Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21046 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21046 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25555/2021 R.G., proposto
DA
Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL );
RICORRENTE
CONTRO
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da sé medesimo ai sensi dell’art. 86 cod. proc. civ. , in qualità di avvocato, con studio in Grosseto, ove elettivamente domiciliato (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL, mediante controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Toscana il 15 aprile 2021, n. 397/02/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10 aprile 2025 dal Dott. NOME COGNOME
IMPOSTA DI REGISTRO ACCERTAMENTO DECRETO INGIUNTIVO SU NOTULA VIDIMATA DAL COA
RILEVATO CHE:
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Toscana il 15 aprile 2021, n. 397/02/2021, che, in controversia su impugnazione dell ‘avviso di liquidazione dell’ imposta di registro ed irrogazione delle sanzioni amministrative n. 2016/001/DI/000000265/0/003 nei confronti dell’Avv. NOME COGNOME da Grosseto per la registrazione di decreto ingiuntivo reso a suo favore dal Giudice di Pace di Grosseto l’11 marzo 2016, n. 265, sulla base di notula vidimata dal C onsiglio dell’ Ordine degli Avvocati di Grosseto, per la riscossione di crediti professionali, ha accolto l’appello proposto dal medesimo nei confronti del l’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Grosseto il 28 novembre 2017, n. 362/01/2017, con compensazione delle spese giudiziali.
La Commissione tributaria regionale ha riformato la decisione di primo grado -che aveva rigettato il ricorso originario -nel senso di dichiarare che l’imposta di registro non era dovuta sul mandato professionale, dal momento che quest’ultimo costituiva soltanto un implicito presupposto logico e non era oggetto di enunciazione.
L’Avv. NOME COGNOME da Grosseto ha resistito con controricorso.
Il controricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis. 1 cod. proc. civ.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a tre motivi.
Ragioni di pregiudizialità logica inducono ad esaminare in via prioritaria il terzo motivo, col quale si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, secondo
comma, n. 4) , cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., per essere stato accolto dal giudice di appello il gravame del contribuente con motivazione meramente apparente.
2.1 Il predetto motivo è infondato.
2.2 Come è noto l’art. 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sulla falsariga dell’art. 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69), dispone che la sentenza: « (…) deve contenere: (…) 4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; (…) ».
Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza impugnata, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9975; Cass., Sez. Trib., 20 dicembre 2022, n. 37344; Cass., Sez. Trib., 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 22 maggio 2024, n. 14337; Cass., Sez. Trib., 5 marzo 2025, n. 5882).
Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di ‘ motivazione apparente ‘, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del ‘ minimo costituzionale ‘ richiesto dall’art.
111, sesto comma, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6^-5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. Trib., 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 22 maggio 2024, n. 14337; Cass., Sez. Trib., 5 marzo 2025, n. 5882).
In particolare, poi, il vizio di motivazione contraddittoria o perplessa è rinvenibile soltanto in presenza di un contrasto insanabile ed inconciliabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, che non consenta la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 17 agosto 2020, n. 17196; Cass., Sez. 6^-5, 14 aprile 2021, n. 9761; Cass., Sez. 5^, 26 novembre 2021, n. 36831; Cass., Sez. 6^-5, 14 dicembre 2021, n. 39885; Cass., Sez. 5^, 27 aprile 2022, nn. 13214, 13215 e 13220; Cass., Sez. Trib., 23 agosto 2023, n. 25079; Cass., Sez. Trib., 2 settembre 2024, n. 23530).
2.3 Nella specie, tuttavia, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia insufficiente ed incoerente sul piano della logica giuridica, essendo stata adeguatamente argomentata l’inapplicabilità dell’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, con la ravvisata insussistenza dei presupposti per l’enunciazione del sottostante contratto d’opera professionale, non essendo stato espressamente l’atto enunciato nell’atto enunciante « con specifica menzione di tutti gli elementi costitutivi di esso che servono ad identificarne la natura ed il contenuto in modo tale che lo stesso potrebbe essere registrato come atto a sé stante ».
Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 5, 22 e 40 del d.P.R. 26 aprile
1986, n. 131, 1, lett. b), e 8 della tariffa -parte seconda allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 636, 641 e 643 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che il contratto d’opera professionale non fosse stato enunciato nel decreto ingiuntivo.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 22, comma 2, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e 1176 ss. cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che il contratto, ove enunciato, aveva, comunque, già cessato i suoi effetti al momento della registrazione.
3.1 I predetti motivi -la cui stretta ed intima connessione consiglia la trattazione congiunta -sono infondati.
3.2 Secondo la giurisprudenza di questa Corte (che è stata testualmente richiamata nella motivazione della sentenza impugnata), il contratto d’opera professionale, sulla base del quale l’avvocato svolge la propria attività nell’interesse del cliente, non viene menzionato nel decreto ingiuntivo, ma costituisce solamente un implicito presupposto logico. Si deve, invero, considerare che, per potersi configurare la enunciazione, è necessario che nell’atto sottoposto a registrazione vi sia espresso richiamo al negozio posto in essere, sia che si tratti di atto scritto o di contratto verbale, con specifica menzione di tutti gli elementi costitutivi di esso che servono ad identificarne la natura ed il contenuto in modo tale che lo stesso potrebbe essere registrato come atto a é stante. La tassazione per enunciazione, dunque, non può operare se nell’atto soggetto a registrazione siano menzionate circostanze dalle quali possa solo dedursi che esiste tra le parti
il rapporto giuridico non denunciato, essendo sempre necessario che le circostanze enunciate siano idonee di per sé stesse, e quindi senza necessità di ricorrere ad elementi non contenuti nell’atto, a dare certezza di quel rapporto giuridico (Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2019, n. 28559; Cass., Sez. 6^5, 13 novembre 2020, n. 25706; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17020; Cass., Sez. 5^, 6 aprile 2022, n. 11118; Cass., Sez. Trib., 2 ottobre 2023, nn. 27760 e 27755; Cass., Sez. Trib., 31 gennaio 2024, n. 2910).
