’udienza di trattazione. Essa comporterebbe, tutt’al più, la declaratoria di contumacia del resistente’, ma, soprattutto, ha stabilito che ‘Nella specie, il preteso vizio non ha avuto nessun rilievo sulla sentenza perché la CTP rigettò il ricorso rilevandone l’infondatezza a prescindere dal rilievo di eccezioni non officiose. Neppure ci fu condanna alle spese in favore del resistente ‘.
3. Con il primo motivo del ricorso principale, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa parte prima del d.P.R. n. 131 del 1986, nelle note, punto ii), violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)’, la società contribuente censura la sentenza impugnata per avere il giudice d’appello ritenuto applicabile l’imposta di registro, individuando la causa dell’attribuzione patrimoniale indicata dal lodo arbitrale esclusivamente sulla base dell’impiego, nel corpo della motivazione e del dispositivo, del termine ‘risarcimento’, senza considerare l’intrinseca natura dell’atto e gli effetti giuridici dallo stesso prodotti. In particolare, la ricorrente ha sottolineato come il Collegio arbitrale aveva stabilito che la RAGIONE_SOCIALE quale capogruppo mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE, era tenuta a versare all’altra società dell’associazione, la RAGIONE_SOCIALE, delle somme a titolo di riserve (contestazioni che l’impresa esecutrice di un appalto inserisce nei documenti contabili relativi al medesimo appalto e che hanno ad oggetto fatti che producono maggiori spese per l’esecuzione delle opere appaltate) maturate in ragione dei lavori pubblici eseguiti e non compensati durante l’esecuzione del contratto di ammodernamento della Linea Circumvesuviana Napoli-
NolaBaiano, soggette ad Iva, per cui l’avviso era da considerarsi illegittimo nella misura in cui violava il principio di alternatività Ivaimposta di registro.
3.1. Il motivo è inammissibile.
E’ del tutto condivisibile il principio di legittimità da tempo affermato, secondo cui, quando l’atto da registrare sia una sentenza o un lodo arbitrale, per stabilire i presupposti ed i criteri di tassazione, occorre – in conformità al disposto degli artt. 20 del D.P.R. 26 aprile 1985 n. 131 e 8, della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1985 n. 131 – far riferimento al contenuto ed agli effetti che emergono dalla pronuncia stessa, senza possibilità di utilizzare elementi ad essa estranei, né di ricercare contenuti diversi da quelli su cui si sia formato il giudicato ( ex plurimis : Cass., Sez. V, n. 4601/2009, Rv. 606986 – 01; Cass., Sez. V, n. 15918/2011, Rv. 618773 -01, Cass., Sez. V, n. 12013/2020, Rv. 657931 – 01).
Come lo stesso Giudice delle Leggi ha avuto modo di rilevare – nel ritenere la legittimità costituzionale della novellazione di detta disposizione che correla (ora) l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto agli ‘elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi’ – detta disposizione ‘nel confermare la tassazione isolata del negozio veicolato dall’atto presentato alla registrazione secondo gli effetti giuridici da esso desumibili, si mostra coerente con i principi ispiratori della disciplina dell’imposta di registro e, in particolare, con la natura di ‘imposta d’atto’ storicamente riconosciuta al tributo di registro dopo la sostanziale evoluzione da tassa a imposta’; e si è, quindi, rimarcato che (così) la disposizione di cui all’art. 20, cit., è stata ricondotta ‘all’interno del suo alveo originario, dove l’interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell’atto presentato alla
registrazione (ovverossia al gestum , rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al testo unico)’ (così Corte Cost., 21 luglio 2020 n. 158; v., altresì, Corte Cost., 16 marzo 2021, n. 39).
3.2. L’avviso di liquidazione impugnato ha ad oggetto una richiesta di pagamento dell’imposta di registro determinata in misura proporzionale, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, rispetto ad un lodo arbitrale al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno.
L’art. 8 cit. assoggetta ad imposta di registro gli atti dell’Autorità Giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, un giudizio, prevedendo, in una articolata casistica, fattispecie in cui l’imposta è dovuta in misura fissa ed altre in cui è dovuta in misura proporzionale. Ai sensi della lett. b) sono soggetti ad imposta proporzionale del 3% quelli ” recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”; recita poi la nota II allo stesso articolo:” Gli atti di cui al comma 1, lettera b), e al comma 1-bis non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del testo unico.” Secondo il richiamato art. 40, comma 1, “Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa.” Dal quadro normativo innanzi delineato deriva l’operatività nel nostro sistema tributario del principio della cd alternatività tra IVA e l’imposta di registro, che esclude l’applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale per la registrazione di atti relativi ad operazioni che risultano già assoggettate ad IVA.
