Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2630 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2630 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25117/2017 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (P_IVAP_IVA, che la rappresenta e difende
-resistente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 987/2017 depositata il 09/03/2017, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.AVV_NOTAIO ha impugnato l’avviso di liquidazione con cui l’RAGIONE_SOCIALE ha preteso una maggiore imposta di registro relativamente ad un atto di divisione di comunione ereditaria, avente ad oggetto azioni, negando l’applicazione dell’art. 5, comma 2, lett. a, della direttiva 2008/7/CE – ai sensi del quale «gli Stati membri non assoggettano ad alcuna imposizione indiretta, sotto qualsiasi forma, … la negoziazione di azioni, di quote sociali o titoli della stessa natura, nonché di certificati di tali titoli, quale che sia il loro emittente» – e pretendendo di conseguenza il tributo nella misura di cui all’art. 3 della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986. Più precisamente il ricorrente ha denunciato la tardività dell’avviso di liquidazione (notificatogli in data 5-6 maggio 2014 e, quindi, oltre il termine di 60 giorni dalla registrazione avvenuta in data 4 marzo 2014) e la sua erroneità.
Il ricorso è stato rigettato in primo grado, con sentenza confermata in appello.
Nella sentenza di appello si legge che «l’RAGIONE_SOCIALE, effettuate le verifiche, ha emesso l’avviso di liquidazione il 30 aprile 2014, data in cui l’ha consegnato all’ufficio postale…questa ha preso in carico la pratica il 5 maggio e l’ha recapitato in data 6 maggio…la divisione non fa sorgere una situazione giuridica nuova…ciò per la ragione che la comunione no
è dotata di personalità giuridica…la divisione si limita ad accertare una situazione».
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale ha proposto ricorso per cassazione il AVV_NOTAIO.
L’Amministrazione si è costituita tardivamente al solo fine di partecipare all’udienza pubblica.
6.La causa è stata trattata all’udienza pubblica del 17 gennaio 2024, in cui è stata decisa.
7.La Procura Generale della Cassazione ha depositato conclusioni scritte, con cui ha sollecitato acquisirsi il fascicolo di merito ed in subordine accogliersi il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente ha denunciato: 1) la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 149 cod.proc.civ., unitamente all’art. 42 del d.P.R. n. 131 del 1986, e l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, ai sensi degli artt. 360, primo comma, n. 3, 4 e 5 cod.proc.civ., avendo la sentenza impugnata ritenuto tempestiva la notifica dell’avviso di liquidazione, nonostante la mancata produzione, da parte dell’Amministrazione, dell’avviso di spedizione e nonostante l’apposizione manuale dell’indicazione, nell’avviso di ricevimento prodotto, della data e del destinatario, senza neppure la menzione dell’ufficio di spedizione; 2) la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi degli artt. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 3 della tariffa del d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 5, comma 2, della direttiva 2008/7/CE del 12 febbraio 2008, stante la neutralità fiscale, imposta dal diritto unionale, degli atti di negoziazione dei titoli azionari e la natura, comunque, costitutiva dell’atto di divisione,
che comporta la creazione di un nuovo diritto individuale sulla porzione del bene assegnato.
Il primo motivo è inammissibile.
2.1. Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una RAGIONE_SOCIALE cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una RAGIONE_SOCIALE predette ipotesi (Cass., Sez. U, 24 luglio 2013, n. 17931). Le Sezioni Unite hanno chiarito che il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. U, 6 maggio 2015, n. 9100). Al contrario, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass., Sez. 2, 23 ottobre 2018, n. 26790).
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente ha denunciato contemporaneamente la violazione di legge, l’omesso esame di un fatto decisivo nel giudizio e l’assenza di motivazione e, cioè, profili riconducibili all’art. 360 n. 3, 4 e 5 cod.proc.civ., senza, tuttavia, che la sua lettura consenta di individuare con chiarezza le singole questioni prospettate e di isolarle, in modo da ricondurle ai distinti motivi prospettati. Il motivo è, pertanto, inammissibile per tale preliminare rilievo, oltre che per ulteriori ragioni.
2.2. Nell’ipotesi di “doppia conforme” (che ricorre nel caso di specie), il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile, ai sensi dell’art. 348 -ter, ultimo comma, cod.proc.civ., se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947; v. anche Cass., Sez. 1, 22 dicembre 2016, n. 26774, secondo cui nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348 -ter, comma 5, c.p.c., il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse).
