Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31830 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31830 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5298/2021 proposto da:
Agenzia delle Entrate (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO) e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata –
-avverso la sentenza n. 1682/12/2020 emessa dalla CTR Lombardia in data 21/07/2020 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La RAGIONE_SOCIALE ( nella qualità, riferisce l’Agenzia in ricorso, di
Avviso liquidazione imposta registro -Atto enunciato – Contratto di credito al consumo
mandataria senza rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE, quale ultima cessionaria del credito scaturente dal contratto di credito al consumo intercorso tra s.p.a. RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME ) impugnava l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro in misura fissa relativa ad un decreto ingiuntivo (concernente il credito scaturente dal contratto di credito al consumo dinanzi indicato), all’enunciato (ai sensi dell’art. 22 dPR n. 131/1986) contratto di credito al consumo con cui la RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE aveva concesso il finanziamento a Gallus , nonché dell’imposta di registro in misura proporzionale, con aliquota al 3%, dell’ammontare degli interessi di mora, calcolati sulla sorta capitale.
La CTP di Sondrio accoglieva parzialmente il ricorso, non essendo state sollevate contestazioni in ordine al decreto ingiuntivo, laddove in quest’ultimo non era stato menzionato l’ulteriore atto da sottoporre a registrazione.
Sull’appello dell’Agenzia delle Entrate, la CTR della Lombardia rigettava il gravame, evidenziando che, nella fattispecie, le parti enunciate nel contratto di mutuo non erano le stesse di quelle enunciate nel decreto ingiuntivo, sicché , ai sensi dell’art. 22 dPR n. 131/1986, l’imposta diregistro non andava applicata all’atto enunciato per mancanza di identità delle parti. 4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di un unico motivo. La All Reserved RAGIONE_SOCIALE non ha svolto
difese.
Considerato che
Con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 22, 37 e 40 dPR n. 131/1986, 3 e 10 dPR n. 633/1972 e 12601265 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che la corrispondenza tra le parti intervenute nell’atto enunciato e in quello enunciante, di cui all’art. 22 citato, deve reputarsi riferita anche a tutti i soggetti (ivi compreso il cessionario del credito) che, pur non essendo intervenuti nell’atto e pur non avendolo sottoscritto, risentono direttamente dei suoi effetti.
1.1. Il motivo è infondato.
In tema di imposta di registro, ove viene colpita la singola manifestazione di ricchezza e la connessa capacità contributiva, vale il principio dell’autonomia dei singoli negozi, come si desume in modo inequivoco dalla previsione dell’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, la quale stabilisce che, se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate (Cass. n. 4096 del 2012).
L’art. 22 del d.P.R. 131 del 1986 recita: «Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69. L’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione. Se l’enunciazione di un atto non soggetto a registrazione in termine fisso è contenuta in uno degli atti dell’autorità giudiziaria indicati nell’art. 37, l’imposta si applica sulla parte dell’atto enunciato non ancora eseguita».
Orbene l’atto contenente l’enunciazione, di cui si fa menzione nel primo comma, comprende contratti, atti giuridici o provvedimenti giudiziari, e quindi anche decreti ingiuntivi; solo per gli atti giudiziari il comma terzo dell’art 22 d.P.R. citato limita la possibilità di applicare l’imposta ai soli atti enunciati non ancora eseguiti.
E’ fuor di dubbio che le parti del giudizio monitorio (RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria senza rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE – creditore procedente -, e NOME NOME – debitore ingiunto -) sono in parte diverse da quelle del contratto di finanziamento (RAGIONE_SOCIALE -mutuante – e NOME NOME -mutuatario -), così come autonome e distinte sono le situazioni giuridiche sottese all’atto enunciato (contratto di credito al consumo) e a quello enunciante (decreto ingiuntivo), perdipiù nel caso in
esame mediate dalla cessione del credito e dal mandato senza rappresentanza, in virtù del quale, come la stessa Agenzia riconosce alla nota 2 di pag. 14 del ricorso, ‘la RAGIONE_SOCIALE è diventata titolare a tutti gli effetti del diritto di credito, con obbligo (puramente interno) di ritrasferire quanto ottenuto alla mandante. Quindi, ai fini processuali e tributari, è come se la RAGIONE_SOCIALE fosse divenuta beneficiaria ‘in proprio’ della cessione del credito azionato in giudizio ‘ (enfasi del redattore). E l’ autonomia delle situazioni giuridiche non consente di applicare il ‘significato lato e sostanziale’ del termine “parte”, utilizzato dall’art. 22 TUR, secondo i chiarimenti resi da questa Corte (Cass., Sez. U., Sentenza n. 14432 del 24/5/2023).
D’altronde, con riferimento all’analoga ipotesi di diversità tra i soggetti dell’atto enunciato costituito da cessione del credito e quelli del decreto ingiuntivo, questa Corte, nella recente sentenza n. 16662 del 2020, ha affermato, sulla scorta dei principi già affermati da Cass. n. 1125 del 2000, che il richiamo effettuato da un decreto ingiuntivo ad un ricorso giudiziale nel quale si fa riferimento ad una cessione di crediti effettuata tra soggetti diversi dal debitore ingiunto evidenzia un’enunciazione indiretta di atti, ma esclude l’identità tra le parti dei distinti atti non presentati alla registrazione, escludendo conseguentemente la tassazione dell’atto di cessione di crediti precedentemente non sottoposto a registrazione al momento della presentazione del decreto ingiuntivo, per carenza delle condizioni di identità soggettiva (in questi stessi termini si è espressa Cass., 29/09/2021, n. 8669; conformi , in relazione alle medesime parti dell’odierno giudizio, Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 18091 del 6/07/2022; Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 24969 del 19/08/2022).
Né può conferirsi rilevanza alla circostanza che il cessionario subentri negli stessi diritti del cedente, atteso che, a meno che non venga dimostrato il carattere abusivo della cessione (la quale, peraltro, nel caso di specie, rileva solo a monte del mandato senza rappresentanza conferito dalla cessionaria RAGIONE_SOCIALE, laddove l’atto enunciato è da identificare col contratto di mutuo), sul piano formale non vi è medesimezza soggettiva tra
i due atti (contratto di credito al consumo e decreto ingiuntivo) sottoposti ad imposizione.
Di qui anche nel caso in esame, relativo ad un mutuo, l’infondatezza della pretesa dell’Ufficio, per la mancanza di identità delle parti intervenute nell’atto enunciante e in quello enunciato.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento. Nessuna pronuncia va adottata in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo l’intimata svolto difese.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater, dPR 30 maggio 2002, nr. 115 (Cass. Sez. 6 – Ordinanza nr. 1778 del 29/01/2016).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 29.11.2024.