La corretta applicazione di tale principio presuppone che in presenza della registrazione di una sentenza di condanna (o di un
lodo arbitrale, come nel caso di specie) al pagamento di somme venga verificato preliminarmente se quelle stesse somme si riferiscano o meno a prestazioni di beni o servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto.
3.3. Il lodo posto a base della tassazione oggetto del presente giudizio -come risulta dalle parti del testo riprodotte in atti- ha affermato che: ‘il risarcimento dovuto dalla convenuta all’attrice è pari a (234.040,20 + 340.422,10 + 546.093,80 + 58.510,05 + 146.245,68 + 4.852.750,32 + 550.871,24), euro 6.728.933,39. Della congruità del risarcimento così stabilito non è dato dubitare ad avviso del collegio, istituendo un inammissibile confronto tra i benefici che l’attrice avrebbe conseguito con la sottoscrizione ed esecuzione dell’accordo…e quelli che all’attualità derivano dalla pronuncia risarcitoria…Trattandosi di importi tutti attribuiti a titolo risarcitorio, e quindi costituenti debito di valore, va accolta la domanda attrice relativa a rivalutazione monetaria ed interessi …’.
Nel dispositivo, al punto d), pure riportato negli atti, è stato statuito: ‘dichiara la convenuta, mandataria dell’ATI, responsabile di negligente gestione del mandato ricevuto e del danno derivatone all’attrice e, per l’effetto, ai sensi di quanto in motivazione, la condanna a pagare all’attrice la complessiva somma rivalutata di euro euro 7.080,856,61, oltre interessi al saggio legale su 6.906.895,00 dal 19.12.2007 al soddisfo…’.
Dal contenuto del lodo arbitrale appare evidente come la CTR, guardando alla natura dell’atto, abbia condivisibilmente ravvisato la sussistenza di una pronuncia risarcitoria da negligente gestione del mandato ricevuto, conseguentemente ritenendo corretta la decisione dell’Agenzia di ritenere non soggetto ad IVA l’importo spettante a titolo di risarcimento del danno e quindi assoggettata ad imposta di registro proporzionale il predetto lodo di condanna al pagamento di detto importo.
Il motivo deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile perché il ricorrente censura la sentenza impugnata contrapponendo una propria lettura alla motivata interpretazione del contenuto del lodo, contenuta nella sentenza.
4. Con il secondo motivo, la ricorrente ha denunciato la ‘violazione dell’art. 111, sesto comma Cost., art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 156, comma 2, c.p.c., art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 e 5 c.p.c.)’. In primo luogo, la società ricorrente ha censurato la sentenza impugnata deducendo che la CTR, con motivazione apparente, inadeguata e contraddittoria, pur avendo dato atto del fatto che su parte delle somme già percepite dalla B&P le parti avevano già corrisposto l’ iva, non ne aveva tratto le dovute conseguenze, con riferimento al trattamento fiscale delle somme di cui al lodo. In secondo luogo, la contribuente ha censurato l’omesso esame del fatto decisivo costituito dall’avvenut a applicazione dell’ iva su parte delle somme dovute (e, in particolare, sull’importo di euro 2.416.578,75, percepito da B&P, in esecuzione dell’accordo transattivo).
4.1. Il motivo è infondato.
Anzitutto, va escluso che la motivazione della sentenza impugnata sia apparente: vi si legge, difatti, che ‘la natura risarcitoria della somma liquidata nel lodo è continuativamente affermata nella motivazione…e ribadita in dispositivo’, laddove le considerazioni successive sono volte soltanto alla riduzione della base imponibile.
In diritto, d’altronde, come questa Corte ha già affermato, per il disposto del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 15, non concorrono a formare la base imponibile dell’IVA, che consegue alla cessione dei beni e alla prestazione dei servizi, le somme dovute a titolo di risarcimento del danno nonché a titolo di interessi moratori, penalità per ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi contrattuali (cfr., in tema di indennità dovuta ex lege n. 392 del 1978, ex art. 34, quale indennizzo per la cessazione del
rapporto di locazione Cass. n. 13345 del 2006; in tema di transazione Cass. n. 17633 del 2008; in tema di danni da ritardata consegna del bene locato ex art. 1591 c.c. Cass. n. 22592 del 2013; in tema di danno emergente conseguente alla risoluzione del contratto Cass. n. 10837 del 2024).
4.2. In merito alla censura relativa all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., relativa all’omesso esame rappresentato dall’avvenuta corresponsione dell’IVA su parte degli importi pagati sulle somme versate alla B&P in esecuzione dell’accordo stragiudiziale raggiunto prima del deposito del lodo arbitrale, si osserva quanto segue.