In proposito deve ricordarsi che l’avviso di accertamento tributario ha la natura giuridica di atto amministrativo, in quanto espressione della potestà impositiva dell’amministrazione finanziara, e non di atto processuale o comunque funzionale al processo, poiché l’instaurazione del procedimento giurisdizionale non si correla all’emissione di un atto impositivo o alla sua notificazione al contribuente, bensì alla proposizione del ricorso innanzi alla Corte di giustizia tributaria (Cass., Sez. Sez. 5, 16 febbraio 2023, n. 4824). Tale orientamento non è contraddetto
dal principio, secondo cui la natura sostanziale e non processuale (nè assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria (Cass., Sez. 5, 31 gennaio 2011, n.2272, secondo cui dall’operatività, per l’avviso di accertamento, in virtù dell’art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, RAGIONE_SOCIALE norme sulle notificazioni nel processo civile deriva, quale logica necessità, l’applicazione del regime RAGIONE_SOCIALE nullità e RAGIONE_SOCIALE sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 cod. proc. civ.).
Deve, dunque, affermarsi il principio di diritto secondo cui la natura sostanziale e non processuale dell’avviso di accertamento comporta che la denunciata illegittimità o tardività della sua notifica non si traduce in un error in procedendo , sicché questa Corte non può direttamente accertare, quale giudice del fatto processuale, la data del perfezionamento della notifica dell’atto impositivo: accertamento che è rimesso al giudice di merito e che, in presenza di una doppia conforme, non può essere rimesso in discussione tramite la formulazione di un motivo ex art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ., salvo che il ricorrente dimostri che le ragioni di fatto, su cui si fondano la decisione di primo grado e quella di appello, sono diverse.
Del resto, questa Corte ha già affermato che nel processo tributario, in caso di impugnazione, da parte del contribuente, della cartella esattoriale per l’invalidità della notificazione dell’avviso di accertamento, la Corte di cassazione non può
procedere ad un esame diretto degli atti per verificare la sussistenza di tale invalidità, trattandosi di accertamento di fatto, rimesso al giudice di merito, e non di nullità del procedimento, in quanto la notificazione dell’avviso di accertamento non costituisce atto del processo tributario, ma riguarda solo un presupposto per l’impugnabilità davanti al giudice tributario della cartella esattoriale, potendo l’iscrizione a ruolo del tributo essere impugnata solo in caso di mancata o invalida notifica al contribuente dell’avviso di accertamento, a norma dell’abrogato art. 16, comma 3, del d.P.R. n. 636 del 1972 e dell’art. 19, comma 3, del vigente d.lgs. n. 546 del 1992 (da ultimo, Cass., Sez. 5, 29 novembre 2022, n. 35014).
La censura in esame è, dunque, inammissibile nella parte in cui, in presenza di una doppia conforme, contesta l’accertamento della data della notifica dell’avviso impugnato -accertamento compiuto dal giudice di merito («la data da prendere in considerazione per verificare il rispetto del termine di 60 giorni è quella del 30 aprile, quando l’Amministrazione ha consegnato l’avviso all’ufficio postale incaricandolo della spedizione») – tramite la formulazione di un motivo ex art. 360 n. 5 cod.proc.civ., senza indicare le ragioni poste a fondamento della decisione di primo grado e di appello e dimostrare la loro differenza.
2.3. Infine, va ricordato che, in materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e degli effetti di questa sull’osservanza dei termini, previsti dalle singole leggi d’imposta, di decadenza dal potere impositivo, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, sancito per gli atti processuali dalla giurisprudenza costituzionale, e per gli atti tributari dall’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, trova sempre applicazione, a ciò non ostando né la peculiare natura recettizia di tali atti, né la qualità del soggetto deputato alla loro
notificazione: ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l’ente ha posto in essere gli elementi necessari ai fini della notifica dell’atto e non quella, eventualmente successiva, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente (Cass., Sez. U, 17 dicembre 2021, n. 40543). La sentenza impugnata si presenta pienamente conforme a tale principio.
Il secondo motivo è infondato.
3.1. Questa Corte ha già affermato che, in tema di imposta di registro, la natura dichiarativa dell’atto di divisione, anche nel caso in cui abbia ad oggetto azioni rappresentative del capitale di una società comporta l’applicabilità dell’imposta proporzionale prevista dall’art. 3 della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, anziché dell’imposta fissa prevista dall’art. 11 della medesima tariffa, in quanto la “negoziazione di quote di partecipazione in società”, da quest’ultima norma contemplata, implica necessariamente un trasferimento della proprietà da un soggetto ad un altro, e quindi un’alienazione, del tutto mancante in ipotesi di mera divisione; né l’applicazione della predetta imposta contrasta con la direttiva 69/335/CEE del Consiglio, del 17 luglio 1969, come modificata dalla direttiva 85/303/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1985, non comportando l’atto divisorio nessuna incidenza sulla “libera circolazione dei capitali”, protetta dalla direttiva stessa, dal momento che esso è privo di qualsiasi effetto sul mercato, perché meramente specificativo del preesistente valore già posseduto “pro indiviso” da ciascun condividente (Cass., Sez. 5, 15 giugno 2010, n. 14398).