Analogamente, si è affermato che, nel caso in cui il decreto ingiuntivo sia stato emesso sulla base del credito riveniente dalla prestazione di attività professionale svolta dall’avvocato ed esposto nella parcella vidimata dal consiglio dell’ordine, l’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, recita: « 1. Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69. 2. L’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione. 3. Se l’enunciazione di un atto non soggetto a registrazione in termine fisso è contenuta in uno degli atti dell’autorità giudiziaria indicati nell’art. 37, l’imposta si applica sulla parte dell’atto enunciato non ancora eseguita ». Nel caso che occupa, il contratto d’opera professionale, sulla base del quale l’avvocato svolge la propria attività difensiva nell’interesse del cliente, non viene menzionato, ma costituisce solamente un
implicito presupposto logico. Si deve, invero, considerare che, per potersi configurare la enunciazione, è necessario che nell’atto sottoposto a registrazione vi sia espresso richiamo al negozio posto in essere, sia che si tratti di atto scritto o di contratto verbale, con specifica menzione di tutti gli elementi costitutivi di esso che servono ad identificarne la natura ed il contenuto, in modo tale che lo stesso potrebbe essere registrato come atto a sé stante. La tassazione per enunciazione, dunque, non può operare se nell’atto soggetto a registrazione siano menzionate circostanze dalle quali possa solo dedursi che esiste tra le parti il rapporto giuridico non denunciato, essendo sempre necessario che le circostanze enunciate siano idonee di per sé stesse, e quindi senza necessità di ricorrere ad elementi non contenuti nell’atto, a dare certezza di quel rapporto giuridico. Mette conto, poi, considerare che, come già osservato da questa Corte (Cass., Sez. 5^, 11 gennaio 2018, n. 481), nella presente fattispecie (a differenza, ad esempio, di quelle assistite da fideiussione dove le obbligazioni sono duplici: quella del debitore principale e quella del garante), l’obbligazione è unica, nascente dall’attività professionale svolta dal professionista (soggetta ad IVA) e per la quale è stata richiesta l’emissione del decreto ingiuntivo, poi oggetto di tassazione (Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2019, n. 28559).
In caso analogo più recente, peraltro, si è dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Sulla premessa che il giudice di appello aveva rilevato che il contratto o i contratti d’opera professionale, sulla base del quale o dei quali l’avvocato aveva svolto la propria attività difensiva nell’interesse della cliente, non era menzionato o non erano menzionati nel decreto ingiuntivo del Tribunale (che, nell’assunto dell’Agenzia
dell’Entrate, era l’atto enunciante) , ma costituiva o costituivano solamente un implicito presupposto logico del decreto ingiuntivo stesso, il ricorso è stato valutato inammissibile perché esso, sotto l’apparente deduzione di violazione di norme del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, mira a rimettere in discussione davanti al giudice di legittimità l’accertamento dei giudici d i appello e dei giudici di primo grado riguardo al contenuto del provvedimento giudiziario, siccome, per tali giudici, non enunciativo, p er gli effetti dell’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, del mandato o mandati difensivi a cui è riferita la pretesa impositiva (Cass., Sez. Trib., 4 ottobre 2023, n. 27964).
Peraltro, si segnala che non vi è alcun contrasto -come è stato dato ivi atto -in un recente arresto (Cass., Sez. Trib., 22 luglio 2024, n. 20055), secondo cui, in tema di imposta di registro, ai fini della tassazione per enunciazione ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il decreto ingiuntivo va integrato con il contenuto del ricorso monitorio, attesa la peculiare struttura del provvedimento e la relativa procedura sommaria che porta alla sua emissione. In tal caso, il ricorso monitorio, le allegazioni del quale, come si è visto, integravano il decreto ingiuntivo, dava conto proprio del rapporto professionale e ne richiamava – sia pure per relationem – anche le condizioni: l’imposta di registro è una imposta d’atto, e dunque si applica a tutti gli atti previsti dalla legge come ad essa soggetti. Laddove, i precedenti richiamati sopra fanno riferimento a decreti ingiuntivi emessi su parcella vidimata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati , ragione per cui in tale occasione la Corte ha affermato che il mandato professionale era solo il presupposto giuridico, perché nei casi ivi considerati non
risultava che fosse stato esplicitato il contenuto dell’incarico professionale.
Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere respinto.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo (secondo la ‘ nota spese ‘ nella documentazione prodotta in questa sede).
Invero, la circostanza che l’avvocato si sia avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall’art. 86 cod. proc. civ. non incide sulla natura professionale dell’attività svolta e, pertanto, non esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali, i diritti e gli onorari stabiliti per la prestazione resa (tra le tante: Cass., Sez. 6^-2, 18 febbraio 2019, n. 4698; Cass., Sez. 6^-5, 14 ottobre 2021, n. 28113; Cass., Sez. 2^, 19 aprile 2023, n. 10465; Cass., Sez. 1^, 13 dicembre 2024, n. 32319).
Non sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater), trattandosi di ricorso proposto da un’am ministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex plurimis , Cass., 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass., 5 novembre 2014, n. 23514; Cass. Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore del controricorrente,
liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 678,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 10 aprile 2025.