L’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (tra le tante, Sez. 6 1, Ordinanza n. del 06/09/2019, Rv. 655413 – 01).
Nella specie, i ‘fatti’ decisivi sono stati letteralmente ravvisati dalla ricorrente: a) nella soggezione ad Iva dell’importo di euro 2.416.578,75 ‘considerata in diminuzione della base imponibile dell’imposta di registro sul lodo’ (pag. 15 del ricorso), pagata dalle parti in adempimento di un accordo stragiudiziale precedente al deposito del lodo; b) nella contraddizione tra la soggezione ad Iva del predetto importo e la tassazione in misura proporzionale del lodo arbitrale.
E’ evidente, quindi, che si tratta di mere doglianze in punto di diritto e non di fatto, che esulano dall’ambito di applicazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
L’Agenzia delle Entrate, nel ricorso incidentale, con un unico articolato motivo, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 1, d.P.R. n. 131 del 1986 e dell’art. 8, comma 1, lett.
b) della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 nonché dell’art. 825, comma 1, c.p.c. e 2697 c.c.’ ha censurato la sentenza impugnata per aver il giudice d’appello ridotto l’importo dovuto, a titolo di risarcimento dei danni, tenendo conto di atti di parte (un accordo e un atto di transazione stragiudiziale), ai quali l’Amministrazione era estranea, e considerando parte degli importi che non erano stati ancora integralmente pagati. In particolare, l’Ufficio ha dedotto che, ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 131 del 1986 gli eventuali atti di conciliazione giudiziale e di transazione stragiudiziale potevano essere opposti all’Amministrazione solo se la stessa era stata parte degli stessi.
5.1. Il motivo è infondato.
Come già affermato dalla Suprema Corte, nell’ordinanza Sez. V, ordinanza n. 34229 del 2021, non massimata, – invocata dalla difesa della contribuente nella memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c. (relativa al ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la B&P S.p.A. in relazione all’avviso di liquidazione con cui l’Agenzia delle entrate recuperava l’imposta di registro relativa al provvedimento con il quale il Tribunale di Napoli dichiarava l’esecutività del medesimo lodo arbitrale per cui è causa) ai fini della determinazione della base imponibile, non si può fare riferimento all’atto di precetto notificato alla parte attrice successivamente al lodo arbitrale. Per quanto attiene all’accordo e alla transazione stragiudiziale precedenti, invece, non è agli stessi che la sentenza impugnata fa riferimento per la determinazione della base imponibile, bensì a tali atti in quanto richiamati e valutati nel lodo ai fini della quantificazione delle somme che la parte soccombente doveva in concreto versare.
In proposito occorre considerare che, secondo quanto affermato da questa Corte, il lodo ha efficacia vincolante fra le parti dalla data della sua ultima sottoscrizione e che il decreto di esecutorietà dello stesso sia in alcun modo assistito dal requisito della decisorietà, la
quale è propria della sentenza arbitrale (Cass., Sez. 1, n. 10450 del 14/05/2014, Rv. 631224 – 01; Sez. 1, n. 21739 del 27/10/2016, in motiv.). Dunque, poiché la decisorietà va riferita al lodo arbitrale, occorre fare riferimento al lodo stesso la cui portata va valutata alla stregua di quanto stabilito nel dispositivo e nella motivazione che lo sorregge.
Nel caso di specie, peraltro, è lo stesso dispositivo del lodo a fare esplicito rinvio alla motivazione del medesimo laddove, affermata la responsabilità della convenuta per negligente gestione del mandato ricevuto e per il danno derivatone all’attrice, stabilisce che ‘per l’effetto, ai sensi di quanto in motivazione, al condanna a pagare all’attrice la complessiva somma rivalutata di euro 7.080.856,61 oltre interessi …’. Ebbene, nella parte motiva – come risulta dallo stesso ricorso dell’Agenzia delle Entrate nel quale il lodo è riprodotto in parte qua – il Collegio arbitrale, dopo aver determinato la somma da corrispondere a titolo risarcitorio, ha affermato che detti importi ‘sono da intendersi al lordo di quanto eventualmente già percepito dalla B. & P. S.p.A. in esecuzione dell’accordo bonario del 4 agosto 1999 e della transazione 23 ottobre 2000 ‘ .
In conclusione, entrambi i ricorsi vanno integralmente rigettati.
In ragione della soccombenza reciproca, le spese di lite possono essere integralmente compensate.
A carico della ricorrente RAGIONE_SOCIALE stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi.
Compensa integralmente le spese di lite tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente RAGIONE_SOCIALE, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, 29 novembre 2024