Più precisamente, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini tributari, la divisione senza conguagli ha natura dichiarativa, come si evince dall’art. 34, comma 1, del d.p.r. n. 131 del 1986, art. 34, (alla cui stregua «La divisione,
con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente»; v., negli stessi termini, il previgente d.p.r. n. 634 del 1972, art. 32, comma 1, e, sia pur con varianti lessicali, il r.d. n. 2369 del 1923, art. 48, comma 1), rilevando che un effetto traslativo può correlarsi solo ai previsti conguagli (Cass., 28 marzo 2018, n. 7606; Cass., 19 dicembre 2014, n. 27075; Cass., 20 marzo 2013, n. 6942; Cass., 15 giugno 2010, n. 14398), laddove, dunque, l’uno dei condividenti riceva l’attribuzione di beni, in natura o in denaro (pars quanta), eccedenti la quota (pars quota) a lui spettante sulla comunione dei beni (e sempreché il versamento in denaro non sia effettuato a copertura della quota spettante, rimanendo irrilevante che la somma corrisposta non provenga dalla massa ereditaria, «atteso che l’art. 34 cit. non si occupa della provenienza dei beni assegnati, ma soltanto del loro valore» (così Cass., 30 luglio 2010, n. 17866 cui adde Cass., 28 marzo 2018, n. 7606; Cass., 14 luglio 2017, n. 17512; Cass., 16 novembre 2012, n. 20119). Da tale natura dichiarativa consegue l’applicazione dell’imposta di registro nella misura (proporzionale) prevista dal d.p.r. n. 131 del 1986, art. 3, parte prima, della Tariffa allegata. La natura dichiarativa della divisione senza conguagli, ai fini tributari, è stata recentemente confermata da Cass., Sez. 5, 3 dicembre 2020, n. 27692, secondo cui, in tema di imposta di registro, con riguardo alla divisione che non preveda conguagli, ai sensi dell’art. 34, d.P.R. n. 131 del 1986, il potere di rettifica dei valori dichiarati nell’atto di divisione non può essere esercitato dall’Amministrazione, stante la natura dichiarativa, a fini tributari, della divisione e la conseguente inapplicabilità della deroga prevista dall’art. 52, comma 5 bis d.p.r. cit., alla disciplina posta dai commi 4 e 5 della medesima disposizione,
con conseguente preclusione all’accertamento dei conguagli cd. fittizi di cui all’art. 34, comma 3, d.P.R. n. 131 del 1986, qualora le quote attribuite ai condividenti rispondano ai parametri catastali delineati dall’istituto della cd. valutazione automatica degli immobili.
Alla luce di tali considerazioni l’avviso in esame non presenta alcun profilo di contrasto con l’art. 5, comma 2, lett. a, della direttiva 2008/7/CE, ai sensi del quale gli Stati membri non assoggettano ad alcuna imposizione indiretta, sotto qualsiasi forma, le seguenti operazioni:a) la creazione, l’emissione, l’ammissione in borsa, la messa in circolazione o la negoziazione di azioni, di quote sociali o titoli della stessa natura, nonché di certificati di tali titoli, quale che sia il loro emittente, atteso che la natura meramente dichiarativa della divisione ne esclude la riconducibilità alla categoria degli atti di negoziazione. Deve, quindi, affermarsi il seguente principio di diritto: «In tema di imposta di registro, la divisione della comunione avente ad oggetto azioni, quote sociali o titoli della stessa natura non integra una negoziazione agli effetti dell’art. 5, comma 2, lett. a, della direttiva 2008/7/CE, che ne esclude l’imposizione indiretta, sotto qualsiasi forma, da parte degli Stati membri, laddove ai condividenti siano attribuite azioni, quote o titoli corrispondenti alla sua quota e conseguentemente non si verifichi alcun effetto traslativo».
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, tenuto conto dell’attività difensiva svolta dalla resistente, seguono la soccombenza.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 2500,00, oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art.13, comma 1quater , del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 17/01/2024.
P.Q.M.